di Enrico Ganz

 

E’ ben noto che una rottura di milza può manifestarsi “a ciel sereno” in assenza di un evidente trauma. Si identifica questo tipo di rottura con le specificazioni “non traumatica” oppure “spontanea” (1,2,3,4,6). Evidentemente l’uso di questo secondo termine non è corretto, poiché vi è sempre una causa in un ogni evento patologico. 

La rottura non traumatica può essere causata da infezioni, in particolare malaria e  mononucleosi infettiva; da un trattamento con anticoagulanti o da deficit di fattori della coagulazione; da malattie ematologiche e da tumori o cisti spleniche; una dettagliata tabella etiologica può essere consultata nel lavoro di Tonolini e al (6).

In circa il 7% dei casi di rottura non traumatica la causa resta non identificata (5). Un’accurata anamnesi è fondamentale per ridurre al minimo questi eventi “misteriosi”, ma si può ben comprendere che anche con le più puntuali domande non sempre è possible ottenere dati orientativi: per esempio, una caduta, che non abbia lasciato nell’immediato alcuna conseguenza, potrebbe non essere ricordata dal paziente alcune settimane dopo il fatto. Eppure, potrebbe essere stata questa la causa di una piccola lacerazione splenica con conseguente ematoma, caratterizzato da una lenta espansione fino alla rottura capsulare e all’emoperitoneo. Eventi traumatici più o meno modesti, che sono abituali nella vita del paziente possono facilmente sfuggire all’anamnesi, non essendo identificati come tali. In un caso di massivo emoperitoneo da completo scollamento e rottura della capsula splenica, da me operato, il paziente, maestro di arti marziali, negò successivamente all’intervento di aver subito il benché minimo trauma nelle ultime settimane. E’ evidente che per un tale professionista non è considerabile “trauma” ciò che per altri probabilmente lo è e il sospetto che proprio un trauma, seppur lieve, sia stato la causa della rottura, è certo lecito in questo caso. In altri casi il paziente stesso può essere interessato a non riferire una violenza fisica subita da una persona che desidera proteggere da fastidi legali o della quale teme ritorsioni.

Se in alcuni casi l’incomprensibilità causale della rottura splenica dipende dal fatto che il paziente non è in grado di comprendere o di ricordare l’evento traumatico, in altri casi insistere nell’investigare sui dati anamnestici può consentire di chiarire il mistero. Ricordo di aver visitato mesi fa in ambulatorio un paziente dimesso con diagnosi di “rottura splenica spontanea”, non essendo stata identificata alcuna causa della rottura. La milza era volumetricamente nei limiti di norma, il parenchima splenico era risultato istologicamente normale e la ricerca sierologica, volta ad identificare infezioni da virus di Epstein-Barr o da Citomegalovirus, era risultata negativa. Incuriosito dal mistero di quella rottura, chiesi al paziente che attività stesse svolgendo all’esordio della sintomatologia. Egli rispose che aveva appena ingerito due cucchiai di bicarbonato di sodio per risolvere un problema di pirosi epigastrica. Subito dopo l’ingestione aveva avvertito un lancinante dolore tra ipocondrio sinistro e regione ombelicale. Dopo tre giorni, non risolvendosi il dolore al fianco sinistro, fu sottoposto a una TC addome, che evidenziò un ampio ematoma perisplenico. L’anemizzazione era ancora modesta (Hb 9,2). Intra-operatoriamente fu evidenziata una milza pluriframmentata.

E’ noto che la milza può rompersi per trazioni sull’omento, sullo stomaco e sul colon sinistro: le rotture iatrogene in corso di interventi addominali hanno frequentemente questa etiologia, come anche i rarissimi casi di rottura in corso di colonscopia, dove un fattore favorente è la presenza di aderenze (Di Lecce). Anche la gravidanza può raramente complicarsi con la rottura della milza per un analogo meccanismo. Non mi risulta che finora l’ingestione di bicarbonato sia stata segnalata quale causa di rottura splenica. Tuttavia, non dovrebbe meravigliare che lo possa essere, come causa o come concausa, considerando che una sovradistensione gastrica potrebbe mettere in tensione un corto legamento gastro-splenico, esercitandosi in tal modo una trazione sulla capsula splenica. In fig. 1 è riportata l’immagine tomografica evidenziatasi in questo particolare caso di rottura splenica.

Bibliografia

  1. Di Lecce F, Viganò P, Pilati S e al. Splenic rupture after colonscopy. A case report and review of the literature. Chir Ital 2007; 59(5): 755-7.
  2. Elvy A, Harbach L, Bhangu A. Atraumatic splenic rupture: a 6-year case series. Eur J Emerg Med 2011; 18(2): 124-6.
  3. Kocael PC, Simsek O, Bilgin IA e al. Charecteristics of patients with spontaneous splenic rupture. Int Surg 2014; 99(6): 714-8.
  4. Matykiewicz J, Gluszek S. Spontaneous rupture of the spleen – a rare case. Pol Przegl Chir 2011; 83(2): 105-7.
  5. Renzulli P, Hostettler A, Schoepfer AM e al. Systematic review of atraumatic splenic rupture. Br J Surg 2009; 96(10): 1114-21.
  6. Tonolini M, Ierardi AM, Carrafiello G. Atraumatic splenic rupture, an underrated cause of acute abdomen. Insights Imaging 2016; 7(4): 641-6.