Introduzione
Per “chiusura di enterostomia” si intende una procedura chirurgica finalizzata a ristabilire la continuità intestinale, suturando l’orifizio artificiale di un’ansa intestinale che è stata precedentemente esteriorizzata attraverso un’incisione parietale. Questo tipo di enterostomia è detto “laterale” (“loop ostomy”). Al momento del suo confezionamento il contorno dell’orifizio intestinale è fissato alla cute con punti riassorbibili e l’ansa intestinale è tenuta sollevata sopra il piano cutaneo con il sostegno di un dispositivo in materiale rigido, noto come “baguette”. La baguette è posta trasversalmente sotto l’ansa e i suoi estremi poggiano sulla cute. La baguette è asportata quando il processo cicatriziale avrà saldato l’ansa intestinale alla parete addominale. Lo scopo di questa configurazione è di deviare all’esterno il secreto intestinale, per escluderne l’accesso al tratto intestinale distale. La procedura nota come “chiusura di stomia” prevede il distacco dalla cute e la sutura dello stoma, l’affondamento in addome dell’ansa intestinale suturata e la sutura della parete addominale. Se il tratto intestinale peristomale presenta una stenosi, è preferibile resecare il segmento patologico portante lo stoma ed effettuare un’anastomosi tra i due monconi intestinali. Questa eventualità è piuttosto rara nel caso delle colostomie, ovvero delle stomie praticate sul colon.
Si distingue dalla chiusura di colostomia la cosiddetta “ricanalizzazione del colon”, procedura che costituisce il secondo tempo differito del cosiddetto “intervento di Hartmann”, proposto nel 1921 dal dott. Hartmann e tuttora valida soluzione nei casi di grave peritonite stercoracea conseguente a perforazione colica o rettale. L’intervento consiste in una resezione del segmento colico patologico, seguita da una colostomia terminale e dall’affondamento del moncone rettale o colo-rettale in addome, dopo averlo chiuso con una sutura. Il secondo tempo, ovvero la “ricanalizzazione”, prevede la mobilizzazione dei due monconi intestinali e il loro collegamento mediante anastomosi, per ristabilire la fisiologica via di transito. Per evitare un fraintendimento con la chiusura e l’affondamento di una stomia laterale – possibile fonte di errore – è opportuno che il termine “ricanalizzazione”, quando utilizzato per identificare un intervento chirurgico, si applichi per estensione solo a quelle procedure che consistono nella demolizione di una stomia terminale – ileostomia o colostomia -, per ricollegarne il moncone al moncone intestinale affondato in addome.
In questo scritto sarà trattata la chiusura di colostomia, riservando per un successivo articolo alcune note sulle peculiarità della chiusura di ileostomia.
Accertamenti pre-operatori
Una corretta indicazione alla chiusura di una colostomia ha per condizione necessaria il non essere in atto il processo patologico o riparativo che aveva giustificato il confezionamento della stomia.
Essenziale è quindi acquisire i dati anamnestici relativi alla patologia per la quale la stomia era stata effettuata. La patologia può essere una fistola retto-vaginale, un processo infiammatorio associato alla retto-colite ulcerosa o una stenosi occludente, neoplastica o infiammatoria, del colon o del retto. Si tratta di processi patologici che possono essere reversibili. Prima di chiudere la stomia è necessario accertarne la risoluzione, avvalendosi dei più opportuni dati clinici, laboratoristici e strumentali. In caso di patologia neoplastica si deve avere la certezza che la canalizzazione non possa essere compromessa in breve tempo dalla presenza di una recidiva tumorale. Questo dato è acquisito con TC addome, con RMN pelvica o con PET-TC.
Se la stomia era stata confezionata per proteggere un’anastomosi o una sutura nel tratto intestinale distale (11,34,40,41), si dovrebbe non solo attendere il termine del processo cicatriziale lungo la linea della sutura, ma anche la risoluzione del processo infiammatorio correlato al trauma chirurgico. Si ritiene che per questo fine sia prudente chiudere una stomia almeno due-tre mesi dopo l’intervento. Questo atteggiamento è tuttavia piuttosto controverso e una precoce chiusura della stomia è probabilmente fattibile senza un maggior rischio postoperatorio (42). L’intervallo di tempo tra l’intervento e la chiusura della stomia non deve essere inferiore alle due settimane, per consentire un’adeguata cicatrizzazione dell’anastomosi. Tuttavia, una recente chemioterapia dopo resezione anteriore del retto rende consigliabile la chiusura della stomia almeno tre mesi dopo il termine del trattamento (47).
In ogni caso, prima di chiudere la stomia deve essere esclusa la presenza di una fistola o di una stenosi in sede di anastomosi. L’indagine migliore per questo accertamento è un RX clisma opaco con mezzo di contrasto idrosolubile. L’RX clisma opaco con mezzo di contrasto idrosolubile è più generalmente un esame indicato in tutti i casi in cui si prevede di chiudere una colostomia, per escludere ostruzioni nel tratto intestinale che dovrà essere ricanalizzato. Il mezzo di contrasto è somministrato per via rettale ed in caso di incompleta opacizzazione dei tratto colico più prossimale anche per via trans-stomica.
L’esame clinico è altrettanto importante. Nel paziente anziano o con anamnesi di radioterapia in regione pelvica deve essere valutata digitalmente la pressione degli sfinteri anali a riposo e in condizione di contrazione volontaria. In caso di dubbio su un’incontinenza deve essere eseguita una manometria ano-rettale. E’ evidente che una severa incontinenza vanificherebbe l’utilità dell’intervento in termini di qualità di vita.
L’intervallo di tempo tra confezionamento e chiusura di una stomia non dovrebbe superare sei mesi, al fine di ridurre il processo di atrofia nel tratto intestinale escluso dal transito, che si manifesta in una progressiva riduzione del suo lume e in un assottigliamento della sua parete. Vi sono tuttavia casi in cui si giunge a considerare la chiusura di una stomia 12-18 mesi dopo il suo confezionamento. Se il paziente è fermamente motivato ad eliminare lo stoma, si dovrà accertare che vi siano le condizioni per la fattibilità dell’intervento: l’RX clisma opaco deve evidenziare un completo riempimento del tratto intestinale a valle della stomia ed escludere stenosi < 2,5 cm. Se è presente una stenosi significativa, deve essere valutata la fattibilità di una dilatazione per via endoscopica. Il decorso postoperatorio sarà comunque a maggior rischio di ritardata canalizzazione e di deiscenza della sutura. Considerando che nel tratto intestinale rimasto a lungo escluso dal transito la forza peristaltica può essere ridotta nei primi giorni postoperatori e che il diametro del lume intestinale richiede tempo prima di raggiungere una misura fisiologica, è di particolare importanza valutare nelle immagini radiologiche se nel retto e nel colon sinistro ristagnino fecalomi. Se vi è ristagno fecale, si dovrà provvedere a una completa pulizia pre-operatoria del tratto intestinale escluso con clismi di soluzione ipertonica instillata tramite la stomia.
Infine non si deve dimenticare che la programmazione di una chiusura di stomia deve tener conto anche del rischio anestesiologico, che non deve essere proibitivo.
Preparazione intestinale
Prima di un intervento di chirurgia colo-rettale la pulizia intestinale è raccomandata da molti autori e appare prudente (17,19,43). Coloro che sostengono l’inutilità della preparazione intestinale probabilmente ragionano in termini teorici e hanno scarsa esperienza chirurgica. Nel caso specifico di una chiusura di stomia l’utilità di una buona preparazione intestinale emerge chiaramente nel corso della sutura colica, quando il sottostante lume è vuoto, piuttosto che rigurgitante di liquame fecale. L’utilità di un lume colico vuoto emerge anche in caso di fistolizzazione postoperatoria.
E’ quindi utile una blanda preparazione. Non è opportuno definirne uno schema preciso, dovendosi tenere conto del singolo caso. Nei casi di stomia nella sezione sinistra del colon è utile la somministrazione di un lassativo ad azione osmotica uno o due giorni prima dell’intervento. Un’irrigazione trans-stomia dell’ansa afferente è opportuna, se è riferita una recente difficoltà evacuativa. Se nei radiogrammi si visualizzano fecalomi distalmente alla stomia, è opportuno effettuare un clistere trans-stomia, instillandolo nell’ansa efferente uno o due giorni prima dell’intervento. L’alimentazione è priva di fibre vegetali il giorno precedente l’intervento.
Il giorno dell’intervento è somministrata all’induzione dell’anestesia una cefalosporina di prima generazione.
Tecnica chirurgica
Scriveva Gallot in un noto testo di tecnica chirurgica: “La fermeture d’une colostomie n’est pas un geste de chirurgie colique “négligeable” (8). In effetti la chiusura di una colostomia è una procedura abbastanza semplice da far rischiare di sottovalutare l’importanza di alcune attenzioni, diventando fonte di complicanze per la sua stessa semplicità. Le complicanze comprendono l’infezione della ferita, il laparocele, la deiscenza anastomotica, la perforazione iatrogena di un viscere e l’occlusione intestinale (16).
Le fasi che compongono questo delicato intervento consistono nella chiusura temporanea dello stoma, nella dissezione del segmento colico compreso tra la cute e il peritoneo, nella sutura colica, nell’affondamento dell’ansa suturata nel cavo peritoneale, nella sutura fasciale e nella sutura parziale o totale del sottocute e della cute.
– Chiusura temporanea dello stoma
Il primo gesto chirurgico consiste nell’assicurare la sterilità dell’intervento. Quindi, disinfettata la cute e infine la mucosa della stomia con una soluzione idro-alcolica di iodopovidone al 10% o di clorexidina gluconato allo 0,5%, è opportuno chiudere provvisoriamente lo stoma, per impedire la fuoriuscita di secrezioni contaminate in corso di intervento. La sua chiusura contribuisce a ridurre l’incidenza di infezioni della ferita, evitando che secrezioni infette fuoriescano dal lume colico nel corso della dissezione (15). Se lo stoma si trova a livello del piano cutaneo, si può effettuare la chiusura con una sutura “a borsa di tabacco” o con una normale sutura continua, dopo aver sezionato la cute a una distanza di 3-4 mm dal bordo dello stoma con bisturi o con elettrobisturi impostato in modalità Cut a bassa intensità. Deve essere ben tenuto presente che la parete colica può essere a contatto con il derma, oltre il quale non deve essere quindi immediatamente affondata la lama durante l’iniziale taglio della cute (Fig. 1). La cute è sezionata “a losanga”, arcuando a ciascun lato le incisioni in modo che si incontrino ad angolo acuto alle due loro estremità. Se si preferisce concludere l’intervento con la chiusura della cute “a borsa di tabacco” l’incisione è invece circolare. La sutura è posizionata sul cercine cutaneo rimasto aderente allo stoma.Se lo stoma è di piccole dimensioni, conviene effettuare una borsa di tabacco; se è ampio, “a canna di fucile”, è preferibile effettuare una sutura continua. In alternativa alla sutura continua è possibile chiudere lo stoma a punti staccati in seta. In questo caso i capi di ciascun punto sono tenuti lunghi almeno 7-8 cm. L’estremità libera dei fili è fissata a una pinza tipo Pean (15,39). In questo modo si ottiene un mezzo di trazione, che agevola la successiva dissezione del colon dai piani della parete addominale. Una variante consiste nel legare i capi dei fili su una garza nastriforme imbevuta di soluzione antisettica, che in tal modo è tenuta in stretto contatto della sutura. Personalmente preferisco accorciare i tempi delle procedure, quindi applico una sutura continua o una borsa di tabacco, mentre la trazione sul colon è effettuata con un Kocher applicato sul cercine cutaneo o direttamente con la mano, che è lo strumento migliore per esercitare le più opportune trazioni sul viscere nel corso del suo isolamento dagli strati parietali.
Se lo stoma non è a livello del piano cutaneo, ma è procidente, non introflettibile, è possibile chiuderlo con una sutura cutanea solo se è disposti ad ampliare l’incisione cutanea, sezionando la cute a un’adeguata distanza da colon, superiore ai 3-4 mm sopra indicati. In alternativa si può suturare la mucosa o restringere lo stoma con pinze tipo Allis. Volendo evitare traumatismi, si può anche rinunciare alla chiusura dello stoma; scelta che appare ragionevole, se è stata effettuata un’adeguata pulizia pre-operatoria del colon e se nella fase di preparazione del paziente sul letto operatorio non si sono osservate evacuazioni di secrezioni dallo stoma. Infatti, in tal caso l’intervento si svolge frequentemente senza che si verifichi la situazione di dover provvedere all’aspirazione di secrezioni fecali. Nell’eventualità che questo accada lo stoma potrà essere rapidamente ristretto con pinze tipo Allis dopo avervi introdotto uno zaffo iodoformico.
– Isolamento dell’ansa colica
Una pinza tipo Kocher è posizionata sul cercine cutaneo. Per mezzo della pinza l’ansa colica è sollevata e trazionata dal secondo operatore verso sé. Il primo operatore traziona verso sé e solleva con una pinza chirurgica il bordo cutaneo a lui più prossimo. In questo modo si apre lo spazio per la dissezione tra il sottocute e il colon. La dissezione è condotta in prossimità della superficie colica con una forbice a punte smusse. La stessa procedura è applicata sul versante opposto: in questo caso il primo operatore traziona verso sé e solleva il colon, mentre il secondo operatore traziona la cute in direzione opposta (Fig. 2). Approfondendosi nel sottocute, la trazione è meglio effettuata dal primo operatore, agganciando in profondità il sottocute con il dito indice sinistro, mentre il secondo operatore solleva e traziona verso sé il colon.
Ovviamente il modo di procedere è personalizzabile e la descrizione della tecnica è solo orientativa: in figura 3, per esempio, si può osservare una situazione in cui il primo operatore aggancia il sottocute nel modo sopra indicato, ma anche traziona l’intestino verso l’alto, mentre il secondo operatore esercita una contro-trazione, premendo e scostando il margine cutaneo della ferita.
L’elettrobisturi in modalità Coagulazione è un’ulteriore risorsa per la sezione del sottocute, quando si lavora ad una distanza dal colon adeguata per evitarne bruciature, come nel caso di fig. 3.
Nel corso della dissezione si deve fare attenzione a non confondere il sottocute con il meso del colon, penetrandovi e lesionandone i vasi. Quando con il dito si percepisce prossimo il piano fasciale, la residua lamina di sottocute che lo nasconde può essere aperta affondandovi le estremità di una forbice a punte smusse e allargando le sue branche. In tal modo si visualizza il colore bianco del piano fasciale. Partendo da questo opercolo si distacca il sottocute dalla fascia in tutta prossimità della linea di adesione tra la fascia e il colon. Si completa l’esposizione del piano fasciale circonferenzialmente al segmento di colon esteriorizzato, scollando i residui di sottocute con un tamponcino fissato all’estremità di una pinza tipo Péan. In questa fase l’esposizione della linea di accollamento colo-fasciale è meglio ottenuta dal primo operatore scostando il colon verso sé e spingendolo verso il piano fasciale, piuttosto che trazionandolo in alto; il secondo operatore provvede a scostare il sottocute con un retrattore tipo Ollier, se il piano sottocutaneo ha modesto spessore, o con un retrattore dotato di una branca più profonda in caso di spesso pannicolo adiposo. Con forbice a punte smusse è aperto un pertugio tra la fascia e il colon sul versante mediale. Un Kocher è fissato sul bordo fasciale, laddove è stato liberato dalla connessione con il colon, ed è sollevato dal secondo operatore, che deve inoltre provvedere a scostare il sottocute con un retrattore, al fine di esporre il piano fasciale. Il distacco della fascia dal colon e dal suo meso è proseguito lungo tutto il versante mediale, spostando progressivamente il retrattore e la presa del Kocher per un’ottimale esposizione del campo operatorio. Al termine della dissezione fasciale apparirà il bordo laterale del muscolo retto addominale, che può essere adeso al colon (Fig. 4). La dissezione è proseguita con forbice tra i due piani anatomici, evitando di confondere i due tessuti.
Personalmente nella dissezione tra i vari piani utilizzo volentieri l’elettrobisturi, che richiede tuttavia attenzione, per non lesionare la parete colica. In particolare, l’uso dell’elettrobisturi può comportare il rischio di lesionare la parete colica in corso di sezione delle aderenze tra il muscolo e il colon; infatti, la corrente dispersa dalla sua punta determina una fascicolazione del muscolo, che spinge in modo imprevedibile la punta dello strumento contro la parete colica. Quando la dissezione è condotta a contatto o in tutta prossimità della superficie intestinale, è sempre prudente utilizzare una forbice curva a punte smusse, preferibilmente non molto sottili.
Quando il muscolo è completamente distaccato dal colon si può accedere al piano fasciale posteriore, spostando medialmente il muscolo con un retrattore (Fig. 5). Ora si può penetrare nel cavo addominale, aprendo con forbice un opercolo tra il colon e il piano includente la fascia rettale posteriore e il peritoneo che le aderisce. Talvolta il colon aderisce più o meno estesamente e più o meno tenacemente alla superficie posteriore della fascia; ne deve essere distaccato con cautela, utilizzando una forbice a punte smusse. L’identificazione del piano di dissezione è agevolata dalla trazione esercitata verso l’alto sulla fascia posteriore, utilizzando un Kocher, e dalla delicata contro-trazione esercitata verso il basso sul colon, utilizzando le dita. Ottenuto l’accesso al cavo peritoneale, vi si può inserire il dito indice della mano sinistra, in modo da poter spingere in superficie la linea di fusione tra il colon e la fascia. Si prosegue con la forbice o con l’elettrobisturi la dissezione lungo questa linea. Il dito tiene il colon e il suo meso al di fuori della linea di sezione, proteggendolo da lesioni. Inoltre impedisce che si avvicinino anse intestinali all’area operativa. Il colon è in questo modo completamente liberato circonferenzialmente dalle connessioni parietali. Resta da sezionare una lamina pseudo-avventiziale, aderenziale, che tende a imbrigliare l’ansa colica (Fig. 6). Nelle figure 5 e 6 si può comprendere che tale lamina non è necessariamente in continuità con il peritoneo, rivestendo la superficie fasciale anteriore, il colon e il suo meso. Essa assomiglia alle membrane che si incontrano nell’isolamento del sacco peritoneale nel corso delle ernioplastiche inguinali. Non è necessario asportare radicalmente questa lamina. Personalmente la seziono e la asporto parzialmente fino ad ottenere una fisiologica distensione dell’ansa colica imbrigliatavi.
In passato alcuni chirurghi evitavano l’accesso al cavo peritoneale, lasciando il colon connesso alla fascia posteriore, al peritoneo e a tale membrana. La fascia posteriore era suturata al davanti del colon e del suo rivestimento membranaceo. Il colon rimaneva quindi extraperitoneale (39). Il vantaggio teorico consiste nell’evitare una peritonite in caso di deiscenza della sutura colica. La stessa parete colica resterebbe separata dal contatto con il materiale stercoraceo per l’interposizione della membrana. L’autore che nel 1945 descriveva questo approccio nella rivista Postgraduate Medical Journal osservava che “the limiting membrane may be, and often is, a layer of adventitious adhesions which provide adeguate isolation.”
La tecnica extra-peritoneale non è priva di rischi: restando il colon adeso alla fascia, il versante peritoneale non è visibile; quindi, nei passaggi dell’ago il colon o anse ileali potrebbero essere più facilmente lesionati. Inoltre l’ansa colica resta imbrigliata dalla suddetta membrana e non può essere ben distesa.
L’orientamento attuale è di posizionare il colon in sede intra-addominale, liberandolo da ogni connessione aderenziale (8).
– Sutura colica
In primo luogo deve essere asportato il cercine cutaneo, ancorato al contorno dello stoma. A tal fine si può utilizzare una forbice, il bisturi o l’elettrobisturi in modalità Coagulazione. L’elettrobisturi presenta il vantaggio di effettuare contemporaneamente una parziale emostasi sulla mucosa colica, facilmente sanguinante. Segue una delicata elettrocoagulazione sulla superficie cruentata della sottomucosa colica. La sutura dell’orifizio stomico può ora essere effettuata in vari modi (Fig. 7). In primo luogo si deve valutare se sia opportuno effettuarla longitudinalmente o trasversalmente all’asse intestinale. In generale, una sutura trasversale all’asse intestinale ha il vantaggio teorico di evitare una stenosi. L’ampio calibro del colon rende teorico questo vantaggio. Tuttavia, a mio parere una sutura trasversale è comunque preferibile, consentendo di resistere meglio alle sollecitazioni meccaniche esercitate dal contenuto intestinale sulla parete. Personalmente effettuo una sutura continua in duplice strato con filo a lento riassorbimento 2/0. La prima linea di sutura è a tutto spessore ed è iniziata con introflessione della mucosa al modo dei punti “Gambee” (9.10) In figura 8 è illustrato il punto Gambee e in figura 9 ne è evidenziato l’effetto introflettente. La sutura prosegue in questa modalità fino quando lo spazio tra i bordi dello stoma diventa insufficiente per introdurre l’ago nella mucosa. La sutura è allora proseguita con semplici passaggi extramucosi a decorso elicoidale. La seconda linea di sutura è siero-muscolare. Per quanto non vi sia evidenza che la seconda linea di sutura sia utile, preferisco non variare questo modo di procedere, non avendo finora mai osservato deiscenze nelle mie anastomosi manuali.
La sutura può comunque essere semplificata, effettuandola in un unico strato extramucoso (8).
Una semplice sutura a tutto spessore, come indicato in figura 10, è invece sconsigliabile, per l’effetto estroflettente sulla mucosa, che in questo modo tende a “infiltrarsi” tra i due piani siero-muscolari, come evidenziato in figura 11 e 12.
La sutura in continua con punti di Connel è un’altra possibilità: i passaggi del filo sono a tutto spessore, avanzando alternati a ciascun lato della linea di sutura con direzione ad essa parallela.
Un antico metodo consiste nell’effettuare la sutura in due strati, dei quali il primo mucoso con sutura continua, il secondo siero-muscolare con punti di Halsted (39). Il punto di Halsted (13) è mostrato in figura 13.
E’ opportuno osservare che l’applicazione di una sutura a punti staccati non ha alcun vantaggio rispetto a una sutura in continua. Quest’ultima è di più rapida esecuzione; inoltre, accosta i bordi con forza meglio distribuita e in modo assolutamente impermeabile.
Al termine della sutura il colon è affondato nel cavo addominale. Se la sutura è di modeste dimensioni ed è stata applicata su un tessuto che appare solido, ben vascolarizzato, non è necessario un drenaggio addominale. Alcuni autori mettono in discussione l’utilità dei drenaggi dopo chirurgia addominale, evidenziando che essi non riducono il rischio di fistola (31,32). Tuttavia, è opportuno richiamare l’attenzione sul vero significato del drenaggio: consentire il precoce riscontro di una fistolizzazione al fine di iniziare tempestivamente il trattamento operativo o conservativo della fistola. Quindi, se vi sono dubbi sulla tenuta della sutura, è ragionevole posizionare tramite separata incisione un morbido drenaggio di tipo laminare nel cavo di Douglas, fissandolo alla cute con un filo 0.
– Chiusura della parete addominale
— La sutura fasciale
La parete addominale è chiusa per strati. Per lo strato fasciale è raccomandabile un robusto filo a lento assorbimento 1 o 2. La sutura è confezionata a punti staccati o in continua, ben controllando che sul versante peritoneale non si approssimino anse intestinali durante il passaggio dell’ago. Inoltre, sul versante mediale della ferita è preferibile evitare che il muscolo retto sia incluso nel passaggio dei punti tra la fascia rettale anteriore e posteriore. In alcuni casi la fascia posteriore non è neppure agevolmente reperibile, essendosi retratta, oppure essendo estremamente malacica. Può essere allora sufficiente utilizzare solo la fascia anteriore per la sutura. In ogni caso personalmente preferisco chiudere la fascia con sutura continua, essendo di più rapida esecuzione. In generale una chiusura fasciale in continua non è inferiore a una chiusura fasciale a punti staccati (7).
Il laparocele è una ben nota complicanza di questo intervento. La sua percentuale è in media del 7% con variazioni tra gli studi comprese tra lo 0% e il 48% (3). Non è chiara l’utilità di una protesi in polipropilene in sede retromuscolare, al fine di prevenire il laparocele. Alcuni autori hanno riportato risultati soddisfacenti (22,44). E’ attualmente in corso un trial, per dare una risposta certa alla questione (33). L’incidenza di infezioni a livello della ferita non aumenta con l’utilizzo di una protesi in polipropilene, ma nel caso in cui si verificasse un’infezione la protesi complicherebbe certamente il trattamento. Per questo motivo si è provato ad utilizzare protesi biologiche. Sul tema vi sono due studi, dei quali uno ha dimostrato una riduzione nell’incidenza di laparocele nel gruppo di pazienti trattati con protesi biologica (24), mentre l’altro non ha evidenziato alcun beneficio nella prevenzione del laparocele (3). Il livello di evidenza è quindi molto basso. In una review sulla prevenzione del laparocele con protesi biologica su incisioni addominali è stato individuato un solo studio con il più elevato livello di evidenza e il più basso rischio di bias (28); esso non evidenzia alcun beneficio nel posizionamento profilattico di una protesi biologica dopo incisione mediana in pazienti con obesità patologica (36). Tuttavia, il posizionamento di una protesi biologica potrebbe essere razionale nel caso di un’ernia parastomale associata a una fascia fragile con bordi che si accostano in tensione. Inoltre, potrebbe essere indicata in presenza di più fattori di rischio per un laparocele. Alcuni studi hanno esaminato questi fattori di rischio in gruppi di pazienti sottoposti a chiusura di stomia. Pur con qualche discordanza sono stati identificati i seguenti fattori di rischio: le colostomie (rispetto alle ileostomie), il diabete mellito, l’obesità patologica, l’ernia parastomale e la razza nera (4,6,12,21,37,38). L’infezione della ferita, l’età, il genere, la presenza di peritonite all’epoca di confezionamento della stomia non sono risultati fattori di rischio.
— La sutura del sottocute e della cute
La sutura del sottocute e della cute per strati è associato a un’elevata incidenza di suppurazioni nel sottocute, fino al 40% dei casi (23,26,45). Sono state perciò sperimentate la chiusura della ferita con drenaggio sottocutaneo e la chiusura della ferita per seconda intenzione. Quest’ultimo metodo consente di ridurre significativamente le infezioni, ma comporta un lungo tempo di guarigione e una cicatrice piuttosto evidente. Il metodo che finora si è rivelato più interessante sia in termini di riduzione nell’incidenza di infezioni, sia in termini di soddisfazione per il risultato estetico, è la sutura circolare “ a borsa di tabacco” del sottocute e della cute, lasciando un orifizio cutaneo di circa 5 mm (1,5,14,19,19,20,25,26,27,30,35). Tramite l’orifizio è inserita una garza iodoformica, che è rimossa dopo 48 ore. Per la sutura cutanea è utilizzato un filo 2/0 assorbibile o non assorbibile. La rimozione del filo, se non assorbibile, è effettuata in decima – dodicesima giornata postoperatoria. Una variante prevede una sutura sottocutanea circolare in duplice strato seguita da una sutura intradermica con filo Vycril 0 (18).
La sutura cutanea a borsa di tabacco è associata a una percentuale di infezioni non superiore al 2% (23,48).
Personalmente accosto il sottocute in più strati, realizzando una sutura in continua per ogni centimetro e mezzo di spessore sottocutaneo. Il filo è a lento assorbimento 3/0. Lo strato più profondo aggancia il sottocute alla fascia. I due strati più superficiali non sono accostati nella porzione centrale. L’orifizio ovalare della cute è reso circolare, accostando la cute agli angoli con un filo in seta 2/0; infine, l’orifizio è ristretto con una borsa di tabacco in filo Vycril 2/0. Nel residuo pertugio centrale è introdotto uno zaffo iodoformico. Lo zaffo è rimosso entro le successive 48 ore, per evitare che diventi un focus di proliferazione batterica. In fig. 14 è mostrato il risultato al termine dell’intervento e in fig. 15 si può vedere il risultato dopo dodici giorni. Questo metodo appare adeguato ad evitare suppurazioni chiuse nel sottocute ed è esteticamente molto più soddisfacente di una guarigione per seconda intenzione.
Gestione postoperatoria
Il sondino naso-gastrico (SNG) è rimosso al termine dell’intervento. Nella mia esperienza non ho notato alcun vantaggio nel mantenere più a lungo il sondino. E’ attualmente riconosciuto che dopo un intervento di chirurgia colo-rettale il sondino naso-gastrico non ha alcuna utilità, eccetto il caso in cui vi sia un quadro occlusivo, caratterizzato da distensione idro-gassosa dell’intestino. Come scrive Bauer al termine della sua revisione (2), “la decompressione naso-gastrica profilattica non riduce i tempi per la ripresa della peristalsi, né riduce la durata della degenza ospedaliera; non riduce il tasso di infezione della ferita, di deiscenza e di laparocele; non previene le complicanze polmonari (atelettasia e polmonite da aspirazione), mentre favorisce la faringo-laringite. Il SNG profilattico non previene la nausea, il vomito e la distensione addominale.”Dopo chiusura di stomia l’unico motivo per mantenere nel periodo postoperatorio il SNG è un’occlusione intestinale. Questa situazione può verificarsi quando l’indicazione alla chiusura di stomia è posta per un suo malposizionamento, determinante un’occlusione intestinale. In tal caso il criterio decisionale per la rimozione del SNG è il volume di secreto gastrico drenato giornalmente.
Un’antibioticoprofilassi ad ampio spettro (per es amoxicillina-acido clavulanico) può essere prudenzialmente effettuata nei primi due-tre giorni postoperatori.
Il catetere vescicale è rimosso al termine dell’intervento o il mattino seguente.
La deambulazione è incentivata dal primo giorno postoperatorio.
In prima giornata postoperatoria giorno è iniziata un’alimentazione idrica. Dal secondo giorno postoperatorio il paziente può alimentarsi secondo desiderio, evitando alimenti con fibre vegetali.
In quarta o quinta giornata il drenaggio è rimosso, a condizione che l’alvo sia canalizzato e che la secrezione drenata sia sierosa.
Se la ferita cutanea era stata parzialmente suturata, lo zaffo iodoformico è rimosso in seconda o terza giornata. Il cavo residuo della ferita è deterso quotidianamente con Amukine Med.
La dimissione avviene tra la quarta e la quinta giornata, consigliando un’alimentazione priva di fibre vegetali fino alla decima giornata postoperatoria.
La guarigione della ferita è seguita ambulatorialmente. In questa sede si valuta se accelerare la guarigione, completando la chiusura della cute con punti. Se la sutura cutanea è a borsa di tabacco con filo non assorbibile, il filo è rimosso 10-12 giorni dopo l’intervento.
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Nota
L’autore di questo articolo esclude conflitti di interesse con aziende che commercializzano i prodotti citati nel testo o visibili nelle figure.