di Enrico Ganz
Il chilotorace è un versamento intratoracico costituito da linfa fuoriuscita dal dotto toracico (1). Esso complica il 4% delle esofagectomie (Lagarde, 2005), mentre è più occasionalmente osservato dopo gastrectomia associata a parziale resezione dell’esofago per via transiatale. Nel corso di una gastrectomia eseguita per via addominale il dotto toracico può essere lesionato in sede mediastinica, se la dissezione raggiunge il tratto terminale dell’esofago intratoracico, quindi più frequentemente in caso di neoplasia cardiale. Occasionalmente il dotto può essere lesionato anche nella sua porzione intra-addominale, se la dissezione attorno al tronco celiaco è spinta in profondità, in sede para-aortica. In questo caso e anche qualora siano lesionati i tronchi linfatici d’origine del dotto toracico il chilo si raccoglie inizialmente in addome e, se l’ascite chilosa si espande in torace tramite lo iato esofageo, si manifesta un chilotorace secondario. Se la lesione del dotto toracico è in sede mediastinica e lo iato esofageo del diaframma è beante, si manifestano analogamente un chilotorace e un chiloperitoneo, quest’ultimo definibile “secondario”. La mortalità dopo resezione esofago-gastrica complicata da chilotorace può raggiungere il 20 – 25 % (Alexiou, 1998). La linfa si accumula nel cavo pleurico destro nelle lesioni basse, in quello sinistro nelle lesioni craniali alla IV vertebra toracica. In entrambi i casi si manifesta inizialmente dispnea ingravescente per compressione del polmone e ipovolemia (nel dotto transitano 10-50 ml/Kg/die di linfa). Se il paziente ha un drenaggio toracico, il fluido è drenato e non si manifesta dispnea.
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(1) Il dotto toracico origina nel 50% dei casi dalla cisterna chili, struttura linfatica sacciforme con diametro longitudinale e trasversale di circa 4 mm e lunghezza di circa 15 mm, usualmente posta davanti alla I e II vertebra lombare, sul versante postero-laterale destro dell’aorta, dietro il pancreas e davanti al pilastro destro del diaframma. Più precisamente, riferendosi a uno studio autoptico, la cisterna chili è stata identificata tra L1 e L2 nel 63% dei casi, tra T12 e L1 nel 21% dei casi, tra T11 e T12 nel 8% dei casi, tra T10 e T11 nel 5% dei casi e tra T9 e T10 nel 3% dei casi; nel 75% dei casi è situata sul versante destro dell’aorta (Loukas, 2007). Nel 50% dei casi il dotto origina direttamente dalla confluenza dei vasi linfatici lombari destro e sinistro oppure dalla confluenza uno dei due tronchi lombari con il tronco intestinale, ricevendo il secondo tronco lombare lungo il suo decorso. Il dotto entra nel mediastino posteriore attraverso lo iato aortico a destra dell’aorta e ascende nel torace fino alla IV vertebra toracica dietro l’esofago, a destra dell’aorta, a sinistra della vena azygos e davanti alla colonna vertebrale. Tra la IV e VII vertebra toracica incrocia l’esofago e si porta a sinistra, talora risolto in un plesso o in due rami. Incrociato posteriormente l’arco aortico, forma nel collo un arco a concavità antero-laterale sinistra: dapprima incrocia posteriormente il tratto iniziale dell’arteria carotide sinistra e il nervo vago sinistro, decorre quindi lungo il versante superiore dell’arteria succlavia, incrociando anteriormente i vasi vertebrali e più medialmente l’origine dell’arteria tiroidea inferiore e il muscolo scaleno anteriore con l’antistante nervo frenico; prende quindi rapporto con i vasi cervicali superficiali e sovrascapolari, infine contorna il versante posteriore e sinistro dello sbocco della vena giugulare sinistra e sbocca sul versante sinistro della giunzione tra vena succlavia sinistra e vena giugulare interna. Se i rami sono due, il secondo ramo sbocca nella vena succlavia destra.
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Il liquido appare sieroso e assume un aspetto opalescente all’inizio dell’alimentazione. La quantità di liquido persa giornalmente può raggiungere i 2,5 litri. Le alterazioni di laboratorio comprendono ipoproteinemia severa (la linfa contiene circa 3 g/dL di proteine), ipogammaglobulinemia, iponatriemia, ipocalcemia e acidosi.
Se le perdite idro-elettrolitiche sono reintegrate, si manifesta successivamente malnutrizione per perdita di grassi e vitamine e aumentato rischio di infezione per riduzione dei linfociti T. La conta linfocitaria non è peraltro alterata dalla linforrea per se in quanto vi è un aumento compensatorio dei linfociti B (Machleder, 1978) e la riduzione della conta linfocitaria è uguale a quella osservata nei giorni che seguono ad una resezione esofago-gastrica (Ferguson, 1985).
Tab. 1
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Caratteristiche fisiche, chimiche, citologiche e microbiologiche del chilo
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Colore sieroso, siero-ematico o bianco
Odore assente
pH alcalino (7,4 – 7,8)
Peso specifico 1015-1025
Linfociti 300-400/mm3
Trigliceridi > 50 mg/dL
Proteine 3-5 g/dL
Rapporto colesterolo/trigliceridi < 1
Rapporto albumina/globuline 3:1
Microrganismi assenti
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Un chilotorace è sospettato quando il liquido del drenaggio toracico aumenta e assume colore latteo all’inizio dell’alimentazione. La quantità e l’intensità di colore aumentano dopo somministrazione enterale di lipidi, per esempio mezzo litro di panna. Un’ulteriore conferma diagnostica è ottenuta con il dosaggio dei trigliceridi nel liquido prelevato dopo pasto ricco in grassi: un valore superiore a 110 mg/dL si osserva esclusivamente nel chilo. E’ inoltre opportuno rilevare la concentrazione di colesterolo, che nel versamento chiloso è inferiore a 200 mg/dL. Non è invece necessaria la ricerca di cristalli di colesterolo, presenti solo nel versamento cronico tubercolare e reumatoide, che per colore e densità può peraltro simulare il chilo. In condizioni di digiuno il versamento chiloso può presentare una concentrazione di trigliceridi inferiore a 100 mg/dL. In questo caso è comunque agevole differenziare il versamento chiloso da quello cronico pseudochiloso, che ha bassi livelli di trigliceridi (< 50 mg/dL) e che dovrebbe essere presente da mesi o anni. In caso di dubbio l’elettroforesi delle lipoproteine consente di identificare i chilomicroni, componenti tipici del versamento chiloso (Staats, 1980).
L’RX torace e preferibilmente la TAC torace consentono di quantificare il versamento e di identificare i rari versamenti bilaterali, che hanno prognosi peggiore. Il dotto toracico può essere evidenziato tomograficamente su sezioni coronali e assiali di 1 mm, ottenute con TAC multidetettore (Kiyonaga, 2010).
Nessun’altra indagine radiologica è utile per finalità terapeutica. Tuttavia, ricordiamo due indagini di un certo interesse per la ricerca della sede anatomica in cui il dotto è stato lesionato: la linfoscintigrafia e la linfangiografia.
La linfoscintigrafia è attuata con rilevazione SPECT/TC dell’isotopo 99Tc coniugato a un trasportatore proteico (usualmente albumina umana), iniettato in sede sottocutanea nel dorso di ciascun piede (Prevot, 2011). Sono acquisite immagini dinamiche planari anteriori e posteriori del torace alla velocità di un fotogramma/minuto per quaranta minuti. Successivamente è utilizzata la SPECT/TC, che consente di precisare l’area anatomica in cui è registrata l’iperattività corrispondente alla sede dello spandimento linfatico (Ohtsuka, 2013).
La linfangiografia è più indaginosa, essendo necessario identificare e isolare bilateralmente un vaso linfatico in sede podale con l’ausilio di una colorazione linfatica, ottenuta iniettando nel sottocute blu di metilene. Più precisamente, due millilitri di blu di metilene, miscelati con due millilitri di lidocaina, sono iniettati bilateralmente tra I e II spazio interdigitale. I piedi sono fatti muovere attivamente e dopo dieci minuti si può procedere all’identificazione e all’isolamento di un vaso linfatico posto alla base del I metatarso o presso la caviglia. Tramite un’agocannula n° 35 o 40 è iniettato in pompa siringa alla velocità di 4 – 7 ml/ora Lipiodol (miscela di eteri etilici di acidi grassi iodurati di origine vegetale) in quantità di 1 ml/10Kg di massa corporea per piede, non superando la dose totale di 14 ml. (Kos, 2007). Segue una TAC senza mezzo di contrasto (Deso, 2012).
Tra le altre tecniche strumentali, ricordiamo che la dutto-RMN con sequenze T2-pesate non è utile, poiché il versamento chiloso presenta un segnale ad alta intensità, che si sovrappone a quello del dotto. In condizioni normali la dutto-RMN consente invece una migliore visualizzazione del dotto toracico rispetto alla TAC multidetettore.
Il trattamento conservativo del chilotorace consiste nel drenaggio della cavità pleurica e nella nutrizione parenterale totale, che non solo ha valore nutrizionale, ma anche favorisce la guarigione, riducendo la produzione di chilo (Ferguson, 1985; Puntis, 1987). La nutrizione enterale è un’alternativa altrettanto valida alla NPT, se i trigliceridi sono a media catena (acido caproico, caprilico, caprico e laurico), poiché essi sono assorbiti nel sistema portale e non entrano nel sistema linfatico intestinale (Jalili, 1987). Tuttavia, nei trattamenti prolungati si verifica deficit di acido linoleico, presente nei trigliceridi a lunga catena (Puntis, 1987).
La somministrazione di octreotide (0,2 mg sc ogni otto ore) può essere un sussidio per ridurre la produzione di chilo (Markham, 2000), come anche l’infusione ev in pompa siringa di etilefrina alla dose di 4 – 5 mg/ora per 4 – 7 giorni (Guillem, 2003). L’etilefrina è un farmaco simpaticomimetico alfa-adrenergico, che contrae le cellule muscolari lisce del dotto toracico, riducendone il diametro.
Con questo trattamento conservativo piccole perdite possono esaurirsi entro le prime due settimane dopo la diagnosi, ma in altri casi il drenaggio di chilo persiste più di tre mesi. La sepsi batterica o micotica è un’importante causa di decesso e si manifesta più di due settimane dopo la diagnosi con una mortalità del 50%. E’ perciò particolarmente importante la profilassi delle infezioni, che prevede di collocare il paziente in una camera isolata, utilizzare procedure sterili, evitare un prolungato trattamento antibiotico, che favorisce le infezioni micotiche, somministrare profilatticamente un antimicotico, effettuare periodici esami microbiologici della raccolta e trattare chirurgicamente i casi in cui il chilotorace non si risolve entro due settimane (Selle, 1973; Dougenis, 1992) in assenza di indicazione ad un più precoce trattamento chirurgico: un volume drenato pari o superiore a 800 ml/12h per più di cinque giorni (Orringer, 1988).
Il trattamento chirurgico consiste nella legatura del dotto. L’identificazione della lesione è facilitata, aumentando il flusso del chilo con l’infusione di 1/2 litro di panna, eventualmente colorata con blu di metilene o nero Sudan, tramite sondino (100 ml/ora) prima e durante l’intervento (Schackloth, 2001). E’ possibile legare il dotto per via toracotomica o toracoscopica. L’intervento per via toracotomica prevede una corta toracotomia posteriore destra tra IX e X spazio intercostale. Retratto inferiormente il diaframma, segue la sezione del legamento polmonare, l’incisione della pleura sopra i corpi vertebrali a livello del diaframma e a lato dell’esofago e la legatura del tessuto compreso tra corpi vertebrali, esofago e aorta sopra l’emidiaframma destro (Urschel, 1995). Al termine l’efficacia della legatura è valutata comprimendo l’addome del paziente, per aumentare il flusso di chilo verso il torace nella sede della legatura (Orringer, 1988). L’intervento è completato con una decorticazione polmonare, se vi è inspessimento pleurico che ostacola l’espansione del polmone.
L’intervento per via toracoscopica è una valida alternativa. Il paziente è posizionato sul fianco sinistro e il polmone destro è collassato. E’ inserito un trocar in IV spazio intercostale sulla linea ascellare anteriore, un trocar da 10 mm in VI spazio intercostale sulla linea ascellare media e un terzo trocar in VII spazio intercostale sulla linea ascellare posteriore. Una telecamera con ottica angolata di 30° è inserita nel trocar intermedio. Si isola e si sospende in blocco vena azygos e tessuto periaortico tra colonna vertebrale, esofago e pericardio con un passafili, introdotto attraverso un apposito port; infine, si seziona questo tessuto con suturatrice articolabile da 35 mm (Bonavina, 1998). Sono possibili ulteriori varianti di tecnica chirurgica (Tsubokava, 2012).
In caso di insuccesso dell’approccio toracico una possibilità terapeutica consiste nella legatura della cisterna chili per via addominale. L’intervento chirurgico consegue lo scopo in due terzi dei casi. Il fegato è retratto cranialmente, il legamento gastro-epatico è sezionato e lo stomaco è retratto a sinistra. Si espone l’aorta sul suo versante laterale destro a livello del tronco celiaco e si asporta il tessuto adiposo tra l’aorta e il pilastro destro del diaframma. Esposto il pilastro destro, si prosegue la dissezione dal pilastro destro alla vena cava. La vena cava è retratta lateralmente, è esposto tutto il tessuto adiposo che le è retrostante ed è identificata la cisterna chili postero-medialmente alla vena cava. Al termine della procedura deve essere legato tutto il tessuto adiposo tra il pilastro destro del diaframma e la vena cava inferiore. La procedura può essere effettuata laparoscopicamente con cinque trocar (Diaz-Gutierrez, 2017).
Una soluzione innovativa è il trattamento del chilotorace con embolizzazione, per la quale sono state descritte varie tecniche di radiologia interventistica (Toliyat, 2017). Una modalità recentemente testata consiste nell’avanzamento retrogrado di un microcatetere transvenoso, che è guidato nell’ostio del dotto toracico. E’ stato possibile condurre a termine questa procedura nel 60% dei casi, considerando nel calcolo percentuale anche i casi con varianti plessiformi del dotto, che non consentivano anatomicamente l’incannulazione del dotto (Kariya, 2017). Esclusi questi casi, la percentuale di successo è stata dell’80%. Più tradizionalmente il microcatetere può essere avanzato in direzione anterograda fino alla cisterna chili, previa linfangiografia. In un’esperienza è stata riportato un successo nell’incannulazione della cisterna chili nel 48% dei casi e un successo dell’embolizzazione nell’80% dei pazienti in cui l’incannulazione e l’embolizzazione è stata possibile (Reisenauer, 2017).
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