Il Padre Nostro
Immagini nella luce di una preghiera“Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome”
Πάτερ ἡμῶν ὁ ἐν τοῖς οὐρανοῖς
ἁγιασθήτω τὸ ὄνομά σου·
Gesù in preghiera
Olio su tela
158,75 cm x 198,70 cm
Gesù invita il fedele a rivolgersi a Dio, chiamandolo “Padre”. Egli ritiene importante essere in grado di sintonizzarsi amorevolmente con Dio fino al punto che Dio diventa “Padre”. Ma se Dio diventa padre, egli, che figlio deve essere? Come si comprende dal vangelo di Matteo, egli deve essere un uomo “piccolo”:
“25 In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. 27 Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare (Mt 11, 25-27).”
Da un altro passo del vangelo apprendiamo che per Gesù l’uomo ha due scelte nella vita: l’amore per Dio o l’idolatria del profitto: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza” (Mt 6, 24). Si precisa allora il significato di “piccolo”. Piccolo, perché accorto nell’evitare che i preminenti valori della sua esistenza siano un’elevata posizione sociale, professionale ed economica. L’uomo diventa “piccolo”, rinunciando alle vanità mondane, che sviano dall’affetto per Dio, ma acquisisce al contempo la ricchezza di diventare “figlio di Dio”, il quale può essere quindi chiamato “Padre”.
Tuttavia, si può anche notare che l’invocazione del Padre nostro non chiude Dio in una sfera personale con l’aggettivo “mio”, ma orienta il fedele a unirsi spiritualmente alla comunità dei fedeli, dicendo: “Padre nostro”.
Il soggetto invocato come “Padre nostro” richiede una specificazione immediata, per non confonderlo con un padre umano: vi provvede l’espressione semitica “che sei nei cieli”, indicante non tanto una localizzazione spaziale, ma un potere sovrannaturale. Dire “Padre nostro, che sei nei cieli” non equivale a dire semplicemente “Dio”, perchè l’espressione comunica in aggiunta un sentimento di affetto e il riconoscimento di un alto suo valore nell’esistenza dell’orante.
“Il “Padre nostro” inizia con tre desideri:
# sia santificato il tuo nome
# venga il tuo regno
# sia fatta la tua volontà
Solo nella seconda parte della preghiera sono contenute le esortazioni per noi”
Prima di chiedere per “noi” la preghiera inizia con il pensiero per “Dio-Padre”. Questo fatto attesta l’autenticità dell’amore filiale di Gesù per Dio; infatti, come si osserva nel Catechismo della chiesa cattolica “è proprio dell’amore pensare innanzi tutto a colui che si ama” (Fabris AF).
Per il cristiano il nome di Dio (YHWH: Io sarò), il suo regno e la sua volontà sarebbero tuttavia regioni oscure e inaccessibili senza l’insegnamento morale e l’esempio di vita di Gesù, codice d’accesso per coloro che desiderano entrarvi.
Santificare il nome di Dio significa rispettarne la divinità e riconoscerne il valore unico e distinto rispetto ai valori del mondo.
Riporto un’ulteriore interpretazione, piuttosto interessante, che emerge da un passo di un’omelia di S. Giovanni Crisostomo, proposta dall’autore sopra citato:
“I serafini, lodando Dio, dicono: “Santo, Santo, Santo”; appunto le parole “Sia santificato il tuo nome” significano che il suo nome sia glorificato. E’ come se tutti dicessimo a Dio: “Concedici di vivere in modo così puro e perfetto che tutti, vedendo noi, ti glorifichino”. La perfezione del cristiano sta proprio in questo: nell’essere così irreprensibile in tutte le sue azioni che chiunque le vede rende onore a Dio per esse”. (Giovanni Crisostomo “Omelie sul vangelo di Matteo”, 19).
“Sia santificato il tuo nome” diventa allora anche impegno a rendere onore al Padre con il proprio agire. Aprendo la preghiera alla successiva personale riflessione quotidiana: “Come posso ottenere questo nei miei impegni di domani, nei miei progetti futuri?”
Composizione del dipinto “Gesù in preghiera”
Gesù recita il Padre Nostro a braccia aperte; anime sono rappresentate nel X grado della scala d’amore secondo la classificazione di S. Giovanni della Croce; esse glorificano Dio e ruotano attorno all’arcobaleno, simbolo dell’alleanza tra Dio e gli uomini per mezzo di Gesù Cristo.
La forza attrattiva della preghiera verso Dio è indicata anche dalla donna che si è elevata sopra le tenebre fino al settimo grado della scala d’amore, e dall’uomo che, attratto al male, riceve la misericordia di Dio – il cui spirito è rappresentato in forma di colomba – per l’invocazione a braccia aperte rivolta a Gesù Cristo, in cui confida e che ama. Egli si colloca al I grado della scala d’amore.
La tunica della donna è rossa, ricordando quanto scrive San Giovanni della Croce:
“La livrea indossata dall’anima è di tre colori: bianco, verde e rosso, che significano le tre virtù teologali – fede, speranza e carità – mediante le quali ella non solo guadagnerà le grazie dell’Amato, ma camminerà anche sicura e difesa dai suoi tre nemici (il demonio, il mondo e la carne). (…) sopra il bianco e il verde ella indossa una splendida toga rossa. Essa simboleggia la carità, la quale (…) subito eleva l’anima tanto da renderla bella e gradevole presso Dio. (…) Con questa divisa della carità, che è ormai quella dell’amore, (…) l’anima non solo si difende e si nasconde dal terzo nemico che è la carne (giacché dove è vero amore e Dio non entra amore di sé stesso o delle proprie cose), ma anche rende valide anche le altre virtù, dando loro vigore e forza in difesa dell’anima (…) poiché senza la carità nessuna virtù è preziosa agli occhi di Dio.” (S. Giovanni della Croce “Notte oscura”, cap. 21).
Le braccia della donna sono tese in avanti:
“I “puri di cuore” sono uomini (…) che accettano con semplicità ciò che Dio dona loro e proprio per questo vivono in intimo accordo con l’essenza e la parola di Dio. L’affermazione di Santa Teresa di Lisieux, secondo cui ella sarebbe un giorno comparsa davanti a Dio a mani vuote e le avrebbe protese aperte verso di Lui descrive lo spirito di questi poveri di Dio: giungono con le mani vuote, non con le mani che afferrano e tengono stretto, ma con mani che si aprono e donano e così sono pronte per la bontà di Dio che dona.” (J. Ratzinger “Gesù di Nazareth”, cap 4 “Il discorso della montagna”).
L’orante nell’abisso ha una tonalità verde, ricordando ancora San Giovanni della Croce:
“Sopra la tunica bianca della fede l’anima si mette il secondo colore, una sottoveste verde, che significa la virtù della speranza. Con essa principalmente si libera e si difende dal secondo nemico, che è il mondo. Questo verde di viva speranza in Dio dà all’anima tale vivezza, coraggio e aspirazione alle cose della vita eterna che, in confronto con quanto attende di là, ogni bene umano le sembra, come lo è, arido, appassito, morto e di nessun valore. Qui ella si spoglia completamente di tutte le vesti e i costumi del mondo e non ripone il cuore in nessuna cosa, senza sperare nulla dal mondo, vivendo vestita solo dalla speranza di vita eterna.”
L’orante ha gli occhi chiusi:
“Un cieco nato a cui si cercasse di spiegare con insistenza la natura dei colori bianco o giallo non potrà capire o farsene un’idea, perché non ha mai veduto quei colori o qualcosa che a loro somigli per poter giudicare. Gli potrà rimanere impresso solo il nome, per averlo appreso per mezzo dell’udito, non la figura e l’aspetto che non ha mai veduto. Tale è la fede per l’anima, perché ci manifesta verità mai vedute e comprese da noi (…), al di sopra delle capacità di ogni senso. (…) Le altre conoscenze si acquistano con la luce dell’intelletto, quella della fede si raggiunge invece rinnegando per mezzo di questa virtù la luce della ragione (…) La fede, che è notte oscura e tenebrosa per l’anima, – la quale a sua volta è notte, perché in presenza di quella rimane priva e cieca del suo lume naturale – con le sue tenebre rischiara e dà luce alle tenebre dell’anima. (…)
“La notte mi sarà luce nelle mie delizie” (Sal 138, 11). E’ come se il Salmista dicesse: “La notte della fede mi servirà di guida nei gaudi della mia pura contemplazione e della mia unione con Dio. Da ciò si comprende come l’anima che vuole essere illuminata per compiere questo cammino, deve trovarsi nelle tenebre.” (S. Giovanni della Croce, Salita al monte Carmelo, cap. 3).
L’orante ha un’espressione sofferente, poiché egli sta attraversando l’esperienza iniziale della scala d’amore:
“Le anime del Purgatorio, quantunque conoscano chiaramente di amare il Signore, non ne ricavano conforto poiché sembra loro che Dio non le ami e che siano indegne del suo amore. (…) Similmente l’anima (impegnata nel purificarsi in questa vita) pur vedendo di amare molto il Signore, (…), non solo non trova in ciò alcun conforto, ma ne riceve anzi una pena maggiore. Infatti, poiché ella lo ama tanto da non avere alcun’altra cosa che le stia a cuore, mentre d’altra parte si vede così misera da non poter credere che Dio la ami, (…), ma solo di essere aborrita in eterno (…), soffre di scorgere in sé le ragioni che la rendono degna di essere ripudiata da Colui che ella tanto ama e desidera.”
Il diavolo, con testa leonina, invano tenta di attrarre nell’abisso del Male l’orante, illuminato dallo Spirito Santo in forma di colomba, perché animato da fede, speranza e amore:
“Siate sobri, vigilate, il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente, si aggira, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede”. (IPt).
Nell’angolo inferiore destro due discepoli si recano da Gesù per chiedere come prega:
“Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”. 2Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; 3dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, 4e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione””. (Lc, 11, 1-4) .
La scala mistica di San Giovanni della Croce
Grado I – L’anima si ammala di amore per suo profitto. Si trova in questo grado la sposa dei Cantici quando dice: “Vi prego, figlie di Gerusalemme, se incontrate il mio amato, ditegli che sono malata d’amore”.
Quando l’anima entra in questa scala di purificazione contemplativa non riesce a trovare gusto, appoggio, conforto e riposo in nessuna cosa.
Grado II – Questo spinge l’anima alla ricerca incessante di Dio. In ogni parola che dice e in ogni azione che compie parla e tratta dell’Amato.
Grado III – A causa del grande amore per il Signore l’anima si addolora e soffre molto del poco che fa per Lui e se le fosse lecito desidererebbe annientarsi mille volte per lui.
Grado IV – L’anima si preoccupa solo di trovare il modo di dare piacere a Dio e di servirlo in qualche modo, anche a costo di qualunque sacrificio per quanto merita e per quanto ella ha ricevuto da Lui.
Grado V – L’anima desidera e brama impazientemente Dio. L’amante non ha altra alternativa di vedere l’amato o di morire.
Grado VI – L’anima, fortificata e resa leggera dall’amore per mezzo della speranza, vola senza stancarsi mai. L’anima è ora quasi del tutto purificata secondo quanto si dice anche in un Salmo: “Corsi per la via dei tuoi comandamenti quando dilatasti il mio cuore (118, 32)”.
Grado VII – L’anima si fa ardita di amore verso Dio, non usa consiglio per ritirarsi, né sa fermarsi per vergogna: “La carità tutto crede, tutto spera, tutto può” (I Cor 13, 7)
Grado VIII – L’anima si afferra a Dio e lo stringe senza lasciarlo, come quanto dice la sposa: “Trovai colui che l’anima mia e il mio cuore amano, lo presi e non lo lascerò.” (Cant 3, 4).
Grado IX – E’ il grado dei perfetti. L’anima arde con soavità. Questo ardore soave e dilettevole è generato dallo Spirito Santo a causa dell’unione con Dio di cui godono. Perciò San Gregorio dice degli Apostoli che nell’interno arsero soavemente d’amore quando lo Spirito Santo discese in modo visibile su di loro.
Grado X – Il decimo e ultimo grado della scala segreta di amore rende l’anima del tutto simile a Dio per la chiara visione di Lui che ella possiede quando, giunta in questa vita al grado nono, si separa dal corpo. Tutto quanto ella è diventerà simile a Dio, per cui si chiamerà e sarà Dio per partecipazione.