LA GASTRECTOMIA - CAPITOLO 10.5

COMPLICANZE CARDIACHE E VASCOLARI

Infarto  miocardico

L’infarto miocardico è un’importante causa di mortalità dopo gastrectomia. Un dolore epigastrico e toracico, che assume caratteristiche diverse da quelle del dolore parietale postoperatorio, deve orientare all’esecuzione di un elettrocardiogramma e al dosaggio della troponina all’esordio dei sintomi e dopo 6 ore e 12 ore. Se si associa una riduzione della SatO2 e/o dispnea, è opportuno eseguire un’angioTC, per ricercare un’embolia polmonare. Il trattamento dell’infarto miocardico è di competenza cardiologica.

Edema  polmonare  acuto

In un cardiopatico l’edema polmonare è causato dallo stress chirurgico, da una crisi ipertensiva e/o da una sepsi. In caso di pressione arteriosa normale o elevata i capisaldi del trattamento sono:

– O2 8 L/min;

– furosemide 40 mg in bolo, ripetibile dopo 20 minuti;

– morfina 5 mg diluiti in 10 ml di soluzione fisiologica ev ripetibile una sola altra volta dopo alcuni minuti;

– acido acetilsalicilico 500-1000 mg ev in caso di febbre.

Un’ottima alternativa alla morfina è la nitroglicerina, che riduce il precarico rapidamente: 5 mg in 100 ml di soluzione fisiologica a 30 ml/ora, aumentabile fino ad ottenere una PAO diastolica < 90 mm Hg.

In caso di ipotensione è necessario un supporto inotropo cardiaco con dobutamina. Per un individuo di 60 Kg sono sufficienti 250 mg di dobutamina in 250 ml di soluzione fisiologica alla velocità di 25 ml/ora (7 microg/Kg/min). Si associa dopamina 200 mg in 250 ml di soluzione fisiologica alla velocità di 25 ml/ora (4,6 microg/Kg/min), aumentabile fino a 35 ml/ora.

Trombosi  della  vena  splenica

La trombosi della vena splenica è inusuale dopo gastrectomia; può complicare una pancreatite postoperatoria e si manifesta con splenomegalia. La splenectomia è indicata settimane o mesi dopo la diagnosi, se si manifesta ipersplenismo.

Trombosi  dell’asse  venoso  femoro-iliaco-cavale

Pur non complicanza tipica della gastrectomia, la trombosi femoro-iliaca è un’insidia sempre presente nei pazienti con neoplasia sottoposti ad intervento maggiore.

Il trattamento consiste nella somministrazione di eparina sodica 5000 U (1 ml) in 100 ml di soluzione fisiologica in 20 min, seguito da 17500 U (3,5 cc) in 250 ml di fisiologica ogni 12 ore. Un dettagliato schema terapeutico è riportato in tabella 10.5.1. L’efficacia farmacologica del trattamento è indicata da un valore di aPTT, controllato giornalmente, uguale o poco superiore a 60. In alternativa si somministra un’EBPM sc ogni dodici ore al massimo dosaggio consentito (per es enoxaparina 100UI/Kg ogni dodici ore) in rapporto al peso corporeo. Il warfarin, un anticoagulante orale, è somministrato in sostituzione dell’eparina in assenza di anemizzazione, preferibilmente dopo la sesta giornata postoperatoria e qualora non si manifesti una significativa componente ematica nel secreto dei drenaggi. La dose iniziale di warfarin è di 5 mg/die fino al raggiungimento di un valore dell’INR compreso tra 2,0 e 3,0. L’infusione eparinica è sospesa quando è ottenuto tale valore di INR. Successivi adattamenti posologici del warfarin sono necessari per mantenere l’INR entro i valori terapeutici. Il trattamento dicumarolico sarà proseguito per almeno un mese, in assenza di fattori che ne consiglino un trattamento a lungo termine. Una decisione sul successivo trattamento sarà presa dopo una rivalutazione dell’asse venoso con eco-colordoppler.

Un ulteriore provvedimento consigliabile è la posizione in scarico dell’arto, sollevando l’estremità del letto. Gli impacchi caldo-umidi sono un rimedio in disuso. Un bendaggio elastico all’arto è applicato dopo il riassorbimento dell’edema.

In presenza di una trombosi iliaco-femorale si deve valutare l’opportunità di posizionare sotto controllo fluoroscopico un filtro cavale. I vecchi modelli – tra cui quello più noto è il filtro di Greenfield – non erano rimovibili ed esponevano a gravi complicanze: migrazione, perforazione o occlusione cavale. Ne era dunque giustificato l’impiego solo in pazienti con malattia metastatica e sindrome di Trousseau, che non sopravvivevano più di alcuni mesi. In alternativa furono proposti filtri temporanei, ma essi non offrivano vantaggi: erano infatti connessi ad un’asta che sporgeva dal punto d’introduzione sotto l’inguine, impedendo la deambulazione. L’asta inoltre esponeva al rischio di trombosi cavale e femorale soprattutto in pazienti operati per neoplasia. Gli attuali filtri cavali non necessitano del mantenimento in situ dell’asta. Previa anestesia locale e sotto controllo radiologico essi sono inseriti in posizione chiusa sulla guida di un catetere introdotto attraverso una vena giugulare fino alla vena cava inferiore. L’apertura e l’ancoraggio del filtro alla parete vascolare si verifica nel momento della sua fuoriuscita dal catetere. La rimozione dl filtro prevede l’inserimento di un dispositivo di aggancio attraverso un analogo catetere.

Embolia polmonare

Talora nel postoperatorio uno o più emboli raggiungono l’arteria polmonare originando da un trombo formatosi nell’asse femoro-iliaco o più raramente nella vena succlavia che accoglie il catetere venoso centrale. La sintomatologia dell’embolia polmonare può essere assente o consistere in dispnea, tachicardia e dolore retrosternale gravativo. Il trombo origina spesso nell’asse iliaco-femorale e prima dell’embolizzazione è frequentemente asintomatico. E’ essenziale innanzitutto escludere un evento ischemico cardiaco con l’ECG, quindi un focolaio broncopneumonico con un RX torace. Il rilievo radiografico di una riduzione della vascolarizzazione polmonare periferica o un ilo allargato depone per un’embolia polmonare, ma spesso l’indagine è negativa o evidenzia rilievi aspecifici, come lieve versamento pleurico. L’emogasanalisi arteriosa evidenzia una riduzione della pO2 e l’ossimetro segnala una riduzione della SatO2. Negli esami emato-chimici si osserva comunemente un innalzamento dei prodotti di degradazione del fibrinogeno, ma questo dato non è molto specifico; la sensibilità è del 90-100%, mentre la specificità è del 10-70% con metodo ELISA (Becker, 1996). Nel periodo postoperatorio la specificità dei PDF è particolarmente bassa. Un importante strumento diagnostico è l’angioTC.  L’angioTC ha specificità e sensibilità superiore al 90% (Van Rossum, 1996). L’angiografia polmonare e la scintigrafia polmonare sono procedure piuttosto indaginose e in disuso. Inoltre la scintigrafia polmonare fornisce risultati che non sono inequivocabili: la probabilità che siano corretti è correlata alla probabilità del sospetto diagnostico e nel paziente chirurgico i risultati negativi sono poco affidabili (Worsley, 1994; 1995). L’angiografia a sottrazione d’immagine con mezzo di contrasto ev evita il cateterismo polmonare, ma frequenti artefatti da movimento possono limitare l’utilità dell’esame (Rosso, 1989). L’ecocolordoppler iliaco-femoro-popliteo può consentire di localizzare il trombo nel 98% dei casi (Bradley, 1993; Lewis, 1994); ha perciò sostituito la venografia, indagine sensibile ma più indaginosa, ed è una modalità interessante per sostanziare il sospetto clinico di embolia polmonare, evitando i più impegnativi esami necessari per la dimostrazione diretta dell’evento embolico. L’ecocardiografia può evidenziare una discinesia o una dilatazione del ventricolo destro, un’arteria polmonare destra dilatata e nei casi più gravi anche l’embolo. Se l’embolo è dimostrato ecograficamente, la mortalità è del 50% (Farfel, 1987).

Il trattamento dell’embolia polmonare consiste nella somministrazione di:

– ossigeno 12 L/min in caso di severa dispnea e comunque in rapporto alla SatO2;

– eparina sodica 5000 U in 100 ml di soluzione fisiologica in 15 min, seguite da 20.000 U in 250 ml di fisiologica in 12 h. Un dettagliato schema terapeutico è riportato in tabella 10.5.1. L’efficacia farmacologica del trattamento è indicata da un valore di aPTT, controllato giornalmente, uguale o poco superiore a 60. L’infusione eparinica è proseguita fino all’inizio d’azione del warfarin.

– papaverina 40 mg ev in 100 ml di soluzione fisiologica in bolo, seguiti da 40 mg in 250 ml di fisiologica in tre ore;

– warfarin o altro dicumarolico. E’ somministrato in assenza di anemizzazione, preferibilmente dopo la sesta giornata postoperatoria e qualora non si manifesti una significativa componente ematica nel secreto dei drenaggi. La dose iniziale di warfarin è di 5 mg/die fino al raggiungimento di un valore dell’INR compreso tra 2,0 e 3,0. L’infusione eparinica è sospesa quando è ottenuto tale valore di INR. Successivi adattamenti posologici del warfarin sono necessari per mantenere l’INR entro i valori terapeutici. Il trattamento dicumarolico sarà proseguito per almeno un mese, in assenza di fattori che ne consiglino un trattamento a lungo termine. Prima della sua sospensione sarà perciò necessario controllare con ecocolordoppler l’evoluzione della trombosi venosa profonda, che fu inizialmente causa dell’embolia polmonare.

– trombolitico. Il trattamento con streptochinasi, urochinasi o rt-PA può essere di beneficio solo in pazienti con embolia massiva e solo se associato al trattamento eparinico (Dalla Volta, 1992). Nei casi meno gravi il rapporto rischio/beneficio è eccessivamente elevato, per l’elevata incidenza di sanguinamenti soprattutto nel paziente di età superiore a 70 anni o con ipertensione (Kanter, 1997). Come trombolitico può essere utilizzato indifferentemente rt-PA (100 mg in due ore), streptochinasi o urochinasi. Tuttavia in caso di precedente utilizzo di streptochinasi, è preferibile evitare questa molecola, contro la quale nell’organismo possono essersi formati anticorpi neutralizzanti. I trombolitici non hanno indicazione nel periodo postoperatorio.

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– posizionamento di un filtro cavale. Per l’indicazione a questo provvedimento si veda la precedente sezione “Trombosi dell’asse venoso femoro-iliaco-cavale”. Il posizionamento del filtro cavale in assenza di trattamento eparinico associato è opportuno in caso di coesistente ematoma intra-addominale con recenti segni di ressi.

Invitando a considerare l’opportunità di valutare caso per caso quale possa essere il livello di appropriatezza terapeutica per un paziente debilitato dall’associarsi di una grave embolia polmonare con i recenti esiti di una gastrectomia, si ricordano qui le generali indicazioni al trattamento chirurgico dell’embolia polmonare:

– all’angiografia indice di Miller > 27;

– alla scintigrafia riduzione della perfusione = > 60%;

– pressione media dell’arteria polmonare > 35 mm Hg;

– ipotensione arteriosa persistente (Tai, 1999).

Tramite sternotomia mediana si espone il tronco comune dell’arteria polmonare, incidendo il pericardio e il piano fasciale tra aorta e arteria polmonare. E’ quindi condotta una dissezione tra aorta e arteria polmonare, mantenendosi a stretto contatto della parete aortica. Si posizionano punti di repere sul tronco dell’arteria polmonare e dopo clampaggio parziale con pinza di Cooley il tronco è inciso. La vena cava è clampata e il tronco polmonare declampato, per accedere con la cannula dell’aspiratore al suo lume e aspirare l’embolo; il clamp è riapplicato sul tronco polmonare e la vena cava declampata. Segue la sutura dell’incisione arteriosa.

L’utilizzo di un by pass cardio-polmonare non migliora l’esito (Stulz, 1994). Il maggior fattore prognostico negativo è un arresto cardio-circolatorio prima dell’intervento: in questo caso la mortalità postoperatoria è superiore al 60% (Clarke, 1986).

Un arresto cardio-circolatorio successivo ad embolia polmonare ha possibilità di essere reversibile se il trattamento è tempestivo ed energico: rianimazione cardio-respiratoria, intubazione con infusione di O2 al 100%, instillazione rapida di adrenalina intratracheale fino al dosaggio di 10 mg in attesa del posizionamento di una via venosa centrale, se assente. 

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