LA GASTRECTOMIA - CAPITOLO 2.3

INDICAZIONI ALLA GASTRECTOMIA:

ADENOCARCINOMA DEL CARDIAS

L’incidenza dell’adenocarcinoma del cardias è in aumento nel Paesi dell’Ovest, in particolare negli USA. Nel periodo 1964-68 i tumori del cardias rappresentavano il 33% di tutti i tumori dello stomaco presso l’Università del Michigan Medical Center; nel periodo 1976-80 essi ne costituivano il 60% presso il VA Hospital di Durhan (Meyers, 1987). E’ stato stimato un aumento degli adenocarcinomi cardiali compreso tra il 4% e il 10% per anno nel decennio 1976-87. E’ un aumento superiore ad ogni altro tipo di tumore (Blot, 1991). Facendo riferimento al National Cancer Institute’s Surveillance, Epidemiology, and End Results database, negli USA l’incidenza dell’adenocarcinoma esofageo e cardiale è aumentata di sei volte dal 1975 al 2001 (Pohl, 2005) e questa tendenza è stata confermata anche recentemente (Bartel, 2019). Un aumento di incidenza è stato notato anche in Svezia (Walther, 2001) e verosimilmente interessa altri Paesi europei. Dati frammentari sono acquisibili per l’area asiatica, dove è stata riscontrato un graduale, ma modesto, aumento di incidenza in Giappone e in Malesia, mentre l’incidenza è stabile in Hong Kong (Hatta, 2017).

Si distinguono due forme di adenocarcinoma del cardias: l’adenocarcinoma originante da cellule gastriche, che ha comportamento biologico analogo a quello di un tumore dello stomaco, e quello derivante dalla mucosa metaplasica di Barrett, che ha un comportamento biologico analogo a quello di un tumore dell’esofago.

In realtà, può essere difficile distinguere l’adenocarcinoma del cardias gastrico dall’adenocarcinoma cardiale di origine esofagea; per individuarne l’origine è utile esaminare la mucosa adiacente al tumore: il riscontro di una displasia sul versante gastrico orienta ad un’origine gastrica del tumore; epitelio cilindrico compatibile con metaplasia di Barrett sul versante esofageo orienta a un’origine esofagea.

 

Adenocarcinoma del cardias gastrico

I fattori di rischio sono analoghi a quelli associati al carcinoma gastrico: infezione da Helicobacter pylori, genere maschile, abuso di alcool, la sindrome ereditaria del cancro gastrico diffuso. Tra le malattie genetiche sono associate a maggior rischio di adenocarcinoma gastrico la sindrome di Peutz-Jeghers (Giardiello, 2000), la poliposi familiare del colon (Jagelman, 1988), la sindrome di Lynch (Koornstra, 2009) e la sindrome di Li-Fraumeni (Masciari, 2011).

Rispetto all’adenocarcinoma su mucosa di Barrett è meno elevato il rapporto maschi/femmine, meno frequentemente associata l’ernia iatale, più distale la localizzazione e meno frequenti le localizzazioni metastatiche nei linfonodi mediastinici (fig. 2.3.5b).

 

Adenocarcinoma su metaplasia di Barrett

Si stima che l’incidenza di adenocarcinoma esofageo negli individui con metaplasia di Barrett sia quaranta volte superiore a quella della popolazione generale (Spechler, 1984). L’adenocarcinoma su metaplasia di Barrett si presenta inizialmente sotto forma di una placca di pochi millimetri di diametro, successivamente si sviluppa in una formazione voluminosa polipoide o in una massa escavata e infiltrante, stenosante. Ha le caratteristiche epidemiologiche dell’adenocarcinoma esofageo: rapporto maschi/femmine = 7/1, incidenza maggiore nella razza bianca (Blot, 91) e in età superiore a 50 anni, incidenza non modificata dall’infezione gastrica da Helicobacter pylori. Tra i fattori di rischio principali vi è il reflusso gastro-esofageo cronico e il fumo (Devesa, 1998). L’obesità è un fattore di rischio per adenocarcinoma del cardias (Kubo, 2006) e questo dato sarebbe in relazione con la maggiore incidenza di reflusso gastro-esofageo negli obesi. Un altro fattore di rischio è la carenza di vegetali e di vitamine nella dieta (Wheeler, 2012).

La metaplasia di Barrett (fig. 2.3.1) è una lesione precancerosa che si sviluppa nel terzo inferiore dell’esofago nel 6-14% dei pazienti con reflusso gastro-esofageo per l’effetto lesivo della secrezione gastrica sulla normale mucosa esofagea. Sulla scorta di dati sperimentali è stato ipotizzato che il processo origini da cellule embrionali della giunzione gastro-esofagea, che residuano da un epitelio embrionale. L’epitelio embrionale è normalmente sostituito da cellule che esprimono p63, elemento essenziale per la normale proliferazione cellulare in un tessuto. Tuttavia, nell’ambito della mucosa cardiale residuano alcune cellule embrionali. Quando le cellule della mucosa giunzionale perdono la funzione di p63 per effetto del reflusso acido, le cellule embrionali si aggregano competitivamente per formare un epitelio intestinale analogo a quello descritto come “metaplasia di Barrett” (Wang, 2011). In un altro studio sperimentale sono stati utilizzati topi transgenici IL-1β, in cui l’espressione di hIL-1β è stata ottenuta utilizzando come promotore il virus Epstein-Barr (Quante, 2012); l’origine della metaplasia è stata individuata in cellule progenitrici che migrano dal cardias per effetto di un’incrementata espressione di IL-1β/IL-6 in presenza di una dieta contenente acidi biliari.

Circa lo 0,5-1% dei pazienti con metaplasia di Barrett sviluppa un adenocarcinoma su mucosa di Barrett (Wheeler, 2012). In corso di follow up endoscopico è stato riscontrata un’incidenza di trasformazione maligna in 1 paziente ogni 210 pazienti per anno (Alcedo, 2009).

La metaplasia di Barrett è definita “lunga” o “corta”, quando interessa l’esofago per un tratto rispettivamente maggiore o minore di tre centimetri; si distingue in “gastrica fundica” e “intestinale” (tab 2.3.1). Solo quest’ultima è associata a rischio di adenocarcinoma. Nelle aree di metaplasia l’epitelio può diventare displasico. Si distingue una forma lieve e grave di displasia.

Se non vi è displasia, è consigliabile un controllo endoscopico con biopsia e citologia ogni due anni e, in caso di displasia lieve, ogni sei mesi. In caso di displasia lieve con segni di flogosi attiva è necessario un energico trattamento antisecretivo e procinetico con periodici controlli endoscopici. La displasia non regredisce con trattamento antisecretivo, ma ne è rallentata l’evoluzione alla forma grave. In alternativa ai controlli endoscopici, effettuabili ogni 6-12 mesi, si può scegliere l’eradicazione della mucosa con ESD (Spechler, 2014).

Se una displasia grave con flogosi attiva è rilevata per la prima volta, cioè in assenza di precedenti dati endoscopici e istologici, è indicato un energico trattamento antisecretivo e procinetico, seguito da controllo endoscopico e istologico dopo tre mesi. Se al controllo è confermata la displasia grave, si deve considerare che il 40% dei pazienti ha già un carcinoma microinvasivo (Edwards, 1996). E’ perciò proponibile l’esecuzione di numerose biopsie sull’epitelio di Barrett, con studio istologico effettuato su numerose sezioni di ciascuna biopsia da un patologo esperto (Levine, 1993).

Se non è individuato un carcinoma micro-invasivo, in alternativa al trattamento chirurgico si può tentare di eseguire un’ablazione endoscopica della mucosa displasica o metaplasica. Tra le varie tecniche ablative della mucosa displasica o metaplasica si ricorda la mucosectomia e l’ablazione termica, che può essere effettuata con elettrocoagulazione, con neodimium YAG laser a 10 Watt (Jarmo, 1998) o con laser a CO2 o ad argon. Tra queste possibilità il laser ad argon ha penetrazione più superficiale con minori rischi. Infine, la terapia fotodinamica utilizza una radiazione ottica di determinata lunghezza d’onda, per attivare una sostanza porfirinica fotosensibilizzante, precedentemente somministrata. In questo caso la necrosi tessutale è causata dai radicali liberi. Concluso il trattamento, è effettuato un successivo controllo endoscopico dopo sei mesi.

Nel caso di evoluzione a carcinoma in situ o T1a, è proponibile l’ESD (dissezione sottomucosa endoscopica); essa è risultata la più convincente tecnica endoscopica per il trattamento (Wang, 2014). A questa tecnica possono essere associati trattamenti ablativi per asportare la restante mucosa metaplasica. Si deve considerare che negli adenocarcinomi T1a il rischio di metastasi linfonodali è dell’1-2%; tale valore è considerato compatibile con la proposta di un approccio endoscopico. Meno prudente appare l’approccio endoscopico definitivo nel caso di tumore T1b, essendovi un rischio di metastasi linfonodali > 10% (Lin, 2013). Tuttavia, l’asportazione endoscopica può essere un adeguato trattamento anche in queste situazioni, qualora il trattamento chirurgico sia contro-indicato per eccessivo rischio anestesiologico.

Esula dagli scopi di questo volume riportare la diagnostica e il trattamento complessivo degli adenocarcinomi del cardias. Saranno trattati nel seguito alcuni aspetti del trattamento, che sono controversi e pertinenti con il tema di questa monografia: l’estensione della resezione esofago-gastrica e la linfoadenectomia. Infatti, la gastrectomia può essere il momento di una più complessa procedura chirurgica per il trattamento del tumore del cardias, che prevede la resezione di parte o di tutto l’esofago, associata o meno a una linfoadenectomia variamente estesa ai distretti addominale, mediastinico e cervicale.

 

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Tab. 2.3.1 Tipi istologici nella mucosa di Barrett ( da Pathologica 1998; 90: 467-73)

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1 – MB con epitelio colonnare di tipo gastrico cardiale (giunzionale), caratterizzato da un’architettura similfoveolare gastrica con epitelio superficiale colonnare e ghiandole mucose di tipo cardiale, talora dilatate. Vi possono essere rare, sparse cellule caliciformi.

n.b.

L’esofago di Barrett di tipo cardiale differisce di solito dalla mucosa gastrica cardiale per la presenza di distorsione ghiandolare, edema ed infiltrati infiammatori cronici.

2 – MB con epitelio colonnare di tipo gastrico fundico, caratterizzato da architettura analoga alla mucosa ossintica, a superficie foveolare con epitelio superficiale mucosecernente e ghiandole costituite da cellule principali e parietali; sono presenti rare cellule endocrine. Le ghiandole sono separate da abbondante tessuto connettivo della lamina propria che conferisce un aspetto atrofico alla mucosa. Assenza di differenziazione intestinale (il reperto di mucosa fundica, non atrofica, è suggestivo di ernia iatale).

3 – MB con epitelio colonnare di tipo intestinale (specializzato) caratterizzato da una superficie villiforme con epitelio costituito da cellule caliciformi (goblet cells) e da cellule colonnari; in profondità sono presenti ghiandole simili alle cripte rivestite da cellule cuboidali siero-mucose, con cellule enterocromaffini. Rare le cellule endocrine, le cellule di Paneth e di tipo assorbente con orletto a spazzola.

n.b.

Le ghiandole sono spesso contigue alla muscularis mucosae e poggiano su di essa con fibrocellule muscolari che sfioccano nella lamina propria. (reperto suggestivo di pregressa lesione ulcerativa con rigenerazione epiteliale sullo strato muscolare).

4 – MB di tipo misto (combinazione dei vari tipi con i più vari mosaicismi (cardiale + fundico; cardiale + specializzato; fundico + specializzato; cardiale + fundico+ specializzato).

n.b.: in presenza di EB di tipo gastrico, in qualsiasi localizzazione, e’ da segnalare l’eventuale presenza di metaplasia intestinale.

La diagnosi differenziale si pone con le seguenti condizioni:

– mucosa gastrica eterotopica (condizione congenita; più spesso localizzata nel terzo superiore dell’esofago, è costituita da ghiandole di tipi fundico o cardiale-antrale).

– residui embrionali (epitelio colonnare ciliato, che riveste l’esofago embrionale fino al 7 mese di vita fetale; sono localizzati di solito al terzo superiore dell’esofago).

– residui tracheo-bronchiali (di tipo amartomatoso).

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2.3.1

Fig. 2.3.1

Metaplasia di Barrett

2.3.2

Fig. 2.3.2

Metaplasia di Barrett (particolare)

 

Classificazione

All’inizio del capitolo l’adenocarcinoma del cardias è stato differenziato in due entità caratterizzate da differente istopatogenesi, differenti fattori di rischio e differente epidemiologia.

Per le decisioni terapeutiche è da molti ritenuta utile la classificazione di Siewert, che definisce tre tipi di tumore in rapporto alla loro localizzazione in tre aree del cardias (fig. 2.3.3) (Siewert, 1998). Il cardias è identificato in un’area che si estende 5 cm cranialmente e 5 cm caudalmente alla giunzione esofago-gastrica. La giunzione è indicata dal reperto endoscopico di transizione tra mucosa esofagea e mucosa gastrica, definito “linea Z”. I tumori della mucosa cardiale localizzabili endoscopicamente, tomograficamente ed eventualmente ecoendoscopicamente nella loro porzione centrale più di 2 cm caudalmente alla giunzione esofago-gastrica sono definiti “di tipo III”, sono adenocarcinomi e si considerano appartenenti allo stomaco (tab. 2.3.3). I tumori della mucosa cardiale localizzabili tra 1 cm e 5 cm prossimalmente alla linea Z sono di tipo I; quelli localizzabili tra 1 cm prossimalmente e 2 cm distalmente alla linea Z sono di tipo II; sono considerati tumori esofagei, originanti da metaplasia intestinale (cosiddetto epitelio di Barrett) dell’esofago.

Nell’ultima edizione (VIII edizione, 2018) il tipo Siewert II è stato incluso nel sistema di stadiazione del tumore gastrico (Samm, 2020).

 

Trattamento chirurgico: gastectomia o resezione gastrica prossimale associata a resezione esofagea transtoracica? 

L’adenocarcinoma del cardias con grado di infiltrazione T1b, T2 e T3 può essere trattato chirurgicamente con

– gastrectomia D2 estesa all’esofago per via transiatale, resecando un segmento esofageo lungo almeno 5 cm prossimalmente al polo craniale del tumore; l’estensione della resezione deve essere ampliata in presenza di infiltrazione del margine di resezione all’esame istologico estemporaneo.

– esofagectomia parziale transtoracica, resezione gastrica prossimale, linfoadenectomia a due campi (addominale e mediastinico) e ricostruzione con tubulo gastrico.

L’adenocarcinoma T1a può essere trattato con ESD solo in Centri endoscopici con elevata eperienza. Per questa esperienza sono necessari volumi di attività quali si riscontrano in alcuni Paesi orientali con elevata incidenza di adenocarcinoma gastrico/cardiale e con elevata tecnologia. In caso contrario il trattamento non può discostarsi da quello proponibile per tumori con maggior grado di infiltrazione, fatta eccezione per la minore estensione della linfoadenectomia.

Al fine di definire la scelta del trattamento chirurgico più appropriato è opportuno considerare la sede del tumore nell’ambito della regione cardiale, riferendosi alla classificazione di Siewert (Curtis, 2014). Infatti, i tumori di tipo I hanno un drenaggio linfatico diretto verso il mediastino e verso il tronco celiaco, mentre i tumori di tipo III hanno un drenaggio linfatico molto più limitato in ambito mediastinico e più esteso in ambito sovramesocolico (fig 2.3.5a-b). Meno chiaro è il comportamento dei tumori di tipo II: inizialmente considerati alla stregua dei tumori di tipo I, nel 2018 sono stati inclusi nel sistema di stadiazione TNM del tumore gastrico.

Il tipo III dovrebbe essere trattato con gastrectomia, resezione esofagea transiatale e linfoadenectomia includente i linfonodi paracardiali, della piccola curva gastrica, dell’arteria gastrica sinistra, celiaci, splenici prossimali, dell’arteria epatica comune e mediastinici inferiori (Rudiger, 2000), posto che all’esame istologico estemporaneo risultino negativi i margini di sezione esofagea. Se i margini risultassero positivi, la resezione esofagea dovrebbe essere ampliata, ricorrendo all’accesso transtoracico.

Il drenaggio linfatico del tumore del cardias di tipo III si svolge lungo l’arteria gastrica sinistra verso il tronco celiaco e verso l’ilo renale sinistro. I linfonodi del legamento epato-duodenale sono raramente interessati. E’ noto che una delle vie linfatiche del cardias si svolge lungo l’arteria gastrica posteriore fino ai linfonodi dell’arteria splenica e paraoartici. Tuttavia, i linfonodi dell’ilo splenico sono coinvolti raramente. L’asportazione dei linfonodi dell’ilo renale, retro-pancreatici e para-aortici non aumenta la sopravvivenza e dunque non deve essere effettuata.

Storicamente il tipo II è stato associato al tipo I, mentre gli autori della più recente edizione TNM considerano il tipo II analogo al tipo III per comportamento biologico e prognosi. Non è dimostrabile una chiara superiorità della resezione esofago-gastrica per via addominale e toracica con tubulizzazione gastrica (intervento di Ivor-Lewis) rispetto alla gastrectomia (Martin, 2015; Omloo, 2007). E’ stato proposto di differenziare il trattamento tra tumori cT1/cT2 N- G1/2 di tipo intestinale e tumori più avanzati o con maggiore aggressività biologica; quindi,  di effettuare nei casi cT1/cT2 N- G1/2 di tipo intestinale una gastrectomia D2 estesa all’esofago per via transiatale, resecando un segmento esofageo lungo almeno 5 cm prossimalmente al polo craniale del tumore in assenza di infiltrazione del margine di resezione all’esame istologico estemporaneo. Nei casi più avanzati o con caratteristiche di maggiore aggressività la scelta tra l’intervento di Ivor-Lewis e la gastrectomia con resezione esofagea distale si potrebbe invece porre in rapporto all’ambito di maggiore estensione – rispettivamente esofagea o gastrica – della neoplasia (Hölscher, 2020). Tuttavia, il trial clinico randomizzato JCOG9502 non ha evidenziato alcun beneficio sulla sopravvivenza con un approccio transtoracico sinistro rispetto alla gastrectomia nei tumori Siewert II e III (Kurokawa, 2015).

In conclusione, attualmente appare abbastanza evidente che i tumori Siewert II e III sono trattabili preferibilmente con gastrectomia e resezione parziale dell’esofago per via transiatale.

Il tipo I dovrebbe essere trattato combinando esofagectomia parziale intra-toracica (livello di sezione orientativamente a livello della vena azygos), resezione gastrica prossimale, linfoadenectomia a due campi e ricostruzione con tubulo gastrico. E’ opportuno  asportare i linfonodi dei primi quattro rami dell’arteria gastrica sinistra e i linfonodi para-esofagei, che sono una caratteristica sede di deposito metastatico (fig. 2.3.4). I linfonodi della grande curva sono sempre esenti da metastasi. Tra i linfonodi paraortici addominali sono caratteristicamente interessati i linfonodi dell’ilo renale sinistro.

Si deve considerare che nel 10-17% dei casi i linfonodi cervicali hanno depositi metastatici (Kato, 1991; Lerut, 2004). Inoltre, più in generale, nei carcinomi del cardias possono essere metastatizzati i linfonodi addominali, mediastinici e cervicali con caratteristico interessamento “a salti”: stazioni linfonodali negative interposte a stazioni linfonodali positive. Nel mediastino superiore si dovrebbero asportare i linfonodi paraesofagei, paratracheali, dell’arteria anonima e dell’arco aortico, in rapporto con i ricorrenti; nel mediastino medio i linfonodi carenali e dell’ilo polmonare; nel mediastino inferiore i linfonodi paraesofagei e diaframmatici.

Se si decidesse di effettuare una linfoadenectomia cervicale, sarebbe necessario asportare:

– i linfonodi cervicali profondi laterali lungo il nervo accessorio spinale;

– i linfonodi cervicali profondi esterni, intorno alla vena giugulare interna, e inferiormente i linfonodi sovraclavicolari;

– i linfonodi cervicali profondi interni, lungo il nervo ricorrente, comprendenti i linfonodi paraesofagei e paratracheali.

 

2.3.3

Fig. 2.3.3

Classificazione anatomo-topografica dei carcinomi in regione cardiale: ne sono distinti tre tipi in rapporto alla loro distanza dalla giunzione gastro-esofagea (G)

 

Complessivamente una linfoadenectomia “a tre campi”, cioè addominale, mediastinica e cervicale, potrebbe raggiungere il numero massimo di circa ottanta linfonodi.

Tuttavia, una linfoadenectomia a tre campi non appare utile. E’ stato dimostrato che nei tumori dell’esofago l’esofagectomia radicale con asportazione in blocco dei linfonodi non aumenta la sopravvivenza rispetto a quella transiatale senza linfoadenectomia (Goldminc, 1993). Sembra che la migliori quando sono metastatici meno di quattro linfonodi e comunque solo nei tumori esofagei del 1/3 medio e superiore, ma non in quelli del cardias. In particolare i pazienti con tumore del cardias beneficiano poco della linfoadenectomia cervicale, in quanto non solo l’incidenza di metastasi ai linfonodi cervicali è relativamente modesta, ma è anche elevata l’incidenza di metastasi ematogene. Inoltre, una linfoadenectomia a tre campi è associata a significativa incidenza di danni ai ricorrenti e a lunga durata dell’intervento, che comporta un aumento delle complicanze polmonari. Un tale atteggiamento non sarebbe proponibile, né sarebbe utile sopra i 70 anni, cioè nella maggior parte dei pazienti, perché l’aumento di mortalità postoperatoria vanifica il tentativo di aumentare la sopravvivenza libera da malattia.

L’esame dei più importanti studi disponibili nel 2012 (Hölscher, 2020; Sasako, 2006; Omloo, 2007; Yang, 2012) precisa ulteriormente la complessità nel definire la migliore strategia chirurgica per ciascun paziente: nei tumori di tipo I e II avanzati non vi sono complessivamente differenze a lungo termine (dieci anni) tra resezione gastro-esofagea transtoracica con tubulizzazione gastrica per via addominale (intervento di Ivor-Lewis) e gastrectomia allargata all’esofago per via transiatale. Solo un sottogruppo di pazienti con tumore di tipo I o II, che presenta all’esame istologico non più di otto linfonodi positivi, ha una sopravvivenza dopo esofagectomia e linfoadenectomia mediastinica che è maggiore di quella osservata dopo gastrectomia con resezione esofagea transiatale. La qualità di vita non differisce significativamente tra i due tipi di trattamento. Nel caso di tumore di tipo III l’esofagectomia non migliora la sopravvivenza e aumenta la morbilità.

Ci si potrebbe infine chiedere se negli adenocarcinomi di tipo I non sia più opportuno effettuare una gastrectomia rispetto a una gastroresezione superiore. Infatti, in caso di conservazione parziale dello stomaco la trancia di sezione gastrica è risultata infiltrata in circa il 4% dei pazienti (Akiyama, 1980). In realtà non è stata riscontrata una differenza nella sopravvivenza a 5 anni in rapporto all’estensione della gastrectomia (Launois, 1993). Negli adenocarcinomi di tipo I la costante assenza di metastasi nei linfonodi della grande curva giustifica la gastroresezione prossimale (fig. 2.3.4) nel caso che la resezione esofagea sia abbastanza estesa da non consentire un’anastomosi esofago-digiunale; la gastroresezione prossimale consente una più rapida ed agevole ricostruzione digestiva, evitando di ricorrere a ricostruzioni complesse, come l’esofago-colonplastica, che è associata a maggiore morbilità.

Concludo, osservando che la classificazione di Siewert è considerata utile per definire la strategia terapeutica, ma in pratica non è sempre definibile la correlazione tra il centro del tumore e la fascia topografica della classificazione. Dunque, la decisione terapeutica deve essere presa caso per caso, valutando nei limiti del possibile l’estensione della neoplasia nell’esofago e nello stomaco e la distribuzione dei linfonodi sospetti, tomograficamente ed ecoendoscopicamente evidenziabili.

 

2.3.4

Fig. 2.3.4

Tubulizzazione gastrica nel trattamento del carcinoma squamoso e dell’adenocarcinoma dell’esofago. La linea di sezione inizia sulla piccola curva circa 6 centimetri prossimalmente al piloro. I quattro rami superiori dell’arteria gastrica sinistra sono inclusi nell’exeresi, potendo essere sede di metastasi

Trattamenti integrati

I risultati del trattamento chirurgico dell’adenocarcinoma del cardias sono piuttosto deludenti. Il tumore del cardias è diagnosticato spesso tardivamente e nel 50% dei casi l’intervento non è radicale. La sopravvivenza a cinque anni nei pazienti sottoposti ad intervento radicale è del 20% e le recidive frequenti. Il 90% delle recidive si verifica entro due anni dopo l’intervento e il 40% è loco-regionale, frequentemente linfonodale (Clark, 1994). Purtroppo la linfoadenectomia non aumenta complessivamente la sopravvivenza, come conferma il confronto tra l’ampia esperienza internazionale di esofagectomie con linfoadenectomia a tre campi e quella di esofagectomie per via transiatale, che rinuncia alla linfoadenectomia, per ridurre mortalità e morbilità (Orringer, 2007). Nel caso di adenocarcinoma di tipo I o comunque esteso all’esofago le recidive anastomotiche sono molto frequenti, se non è asportato almeno un segmento esofageo di dieci centimetri esente da infiltrazione prossimalmente al limite craniale macroscopico del tumore. Ma anche in caso di ampia resezione esofagea la recidiva anastomotica si verifica nel 10% dei casi. La sopravvivenza media dopo recidiva nel carcinoma dell’esofago è di quattro mesi e non è aumentata significativamente con il trattamento radio – chemioterapico (Law, 1996) o chirurgico se non occasionalmente.

Dopo asportazione apparentemente radicale del tumore primitivo le metastasi ematogene sono frequenti e interessano più comunemente il fegato, seguito da polmone, ossa, peritoneo e cute. Per questo motivo il carcinoma dell’esofago T2-4 è considerabile una malattia sistemica già al momento dell’intervento e non si può che riporre speranza nell’efficacia di un trattamento complementare con chemioterapia ed eventualmente radioterapia.

 

2.3.5a

 

Fig. 2.3.5a

2.3.5c

Fig. 2.3.5b

Fig. 2.3.5 a, b Dati storici relativi alle localizzazione delle metastasi linfonodali nell’adenocarcinoma del cardias tipo I (in alto) e III (in basso).

 

La chemioterapia si avvale di combinazioni di alcuni tra i seguenti farmaci: fluoro-uracile, cisplatino, oxaliplatino, paclitaxel, docetaxel, leucovorin, epirubicina, capecitabina.

Orientativamente i tumori Siewert I rientrano nei trattamenti riservati ai tumori esofagei, mentre i tumori Siewert II e III nei trattamenti riservati ai tumori gastrici. Le indicazioni al trattamento sono date da un grado di infiltrazione cT3 o da positività linfonodale.

La chemioterapia preoperatoria consente di ridurre sensibilmente la percentuale di resezioni con residuo R1 e di aumentare la sopravvivenza nei pazienti che presentano risposta patologica alla chemioterapia e residuo R0 dopo resezione di adenocarcinoma esofageo (Kelsen 2007), in particolare se la chemioterapia è associata alla radioterapia e se la risposta patologica al trattamento è completa (Van Meerten, 2009). Tuttavia, le diverse meta-analisi disponibili non evidenziano un chiaro beneficio in termini di aumento della sopravvivenza (overal survival, OS) (linee guida AIOM, 2019).

La radioterapia utilizzata nel carcinoma dell’esofago è del tipo conformazionale tridimensionale. Una meta-analisi Cochrane ha evidenziato che la radioterapia preoperatoria migliora solo del 4% dei casi la sopravvivenza a 5 anni dei pazienti con neoplasia esofagea potenzialmente resecabile e il risultato non è stato statisticamente significativo (Arnott e al. OCCG, 2005).

Gli studi sull’efficacia della radio-chemioterapia neoadiuvante rispetto alla sola chirurgia non sono concordi nell’evidenziare un miglioramento della sopravvivenza. Tuttavia, le meta-analisi più recenti (Geh, 2006; Graham, 2007; Sjoqvist, 2011; Urschel, 2003; Wang, 2012) evidenziano una correlazione tra il trattamento neoadiuvante e un aumento significativo della sopravvivenza a due anni, in particolare nell’adenocarcinoma dell’esofago, per il quale la riduzione del rischio di mortalità a tre anni è stata del 18%, superiore a quello del carcinoma squamoso. Una meta-analisi del 2018 ha evidenziato un beneficio in termini di OS a 5 anni e di tasso di resezioni R0 nel caso di tumori dell’esofago e della giunzione gastro-esofagea (Zhao, 2018); le linee guida AIOM ricordano che la qualità degli studi valutata secondo il Cochrane Collaboration’s risk of bias tool è bassa, orientando a definire “positiva debole” la raccomandazione di effettuare una radio-chemioterapia preoperatoria nel trattamento dell’adenocarcinoma della giunzione gastro-esofagea Siewert I e Siewert II cT3/N+.

La chemioterapia perioperatoria ha fornito risultati interessanti, utilizzando tre cicli di cisplatino, fluorouracile ed epirubicina prima e dopo l’intervento. Essa è stata valutata nell’adenocarcinoma del cardias e dello stomaco resecabili in uno studio randomizzato (MAGIC trial; Cunningham, 2006), mostrando un aumento della sopravvivenza a cinque anni dal 23% al 36% rispetto alla sola chirurgia con aumento di pT1 e pT2 rispetto alla sola chirurgia. Un più recente studio randomizzato (Ychou, 2011) ha confermato questo beneficio. Si deve tuttavia considerare che molti pazienti non sono nelle condizioni di iniziare o di tollerare lo schema chemioterapico postoperatorio. Schemi chemioterapici alternativi con taxani (fluoro-uracile, leucovorin, oxaliplatino, docetaxel) hanno fornito risultati anche migliori di quello adottato nel trial MAGIC (Al-Batran, 2019). La chemioterapia perioperatoria è dunque indicata nell’adenocarcinoma cT3/N+ Siewert II-III (linee guida AIOM, 2019).

Non vi sono trial clinici sulla chemioterapia postoperatoria nell’adenocarcinoma dell’esofago. Rispetto al trattamento pre-operatorio essa ha frequentemente effetti collaterali maggiori, che ne richiedono la sospensione.

E’ stato finora escluso il beneficio di una radio-chemioterapia postoperatoria rispetto a una chemioterapia postoperatoria.

La radioterapia postoperatoria non ha fornito risultati confortanti nel carcinoma squamoso esofageo e non trova impiego clinico neppure nell’adenocarcinoma esofageo; è utilizzzabile con finalità palliativa dopo resezione con residuo tumorale.

 

 

Bibliografia

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