LA GASTRECTOMIA - CAPITOLO 5 (PARTE2)
Dati storici derivanti dagli studi sulla linfoadenectomia nell’adenocarcinoma gastrico
Come anticipato, riporto sinteticamente, di paragrafo in paragrafo, alcune evidenze scientifiche storiche che hanno contribuito a definire gli attuali orientamenti in tema di linfoadenectomia nell’adenocarcinoma gastrico. Esse costituiscono un insieme di nozioni che è opportuno conoscere, potendo essere utili per definire al meglio il piano chirurgico in ogni singolo caso.
– L’incidenza di metastasi linfonodali per neoplasia gastrica T2-4 nelle diverse regioni dello stomaco (antro, 1/3 medio, fondo) è indicata con valori percentuali nella seguente tabella (Maruyama, 1989):
Da questi dati derivano due importanti linee di condotta chirurgica:
– in caso di tumore del corpo e del fondo gastrico non è necessario asportare le stazioni 5 e 6 (linfonodi sovra- e sotto-pilorici);
– in caso di tumore dell’antro (qualsiasi T) e del corpo gastrico T1 e T2 non è necessario asportare le stazioni 2 (linfonodi paracardiali di sinistra) e 10 (ilo splenico).
Si consideri che nell’adenocarcinoma del 1/3 distale una successiva casistica giapponese ha evidenziato un’incidenza del 7% nel gruppo 2, del 4% nel gruppo 10, dell’8% nel gruppo 13, del 13% nel gruppo 16 con sopravvivenza a cinque anni dello 0% quando sono metastatici i linfonodi dei gruppi 2, 10, 13, e del 18%, quando sono metastatici i linfonodi del gruppo 16.
Tab. 5.4 Incidenza delle metastasi nelle stazioni 12 (epato-duodenale) e
13 (retropancreatica) in relazione alla sede e alla profondità di invasione
– Si è evidenziato che l’asportazione dei linfonodi perigastrici, paracardiali, del tronco celiaco e dei suoi rami aumenta la sopravvivenza rispetto a quella dei soli linfonodi perigastrici solo se le metastasi linfonodali sono confinate in queste sedi (Siewert e al, 1993; Nishi, 1993).
– La sola asportazione dei linfonodi perigastrici è indicata per i rari adenocarcinomi cT1a NX M0 che necessitano di una gastrectomia (vedi capitolo 2.2).
– In caso di adenocarcinoma cT1b NX M0 con indicazione alla gastrectomia (si veda il capitolo 2,2) può essere indicata una linfoadenectomia D1+ (stazioni 1,2,3,4,5,6,7,8a,9,11p).
– In caso di tumore T2 localizzato nel corpo o nel fondo gastrico l’estensione delle metastasi linfonodali non è definibile visivamente. Comunque, l’asportazione dei linfonodi perigastrici, del tronco celiaco con i suoi rami e del legamento epato-duodenale è stato ritenuto un adeguato trattamento (Kaibara, 1990). Le attuali linee guida JGCA, sopra riportate (tab. 5.3), hanno lievemente ridefinito e precisato questa indicazione. Nel 4% dei casi sono interessati da micrometastasi anche i linfonodi paraortici. Com’è noto, la loro asportazione non migliora la sopravvivenza.
– L’asportazione dei linfonodi del tronco celiaco e dei suoi rami aumenta la mortalità e la morbilità postoperatoria (mortalità: 10% versus 5% dopo asportazione dei soli linfonodi perigastrici; morbilità: 45% versus 27% dopo asportazione dei soli linfonodi perigastrici) (Dent, 1988; Robertoson, 1994; Bonenkamp, 1995) ed è frequentemente correlabile all’asportazione della milza e della coda pancreatica. La linfoadenectomia del tronco celiaco e dei suoi rami con conservazione del pancreas è stata associata a una mortalità del 7-8%, a una morbilità complessiva del 21% e a una morbilità chirurgica del 17% (De Giuli, 1998).
– Per quanto riguarda l’utilità terapeutica della linfoadenectomia D2, si deve ricordare che il Dutch Gastric Cancer Trial non evidenziò una differenza nella sopravvivenza a cinque anni tra linfoadenectomia D1 e D2 (45% vs 47%), mentre vi fu un significativo aumento della mortalità e della morbilità dopo resezione D2 (rispettivamente 10% vs 4% e 43% vs 25%). Il rischio di recidiva a cinque anni in caso di resezione R0 D1 fu significativamente più elevato che dopo resezione R0 D2 ((48% vs 37%) (Bonenkamp, 1999). Si è successivamente osservato che nel gruppo di pazienti con tumori prossimali e linfoadenectomia D2 erano comprese pancreasectomie distali e splenectomie, con conseguente aumento di mortalità e di morbilità; inoltre, non sempre era stata eseguita una linfoadenectomia corrispondente alla categoria prefissata. Elementi questi, che hanno condotto a impostare diversamente l’analisi dei risultati (Songun, 2010), evidenziando che la percentuale di morte correlata al tumore è stata significativamente più alta nel gruppo D1 (48%) in confronto con il gruppo D2 (37%); che le recidive locali sono state 22% nel gruppo D1 in confronto al 12% nel gruppo D2; che le recidive regionali furono 19% nel gruppo D1 in confronto al 13% nel gruppo D2 (Songun, 2010).
Per tentare di comprendere se una linfoadenectomia D2 sia giustificabile, si può considerare che il Gastrointestinal Intergroup Trial osservò un aumento della sopravvivenza e del controllo delle recidive, ma non un migliore controllo delle metastasi, nei pazienti sottoposti a chirurgia e a radio-chemioterapia postoperatoria rispetto ai pazienti sottoposti esclusivamente a chirurgia. Se si considera che il 90% dei pazienti era stato sottoposto a linfoadenectomia D1 e che in questo trial la sopravvivenza a lungo termine migliorò in modo simile a quella che il Dutch Gastric Cancer Group evidenziò dopo radio-chemioterapia solo nel suo gruppo di pazienti sottoposti a resezione R1 e a linfoadenectomia D1, si può pensare che la chemio-radioterapia dia i maggiori benefici in caso di adenocarcinoma dello stomaco con residuo tumorale linfonodale e/o extralinfonodale. In un’altra ottica, i risultati del Gastrointestinal Intergroup Trial orientano a ipotizzare che la linfoadenectomia D2 migliori la sopravvivenza, “compiendo il lavoro” della radio-chemioterapia postoperatoria nei casi D1. In secondo luogo, questi risultati orientano a ipotizzare che un’accurata linfoadenectomia D2 possa evitare la necessità di una radio-chemioterapia postoperatoria. Tuttavia, la radio-chemioterapia resterebbe comunque un provvedimento prudenziale per la difficoltà di determinare l’accuratezza di una linfoadenectomia.
In un recente lavoro retrospettivo su 656 pazienti sottoposti a gastrectomia tra il 1994 e il 2015 la linfoadenectomia D2 ha aumentato la sopravvivenza globale mediana (l’intervallo di tempo dopo il quale il 50% dei pazienti è deceduto) rispetto alla linfoadenectomia D1 da 16 mesi a 37 mesi, la sopravvivenza a 5 anni (43,2% vs 26%) e la sopravvivenza a 10 anni (30,6% vs 9,4%). La linfoadenectomia D2 è risultata un fattore prognostico indipendente per sopravvivenza a 10 anni in tutti i livelli N (Wohnrath, 2019).
– L’asportazione dei linfonodi paraortici in aggiunta a quelli perigastrici, del tronco celiaco con i suoi rami e del legamento epato-duodenale non ha aumentato la sopravvivenza in pazienti con adenocarcinoma T3 o T4, mentre ha aumentato la morbilità (Maeta, 1999).
– Controversa è l’utilita di una linfoadenectomia “posteriore” 8p, 12b/p e 13. Il trial randomizzato JCOG 9501 non ha evidenziato un beneficio in termini di sopravvivenza (Sasako, 2008), sicché queste stazioni non sono inserite nella linfoadenectomia D2 standard dalle linee guida JGCA. Tuttavia, qualche autore italiano argomenta la prudenzialità nell’asportare queste stazioni posteriori nelle forme avanzate del terzo prossimale e nelle forme avanzate con istotipo diffuso del terzo distale, essendo queste le situazioni a maggior rischio di metastasi in 8p, 12b/p e 13 (De Manzoni, 2017; Marrelli, 2017).
– In presenza di metastasi extralinfonodali o di citologia peritoneale positiva la linfoadenectomia è controindicata, perché non aumenta la sopravvivenza.
– In caso di tumore T4b vi sono frequentemente metastasi viscerali o peritoneali o una citologia peritoneale positiva oppure non è resecabile l’organo infiltrato. In queste situazioni la linfoadenectomia è sempre stata considerata controindicata. Negli anni ’90 era invece controversa tra gli autori giapponesi l’opportunità di una linfoadenectomia radicale comprendente i linfonodi retropancreatici, mesenterici e paraortici, se la resezione dell’organo infiltrato fosse stata fattibile, non vi fossero state metastasi e la citologia peritoneale fosse stata negativa. Attualmente, la propensione per linfoadenectomie “estreme” è stata molto ridimensionata e si è preso atto che non è mai utile una linfoadenectomia più estesa di quella definita “D2”, includente le stazioni 1,2,3,4,5,6,7,8a,9,11p,10,11d,12a nel caso di gastrectomia per tumore gastrico non infiltrante l’esofago e le stazioni 1,2,3,4,5,6,7,8a,9,11p,10,11d,12a,19,20,110,111 in caso di adenocarcinoma gastrico infiltrante l’esofago.
– In presenza di metastasi extralinfonodali o di citologia peritoneale positiva la linfoadenectomia è controindicata, perché non aumenta la sopravvivenza.
– L’asportazione dei linfonodi dell’ilo splenico e dell’arteria splenica potrebbe essere razionale, ma non chiaramente utile, nell’adenocarcinoma del fondo non avanzato in particolare se localizzato sulla grande curva. Si consideri che i tumori del fondo sono associati a discreta sopravvivenza solo se non sono avanzati e danno origine a metastasi nei linfonodi splenici più frequentemente dei tumori in altra sede gastrica: i linfonodi splenici sono interessati da metastasi nel 4% dei tumori T1 e T2 dell’antro, nel 4% e nel 10% rispettivamente dei tumori T1/T2 e T3 del 1/3 medio, nel 10% e nel 20% rispettivamente dei tumori T1/T2 e T3 del 1/3 superiore (Keller, 1994, Maruyama, 1989; Noguchi, 1989; Isozaki, 1993). Il fondamento di questo fenomeno sta nel fatto che il fondo gastrico e la milza hanno un comune drenaggio linfatico. L’asportazione dei linfonodi dell’ilo splenico e dell’arteria splenica è stata tradizionalmente eseguita asportando la milza, il corpo e la coda pancreatica. L’elevato rischio di pancreatite, fistola pancreatica, ascesso subfrenico e diabete mellito associato a questa procedura convinse Maruyama ad elaborare nel 1995 una tecnica pancreas-preserving. Essa prevede l’asportazione di milza, ilo splenico e arteria splenica con il tessuto linfo-cellulare che l’accompagna. La conservazione del pancreas non compromette la radicalità oncologica. Infatti, i vasi linfatici del territorio pancreatico decorrono nel tessuto sottosieroso del pancreas, ma non nel parenchima. Dunque, possono esservi localizzazioni metastatiche peripancreatiche, ma non intrapancreatiche.
Tecnicamente si procede come segue: sezionato il duodeno, lo stomaco è ribaltato in alto e cranialmente per consentire la sezione del rilievo peritoneale prodotto dai vasi gastrici di sinistra sul bordo superiore del pancreas (nella descrizione originale della tecnica si procede asportando caudo-cranialmente il rivestimento peritoneale dalla superficie anteriore del pancreas). In questo modo si accede al tessuto fibro-adiposo e linfoghiandolare che copre il tripode celiaco; questo tessuto è asportato, dissecando l’arteria epatica comune, gastrica sinistra, celiaca e splenica. L’arteria splenica è sezionata distalmente all’origine dell’arteria dorsale del pancreas. Se l’arteria pancreatica dorsale non è evidenziata, la legatura e la sezione dell’arteria splenica è effettuata all’origine. Sezionato il legamento spleno-colico, spleno-renale, spleno-diaframmatico e la radice del mesocolon trasverso a sinistra del peduncolo colico medio, si medializza e si solleva il blocco spleno-pancreatico, si incide la membrana che riveste la superficie posteriore della vena splenica, si asporta l’arteria splenica con tutto il tessuto adiposo e linfatico retropancreatico; si seziona infine la vena gastrica posteriore allo sbocco nella vena splenica e la vena splenica a livello della coda pancreatica (fig. 5.10).
Fig. 5.10
Asportazione dei linfonodi 10 e 11 con l’arteria splenica e la milza (da Maruyama). E’ sezionato il foglietto che riveste la vena splenica, per condurre la dissezione tra tessuto linfatico e superficie posteriore del pancreas. Collaterali dell’arteria splenica sono legate. La vena splenica è legata e sezionata in prossimità della coda pancreatica.
Non è necessario asportare la vena splenica per tutta la sua lunghezza, poiché non vi sono connessioni linfatiche tra il cellulare perivenoso e i linfatici periarteriosi. Dopo l’asportazione dell’arteria splenica la vascolarizzazione della coda pancreatica è garantita dall’arteria pancreatica dorsale, originante dai due centimetri prossimali dell’arteria splenica, dal tronco celiaco o dall’arteria mesenterica superiore.
– Non è chiaro il rapporto rischio/beneficio connesso alla linfoadenectomia delle stazioni spleniche nei tumori del fondo gastrico e della metà sinistra della grande curva gastrica. Attualmente una linfoadenectomia radicale delle stazioni peri-spleniche, ottenibile con una splenectomia, non appare complessivamente associata a un chiaro beneficio per la sopravvivenza, non solo perché è dubbia l’effettiva radicalità oncologica della procedura – stante l’ampia diffusione metastatica per via linfatica nei tumori del fondo gastrico – ma anche per l’aumento della morbilità (Brady, 1991) e della mortalità postoperatoria conseguente alla splenectomia. Vi è chi propone la splenectomia nell’adenocarcinoma del fondo gastrico in caso di coinvolgimento macroscopico dei linfonodi peri-splenici o di infiltrazione del legamento gastro-splenico o della stessa milza. E’ evidente che in queste situazioni la malattia può essere considerabile sistemica e perciò in questa decisione devono confluire anche altri elementi di valutazione, quali la restante estensione anatomica del tumore e le condizioni fisiche del paziente, non potendo prescindere un soddisfacente risultato terapeutico dalla possibilità di condurre una radio-chemioterapia postoperatoria.
– Il tentativo di effettuare una linfoadenectomia 10 e 11 radicale, conservando la milza e i vasi pancreatici appare arduo: più del 70% dei linfonodi 10 e del 60% dei linfonodi 11 possono essere lasciati in sede, nonostante un’apparenza di radicalità della dissezione (Kanai, 1967). Uno studio più recente ha illustrato una tecnica di linfoadenectomia 10 e 11 che consente la completa asportazione dei linfonodi (Sugimachi, 1985) e tale obbiettivo è facilitato integrando la convenzionale modalità di dissezione con un dissettore ad ultrasuoni (Uyama, 1996). Questa procedura potrebbe essere stata fattibile nei pazienti di razza orientale, la cui adiposità retroperitoneale è modesta e non ostacola eccessivamente la dissezione attorno alle più sottili ramificazioni vascolari. Sicuramente è arduo applicare tali tecniche alla maggior parte dei pazienti di razza europea e comunque la loro utilità è stata messa in discussione anche in Giappone, poiché appare più agevole, sicura e innocua la linfoadenectomia con asportazione della milza e dell’arteria splenica.
– Pur essendo indicative le schede sulle correlazioni trovate tra sede del tumore e sede delle metastasi linfonodali, non è infrequente trovare linfonodi interessati da metastasi in stazioni che ne dovrebbero essere esenti (Elias, 1999).
– In tabella 5.5a e b si riporta il numero medio di linfonodi asportabile chirurgicamente o in corso di autopsia per ciascuna stazione linfonodale.
L’attenta considerazione dei dati riportati in questo capitolo dovrebbe consentire di definire per ciascun caso la migliore linfoadenectomia associabile a una resezione gastrica per adenocarcinoma dello stomaco.
Linfoadenectomia, aspetti tecnici
Accenniamo qui agli aspetti tecnici della linfoadenectomia del tronco celiaco e dei suoi rami.
I linfonodi del tronco celiaco e dei suoi rami sono asportati più agevolmente dopo la sezione del duodeno. L’omento e lo stomaco sono trazionati in alto e cranialmente per agevolare l’accesso alla regione celiaca. Il tessuto fibro-adiposo e linfatico del tronco celiaco e dell’arteria epatica comune può essere dissecato con delicata forbice a punte smusse, conducendo la dissezione lungo il piano avventiziale, ma fastidiosi gemizi ematici possono rendere difficoltosa la prosecuzione dell’intervento. L’utilizzo alternativo di una pinza bipolare consente di effettuare una microemostasi continua in corso di dissezione, mantenendo il campo più pulito.
I linfonodi dell’arteria gastrica sinistra sono asportati in blocco con l’arteria: sollevato lo stomaco e sezionata la piega peritoneale prodotta sul bordo superiore del corpo pancreatico dai vasi gastrici sinistri, l’arteria gastrica sinistra è legata e sezionata all’origine dal tronco celiaco (fig. 5.7); separatamente è legata e sezionata la vena gastrica sinistra, reperita in prossimità dell’arteria.
Si riportano di seguito alcune note dapprima sulla linfoadenectomia dell’arteria epatica propria, che rientra nel livello D2, e successivamente di stazioni che attualmente non sono indicate, rientrando nel livello D3.
Linfoadenectomia dell’arteria epatica propria
E’ preceduta dalla sezione del peritoneo sul versante sinistro del legamento epato-duodenale e prevede la legatura e sezione dell’arteria gastrica destra all’origine e la legatura e sezione della vena gastrica destra allo sbocco nella vena porta.
Linfoadenectomia retropancreatica
Richiede il preventivo abbassamento della flessura epatica del colon e manovra di Kocher. Questa manovra inizia con l’incisione del peritoneo all’esterno della C duodenale dal foro di Winslow alla terza porzione duodenale; lo scollamento retroduodeno-pancreatico è condotto da destra a sinistra dapprima sulla fascia di Gerota, che riveste il grasso perirenale, poi sulla superficie anteriore della vena renale destra fino alla vena cava inferiore.
La dissezione linfonodale del peduncolo epatico può essere proseguita posteriormente lungo la vena porta e successivamente in direzione caudale e a destra sulla superficie posteriore della testa pancreatica, raggiungendo in questo modo la stazione linfonodale retro-pancreatica.
Linfoadenectomia dell’arteria mesenterica superiore
Il colon trasverso è retratto cranialmente e la matassa del piccolo intestino è spostata a destra. L’arteria mesenterica superiore è identificabile alla giunzione tra mesentere e mesocolon trasverso, laddove essa incrocia anteriormente il duodeno. Localizzato il decorso dell’arteria, si può ora rilasciare la matassa intestinale e spostare caudalmente il colon trasverso, per accedere al tessuto cellulo-linfatico che riveste l’arteria mesenterica superiore cranialmente all’arteria colica media. Nel corso della linfoadenectomia deve essere prestata attenzione a sottili arterie che originano dal versante sinistro dell’arteria mesenterica superiore. I limiti della dissezione sono indicati dall’origine dell’arteria mesenterica superiore, dal tronco di Henle a destra e dai vasi digiunali inferiormente.
In caso di linfoadenectomia D4 con intento curativo erano asportati anche i linfonodi paraortici fino all’origine dei vasi iliaci comuni. Non era invece compreso il gruppo linfonodale retro-aortico, composto da cinque – sei linfonodi posti davanti alla III e IV vertebra lombare. Infatti, essi non ricevono linfa direttamente dai visceri, ma dai linfonodi paraortici. Se lo scopo della linfoadenectomia D4 era di ottenere una stadiazione, si asportavano solo i linfonodi tra aorta e ilo renale sinistro.
Tecnica ricostruttiva dopo gastrectomia
Si riportano in questa sezione alcune note sui tempi operatori relativi all’esofago-digiunoplastica in Y, che è la ricostruzione più frequentemente utilizzata dopo gastrectomia per rapidità di esecuzione e garanzia di un adeguato meccanismo antireflusso. In alternativa all’EDP in Y le ricostruzioni più interessanti sono l’interposizione esofago-duodenale, l’EDP in Y con pouch secondo Lygidakis e varianti dell’esofago-digiunoplastica secondo Daido. Altri tipi di ricostruzione sono occasionalmente utilizzati oppure sono di interesse storico. Tutte le possibilità ricostruttive descritte in letteratura sono illustrate nel capitolo 7. Dettagli sulla tecnica delle anastomosi sono riportate nel capitolo 8.
– Sezione del digiuno.
Il meso del digiuno è sezionato trasversalmente circa 40-50 centimetri distalmente al Treitz, controllando con trans-illuminazione il decorso dei vasi digiunali. La transilluminazione è effettuata collocando una lampada scialitica sopra la testa del paziente con fascio diretto cranio-caudalmente e dall’alto al basso. Il fascio della seconda lampada scialitica è allontanato dal campo operatorio. E’ importante selezionare un’area del ventaglio mesenteriale sufficientemente larga (intendendosi per “larga” la distanza tra bordo mesenteriale del digiuno e arteria mesenterica superiore) da consentire l’ascesa del digiuno al moncone esofageo senza tensione. La sezione del meso è effettuata con elettrobisturi in modalità “Coagulazione”. I vasi digiunali sulla linea di sezione sono clampati in successione con Klemmer o con Pean, sono sezionati con forbice tra i clamp e sono legati con filo 3/0 a lento assorbimento.
– Sezione del digiuno in corrispondenza della breccia mesodigiunale.
I caso – Si prevede di confezionare manualmente l’anastomosi esofago-digiunale in modalità termino-laterale e manualmente l’anastomosi al piede dell’ansa.
In questo caso è vantaggioso effettuare la sezione intestinale con una pinza GIA.
II caso – Si prevede di confezionare l’anastomosi esofago-digiunale con pinza EEA e l’anastomosi digiuno-digiunale in modalità termino-laterale manuale.
In questo caso si può evitare l’utilizzo della GIA per la sezione digiunale. La sezione è eseguita con elettrobisturi in modalità “Coagulazione” tra clamp intestinali.
– Sutura siero-sierosa affondante sul moncone digiunale distale.
La linea di sutura del moncone del braccio digiunale efferente, ovvero l’ansa che sarà anastomizzata all’esofago, è affondata con una seconda linea di sutura manuale in filo 2/0 o 3/0 a lento assorbimento. Questa sutura non è effettuata, se si prevede di eseguire un’anastomosi esofago-digiunale meccanica con pinza EEA, dovendosi introdurre tale pinza circolare tramite il moncone digiunale aperto.
– Sutura siero-sierosa affondante sul moncone digiunale del braccio duodeno-digiunale.
Questa sutura è effettuata se si prevede di confezionare l’anastomosi al piede dell’ansa in modalità latero-laterale manuale. La linea di sutura meccanica è affondata con una seconda linea di sutura, che è confezionata manualmente in filo 2/0 o 3/0 a lento assorbimento.
Se si prevede di confezionare l’anastomosi al piede dell’ansa in modalità termino-laterale manuale, la sutura affondante non è eseguita.
– Apertura di una breccia nel mesocolon per il passaggio dell’ansa digiunale.
In primo luogo l’ansa digiunale efferente è condotta all’esofago in posizione antecolica, al fine di comprendere dove potrebbe essere praticata una breccia nel mesocolon trasverso, per consentirne il passaggio con la minore trazione possibile sul suo mesentere. La matassa intestinale è allora retratta caudalmente, dopo averla avvolta con un’ampia garza umida. Il colon trasverso è sollevato e la sua superficie è visualizzata con trans-illuminazione, per identificarne un’area priva di vasi, nella quale praticare una breccia per il passaggio dell’ansa digiunale efferente. In questa sede si apre con forbice o con elettrobisturi una breccia di circa tre centimetri.
In alternativa si può preferire una posizione antecolica della ricostruzione, che non richiede l’apertura della breccia mesocolica.
– Passaggio transmesocolico del braccio digiunale efferente.
Il braccio digiunale efferente è condotto all’esofago, evitando torsioni sul suo meso.
– Anastomosi esofago-digiunale termino-laterale meccanica o manuale.
I dettagli di questa anastomosi sono riportati nel capitolo 8. Se si decide di eseguire l’anastomosi con pinza EEA e la sezione digiunale è stata effettuata con GIA, la linea di sutura con graffette sul braccio digiunale deve essere asportata con l’elettrobisturi, al fine di aprire il moncone per il passaggio della pinza EEA.
– Anastomosi digiuno – digiunale latero-laterale manuale.
L’anastomosi latero-laterale “al piede dell’ansa” è effettuata circa un centimetro prossimalmente alla linea di sutura del moncone duodeno-digiunale affondato. Si utilizza un filo 2/0 o 3/0 a lento assorbimento. Per i dettagli tecnici si veda il capitolo 8. Il diametro dell’anastomosi è di circa tre centimetri. Una maggior ampiezza dell’anastomosi non è utile, transitandovi esclusivamente secreto bilio-pancreatico.
In alternativa, l’anastomosi può essere confezionata in modalità termino-laterale manuale.
Al termine della ricostruzione scelta (esofago-digiuno- o esofago-colon-plastica) l’intervento è concluso con:
– colecistectomia. Non è un provvedimento essenziale, ma si deve considerare non solo che la colecisti perde significato funzionale dopo ricostruzioni escludenti il transito duodenale, ma anche che la sezione dei nervi vaghi comporta una sua denervazione. Ne consegue ipotonia e dilatazione della colecisti, che può tradursi in sintomatologia dispeptica. Inoltre, nel lungo termine la stasi biliare espone al rischio di colelitiasi.
– eventuale ridimensionamento della breccia mesocolica a punti staccati con filo assorbibile 2/0, ponendo infine anche un paio di punti tra il suo contorno e il braccio digiunale efferente che vi transita. Inoltre, devono essere ricercati altri eventuali pertugi mesenterici, nei quali potrebbe impegnarsi un’ansa intestinale con rischio di occlusione intestinale postoperatoria. Essi sono chiusi a punti staccati in filo assorbibile 3/0.
– posizionamento di un catetere digiunostomico. Tale provvedimento non è condiviso da tutti gli operatori. La digiunostomia può essere utile in caso di deiscenza anastomotica postoperatoria, essendo necessario un prolungato digiuno per un trattamento conservativo della fistola. Inoltre, essa può essere utile nel paziente con malnutrizione, per integrare nel periodo postoperatorio la nutrizione parenterale e successivamente quella per os.
– posizionamento percutaneo di un drenaggio laminare multilume sotto-epatico. Il drenaggio attraversa con leggera obliquità in direzione craniale e mediale gli strati della parete addominale tra ipocondrio e fianco destro. La sua estremità interna è introdotta attraverso il foro di Winslow posteriormente al peduncolo epatico ed è adagiata sulla superficie anterore del pancreas. Un solido punto non assorbibile lo fissa alla cute.
– posizionamento percutaneo di due drenaggi multilume laminari in prossimità dell’anastomosi esofagea. I drenaggi attraversano con leggera obliquità in direzione craniale e mediale gli strati della parete addominale tra ipocondrio e fianco sinistro. Le loro estremità sono posizionate rispettivamente davanti e dietro l’anastomosi esofagea.
– posizionamento del sondino esofageo nel braccio digiunale efferente. Il sondino è spinto caudalmente dall’anestesista ed è fissato alla narice nella posizione indicata dal chirurgo operatore. In tempi recenti si è diffuso l’orientamento a non posizionare necessariamente il sondino.
– conta delle garze, dei tamponi, degli aghi e della strumentazione.
– chiusura dell’addome per piani: peritoneo e fascia rettale posteriore con filo a lento assorbimento 0; fascia rettale anteriore con filo a lento assorbimento 2; sottocute con filo a rapido o a lento assorbimento 2/0 o 3/0. Di regola la sutura peritoneale è eseguita in continua. Le successive suture possono essere a punti staccati o continue. La cute è suturata con graffette o con punti Donati in filo 3/0 non assorbibile (seta, Nylon o altra resina sintetica).