di Enrico Ganz

 

Premessa

La colecistite acuta litiasica di grado lieve o moderato secondo la classificazione di Tokyo (Tab. 1) può essere trattata al suo esordio in modo conservativo, avvalendosi di antibiotici, di antidolorifici e del digiuno, oppure chirurgicamente, effettuando una colecistectomia, posto che sia stata esclusa una litiasi della via biliare principale. Nelle forma severa (grado III) è invece opportuno eseguire una colecistectomia per via laparoscopica oppure, in caso di controindicazioni all’accesso laparoscopico, per via laparotomica. Tuttavia, in caso di rischio operatorio molto elevato (ASA 4) può essere più prudente evitare l’intervento chirurgico e posizionare per via percutanea un drenaggio intracolecistico (colecistostomia percutanea) ed eventualmente un drenaggio intraperitoneale, valutando l’opportunità di rimuovere il drenaggio intra-colecistico dopo 4-6 settimane; in alcuni casi, ridottosi il rischio operatorio, si potrà valutare l’opportunità di programmare una colecistectomia sulla scorta dei rilievi clinici e strumentali.

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Tab. 1 – Severità della colecistite acuta secondo la classificazione di Tokyo (6)

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Colecistite acuta lieve (grado I)

– Colecistite acuta in un paziente sano senza disfunzione d’organo; solo lievi alterazioni infiammatorie nella colecisti

Colecistite acuta moderata (grado II)

– La colecistite acuta “moderata” presenta una delle seguenti condizioni:

  1. Conteggio leucocitario elevato (> 18000 / mm3)
  2. Massa palpabile nel quadrante addominale superiore destro
  3. Durata dei sintomi > 72 ore
  4. Marcata infiammazione locale (peritonite biliare, ascesso pericolecistico, ascesso epatico, colecistite necrotica)

Colecistite acuta grave (grado III)

La colecistite acuta “grave” è causata da disfunzioni in uno dei seguenti organi o apparati:

  1. Insufficienza cardiovascolare (ipotensione che richiede un trattamento con dopamina ≧5 μg/kg al minuto o qualsiasi dose di dobutamina)
  2. Disfunzione neurologica (alterato stato di coscienza)
  3. Insufficienza respiratoria (rapporto PaO2/FiO2 < 300)
  4. Insufficienza renale (oliguria, creatinina > 2,0 mg /dl)
  5. Insufficienza epatica (PT-INR > 1.5)
  6. Disfunzione ematologica (conta piastrinica < 100.000/mm3)

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Tab. 1 – Severità della colecistite acuta secondo la classificazione di Tokyo

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Nel caso dei pazienti ASA 1, 2 e 3, trattati efficacemente in modo conservativo, la colecistectomia è comunque proponibile dopo la completa risoluzione della flogosi. L’intervento consente di evitare che nel corso della vita la colelitiasi possa complicarsi con una pancreatite acuta o con una fistola colecisto-biliare o colecisto-duodenale. Tuttavia, è opportuno effettuare la colecistectomia almeno 6-8 settimane dopo la remissione della sintomatologia principale; un intervallo di tempo opportuno per la completa risoluzione del processo flogistico. Infatti, la flogosi subacuta renderebbe più indaginosa la dissociazione delle strutture vascolo-biliari del peduncolo colecistico con conseguente aumentato rischio di lesioni biliari.

L’alternativa al trattamento esclusivamente farmacologico consiste nell’effettuare una colecistectomia laparoscopica nella fase acuta della colecistite (8,9). Il razionale consiste nell’evitare la possibilità che si manifestino colecistiti recidive o complicanze della colelitiasi nelle settimane successive alla risoluzione della flogosi, nonché nell’evidenza di una complessiva riduzione dei tempi di degenza rispetto alla scelta di effettuare dapprima il trattamento farmacologico e in tempi successivi la colecistectomia (4,5,7,12). L’intervento chirurgico è dunque una valida alternativa al trattamento medico, ma è necessario verificare che non vi siano contro-indicazioni alla procedura laparoscopica.

Contro-indicazioni assolute a una videolaparocolecistectomia sono il glaucoma ad angolo acuto, la presenza di derivazione ventricolo-peritoneale, una cirrosi epatica Child C (1), uno shock settico, un rischio anestesiologico ASA 4 e il sospetto di una diffusa aderenzialità per molteplici interventi addominali o per pregressa flogosi peritoneale. Una contro-indicazione temporanea è il sospetto di una coledoco-litiasi, derivante dai seguenti rilievi clinici e laboratoristici: ittero, elevazione della bilirubina diretta, della γGT, della fosfatasi alcalina e delle transaminasi ALT e AST. In tal caso, il quesito clinico trova la migliore risposta nella colangioRMN. Se l’esame dovesse evidenziare una coledocolitiasi, la colecistectomia laparoscopica sarà effettuabile almeno 48-72 ore dopo l’estrazione dei calcoli dalla via biliare principale per via endoscopica, posto che non si siano verificate complicanze.

Nel caso specifico di una colecistite acuta una contro-indicazione alla videolaparocolecistectomia è tradizionalmente una durata dei sintomi superiore a 72 ore (3,6). Tuttavia, più recenti evidenze indicano che tale intervallo può essere ampliato a una settimana (4,10), non essendovi invece sostanziali differenze in percentuali di conversione tra videolaparocolecistectomie eseguite prima di 4 giorni e tra 4 e 7 giorni (10). Non è invece prudente effettuare una colecistectomia in fase subacuta, intendendosi in questo contesto per “subacuta” una flogosi persistente per più di 6-7 giorni. Infatti, dopo questo intervallo di tempo si possono osservare tenaci aderenze iperemiche tra la colecisti e le strutture contigue (omento, duodeno, colon trasverso, via biliare principale, dotto cistico), tali da rendere tangibile il rischio di lesioni iatrogene dell’intestino e delle vie biliari in corso di intervento. Mentre in fase acuta, entro una settimana dall’esordio dei sintomi di colecistite, il tasso di conversione in procedura laparotomica è del 8-12%, successivamente la percentuale sale al 20-28% (2,10); inoltre, la conversione laparotomica è associata a una maggiore incidenza di complicanze postoperatorie (11) e di lesioni iatrogene intra-operatorie. Questo dato orienta a restringere l’indicazione alla videolaparocolecistectomia nei primi sette giorni dall’esordio dei sintomi. In ogni caso una regola utile è di convertire l’intervento laparoscopico in laparotomico qualora per più di un quarto d’ora l’operatore non sia in grado di definire un utile percorso dissettivo, non riconoscendo o non riuscendo a dissociare le strutture anatomiche adese alla colecisti. In particolare, tra i possibili riscontri intra-operatori le fistole colecisto-viscerali e la sindrome di Mirizzi, in particolare di tipo 2, trovano frequentemente la più prudente soluzione in una conversione laparotomica.

Note illustrate di tecnica chirurgica

E’ di seguito illustrata la procedura chirurgica di videolaparocolecistectomia nella colecistite acuta litiasica. La visione delle immagini è ampliabile cliccandovi sopra.

Il paziente è posizionato con le braccia abdotte e le gambe divaricate. Il primo operatore si colloca tra le gambe del paziente, il secondo operatore si pone al fianco sinistro del paziente, lo strumentista si pone al fianco destro del paziente con il tavolino servitore alla sua destra. La posizione delle apparecchiature laparoscopiche è indicata in figura 1.

 

 

 

 

 

Fig. 2

I trocar sono inseriti nell’ordine indicato in figura 2: dapprima il trocar ombelicale, poi in successione il trocar in fossa iliaca destra, il trocar in ipocondrio sinistro e il trocar epigastrico.

Il diametro di questi trocar è rispettivamente 10 mm (ombelicale), 5 mm, 10 mm, 5 mm.

Il trocar ombelicale è inserito tramite un’incisione a tutto spessore, effettuata lungo il bordo destro o sinistro del cavo ombelicale. Incisa la cute e il sottocute dell’ombelico, è praticato un pertugio nella fascia rettale anteriore con l’elettrobisturi. Due pinze di Kocher sono posizionate contrapposte sui margini del pertugio e trazionate verso l’alto, per superficializzare la fascia rispetto al sottocute. Procedendo dal pertugio, la fascia è incisa con l’elettrobisturi parallelamente alla linea alba per una lunghezza di circa 2 centimetri, il muscolo retto è scostato lateralmente e la fascia posteriore è sollevata con l’aiuto di una pinza tipo Leriche. Si forma in tal modo una piega, che è tagliata trasversalmente per pochi millimetri con una forbice. Al fine di evitare lesioni intestinali, è buona norma far precedere il taglio della fascia con due manovre: sollevare adeguatamente la fascia e spingere un lembo della piega contro il suo opposto con l’estremità di una branca della forbice, in modo da evitare che nel mezzo della piega si collochi un’ansa intestinale. Praticatovi il pertugio, interessante anche il sottostante peritoneo, si provvede ad allargarlo quanto basta per l’introduzione del trocar e si confeziona sulla fascia posteriore una sutura circonferenziale “a borsa di tabacco”. La sutura sarà stretta e annodata al termine dell’intervento. A questo punto si inserisce un trocar tipo “Hasson”, che può avere un palloncino gonfiabile all’estremità intra-addominale, per stabilizzarlo e impedire la fuoriuscita del gas (Kii Balloon). Il gas è insufflato nel cavo addominale alla pressione di 11-12 mmHg tramite l’apposito canale del trocar. Nel trocar è inserita un’ottica con lente angolata a 30° (o ad angolatura variabile).

Il trocar in fossa iliaca è inserito tramite un’incisione cutanea 2-3 dita trasverse a destra della linea pararettale destra, alcuni centimetri caudalmente alla linea ombelicale trasversa.

Il trocar in ipocondrio è inserito tramite un’incisione cutanea 2-3 dita trasverse a destra della linea pararettale sinistra, alcuni centimetri cranialmente alla linea ombelicale trasversa.

Il trocar epigastrico è inserito tramite un’incisione cutanea tra il processo xifoideo e l’arcata costale sinistra, a sinistra del legamento falciforme.

Il trocar ombelicale accoglie l’ottica; è utilizzabile inoltre per introdurre l’endobag nelle ultime fasi dell’intervento.

Il trocar in fossa iliaca destra accoglie una pinza da presa, utile per le trazioni sulla colecisti. E’ inoltre utilizzabile come canale di scorrimento per esteriorizzare una pinza da presa, al momento di introdurre un drenaggio al termine dell’intervento.

Il trocar in ipocondrio sinistro fornisce accesso agli strumenti utili per la dissezione della colecisti e per l’emostasi: pinza da presa, elettrobisturi uncinato, pinza bipolare, passafilo. Il diametro ampio consente di introdurre l’ottica, quando è necessario impegnare l’accesso ombelicale per l’introduzione dell’endobag, e l’applicatore di clip, per chiudere il dotto cistico e l’arteria cistica. Possono esservi inoltre introdotte lunghette, utili per assorbire il sangue o per dissociare le strutture del peduncolo cistico, e falde emostatiche per l’emostasi sul letto epatico della colecisti.

Nel corso dell’intervento il primo operatore utilizza principalmente strumenti alloggiati nel trocar in fossa iliaca destra e nel trocar in ipocondrio sinistro; il secondo operatore sostiene l’ottica inserita nel trocar ombelicale e manovra una pinza inserita nel trocar epigastrico.

 

Posizionati i trocar, l’altezza del letto operatorio è regolata, per consentire agli operatori di manovrare gli strumenti con braccia e spalle rilassate. Le anse intestinali sono scostate dalla colecisti, ruotando il letto verso sinistra e in posizione di Trendelemburg fino a 30°. Le luci della sala operatoria sono abbassate o spente, in modo da far risaltare la visione sul monitor.

Fig. 3

Fig. 3 – Ora può iniziare la procedura intra-addominale, esplorando il cavo addominale. Eventuali raccolte biliari sono evacuate, utilizzando un aspiratore per laparoscopia o, se modeste, un sondino collegato a una siringa da 60 ml. Sono inoltre lisate le aderenze – esito cicatriziale di pregressi interventi, di pregresse infezioni o della flogosi in atto – che ostacolano la procedura chirurgica. Nel caso in esame è stata aspirata una discreta quantità di secreto siero-biliare nella loggia di Morrison, utilizzando un sondino inserito nel trocar 2, e il secreto è stato inviato per esame microbiologico. Sono state inoltre lisate aderenze omento-colecisto-epatiche conseguenti alla flogosi acuta, qundi di recente formazione. Questo tipo di aderenze può essere usualmente lisato per via smussa: nel caso in esame le branche chiuse di una pinza sono state spinte tra l’omento e la colecisti, aprendo la linea di accollamento flogistico, mediato da depositi di fibrina e di secreto purulento.

 

 

Fig. 4

Fig. 4 – La colecisti è stata detesa, aspirandone il contenuto con un ago per aspirazione laparoscopico introdotto tramite il trocar 2. Mentre la pinza del secondo operatore solleva la faccia ventrale del fegato, il primo operatore solleva e traziona verso sè con una pinza l’infundibolo, per tentare di mettere in evidenza il triangolo di Calot, un’area delimitata dal coledoco, dal dotto cistico e dall’arteria cistica (Fig. 31 e Fig. 32 in Appendice). Questa manovra non è sempre agevole e in caso di processi flogistici cronici l’infundibolo può essere difficilmente dissociabile dalle strutture contigue. Occasionalmente risulta adeso al coledoco mediante tenaci aderenze, oppure può averci sede una fistola colecisto-coledocica o colecisto-duodenale.

Evidenziare il triangolo di Calot e di conseguenza differenziare la via biliare principale dal peduncolo colecistico è fondamentale, per evitare gravi lesioni dell’epato-coledoco nelle successive fasi dell’intervento. Nel caso illustrato un più sicuro riconoscimento del triangolo richiede una dissezione peri-infundibolare. Per questo scopo una buona possibilità è di seguire la linea indicata in figura 4: è sezionato con l’elettrobisturi uncinato l’accollamento peritoneale colecisto-epatico lungo il margine destro (mediale) del letto colecistico, dall’infundibolo verso il fondo della colecisti, procedendo fino al limite tecnicamente fattibile. Questa manovra contribuisce a “far emergere” il dotto cistico dal tessuto cellulo-adiposo del peduncolo cistico.  Per iniziare questa sezione l’infundibolo della colecisti deve essere trazionato in direzione opposta a quella indicata in figura 4 (Fig. 33 e Fig. 34 in Appendice).

 

Fig. 5

Fig. 5 – Caratteristico riscontro intra-operatorio nelle colecistiti acute è la presenza di tessuti edematosi e vascolarizzati, che ostacolano la visione delle strutture biliari non solo per l’edema, ma anche per lo stillicidio ematico. Tuttavia, i tessuti sono facilmente dissociabili e per questo motivo una colecistectomia laparoscopica non è contro-indicata all’esordio di una flogosi acuta. Non è invece consigliabile procedere a una colecistectomia laparoscopica quando è trascorsa più una settimana dall’esordio dei sintomi, poiché l’evoluzione fibrosa e l’iperemia del tessuto infiammatorio può rendere difficilmente isolabili le strutture biliari con il rischio di lesioni dell’epato-coledoco.

Nel caso illustrato è ben evidente l’edema e la lassità dei tessuti. Non è stata seguita la linea di dissezione indicata in figura 4, ma è stato affrontato direttamente il peduncolo colecistico, dissociandone delicatamente il tessuto cellulo-adiposo con una pinza e sezionandolo successivamente con l’elettrobisturi uncinato.

 

Fig. 6

 

Fig. 6 – In corso di flogosi acuta i tessuti sono iperemici e sanguinano facilmente, in particolare se vi sono alterazioni dell’INR per iniziale sepsi, come in questo caso, nel quale è possibile evidenziare aree di necrosi sulla colecisti. L’INR fu abbassato pre-operatoriamente da 5 a 1,9 con somministrazioni ev di vitamina K e di complesso protrombinico umano.

Sangue e coaguli si raccolgono spontaneamente lungo il margine inferiore del fegato e nello spazio di Morrison. E’ opportuno rimuovere il sangue per assorbimento su lunghette, che sono sostituite, quando impregnate. Se le lunghette non sono sufficienti a pulire rapidamente il campo operatorio, si ricorre all’aspiratore. Tramite la cannula dell’aspiratore possono essere inoltre effettuati lavaggi con acqua fisiologica per una più accurata pulizia. Questo risultato è importante sia per evitare il ristagno di secrezioni ematiche, che potrebbero infettarsi o comunque causare dolorabilità per irritazione peritoneale nei giorni seguenti all’intervento, sia per migliorare la luminosità del campo operatorio. Infatti, i fotoni sono assorbiti nelle aree ematiche e l’illuminazione può essere significativamente compromessa.

In figura 6 si può notare che è stata depositata una lunghetta alla base del campo operatorio, per assorbire il sangue che cola dall’area di dissezione.

Messo in evidenza il dotto cistico (Ci), vi sono molte situazioni in cui non è necessario affrettarsi alla sua sezione, perlomeno fino al momento di avere l’assoluta certezza che di tale struttura si tratti, piuttosto che del coledoco o di altro importante ramo biliare. Il linfonodo di Mascagni (LM), visualizzabile in figura 6 e in figura 8, è un importante punto di repere, trovandosi contiguo all’arteria cistica.

Tra le insidiose varianti anatomiche della via biliare ricordo il dotto cistico molto corto o assente su coledoco sottile e facilmente mobilizzabile e l’anomala origine del dotto epatico destro posteriore dall’epato-coledoco, dalla colecisti o dal dotto cistico (12). Nel primo caso vi è il rischio di sezionare il coledoco; nel secondo caso non solo vi è il rischio di sezionare il dotto biliare, ma anche di non evidenziarne la lesione con conseguente importante coleperitoneo nel periodo postoperatorio. Se il dotto epatico destro posteriore fosse sezionato tra clip, ritenendolo un dotto cistico o un’arteria cistica accessoria, l’esito a lungo termine sarebbe un’atrofia e una cirrosi dei segmenti epatici VI-VII, nonché ricorrenti episodi di colangite, trovandosi probabilmente la migliore soluzione terapeutica in una resezione dei rispettivi segmenti epatici.

Fig. 7

 

Fig. 7 – La parziale sezione dell’accollamento peritoneale lungo il margine sinistro (mediale) può contribuire a facilitare l’accesso all’arteria cistica. Questa sezione inizia mediamente e cranialmente al peduncolo colecistico e prosegue verso il fondo della colecisti.

 

 

 

 

 

Fig. 8

 

Fig. 8 – Il tentativo di evidenziare la contigua arteria cistica è ostacolato da secrezioni ematiche e dalla presenza di tessuto flogistico, nel quale è riconoscibile, ipertrofico, il linfonodo di Mascagni (LM). Raggiunta una situazione di stallo con l’utilizzo dell’elettrobisturi uncinato, un’adeguata soluzione è di proseguire la dissezione con una pinza bipolare. In alternativa, può essere sezionato il dotto cistico, in modo da aprire uno spazio verso l’arteria con la trazione dell’infundibolo in alto e a destra. Nel caso illustrato è stata scelta questa seconda possibilità.

 

 

 

Fig. 9

 

Fig. 9 – L’accollamento peritoneale colecisto-epatico lungo il margine destro (laterale) del letto colecistico è sezionato con l’elettrobisturi uncinato fino al limite tecnicamente fattibile, procedendo dall’infundibolo verso il fondo della colecisti, mantenendosi nel piano fibro-adiposo interposto tra parete colecistica e parenchima epatico. Questa manovra consente di isolare più agevolmente il dotto cistico sul versante posteriore. Può essere utilizzata proficuamente nelle fasi iniziali dell’intervento, per facilitare l’identificazione del dotto cistico (Fig. 33 e Fig. 34 in Appendice).

 

 

 

Fig. 10

 

Fig. 10, 11 – Una pinza ad L consente di rompere le residue lasse connessioni posteriormente al dotto cistico, contornando posteriormente il dotto e aprendone le branche.

 

 

 

 

 

Fig. 11

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 12

 

Fig. 12 – Successivamente, con lo stesso strumento è stata esercitata una delicata pressione sul peduncolo epatico, evidenziando meglio il decorso del dotto cistico (Ci) e la posizione del coledoco (Co).

 

 

 

 

 

Fig. 13

 

Fig. 13 – La chiusura del dotto cistico è effettuata con clip in titanio: 1-3 clip prossime al versante coledocico e una clip prossima al versante infundibolare. Per evitare il rischio di pinzare indesideratamente strutture non visibili in profondità, alcuni usano chiudere il dotto cistico sulla punta delle clip. Tuttavia, così posizionate, le clip potrebbero facilmente dislocarsi, in particolare qualora vi si impigliasse una lunghetta. Se l’inconveniente non fosse rilevato intra-operatoriamente, si verificherebbe una fistola biliare. E’ quindi preferibile inserire fino “a fine corsa” la clip, a patto che si abbia sotto vista la chiusura alla sua estremità. Una delicato movimento di rotazione dell’applicatore prima di chiudere la clip può essere utile per evidenziarne le punte.

Nel caso di un dotto cistico dilatato le comuni clip potrebbero essere insufficienti per coprirne il diametro. Se disponibile, si può utilizzare un Hem-o-Lok XL; in alternativa, il dotto cistico è sezionato in prossimità dell’infundibolo e il suo moncone sul versante coledocico è chiuso con un endoloop. Un’ulteriore possibilità consiste nel chiudere il dotto prima della sua sezione con un laccio su nodo intracorporeo. I lacci con nodo autobloccante e l’hem-o-Lok XL sono utili anche nel caso in cui non sia possibile isolare adeguatamente il dotto cistico senza rischiare lesioni del coledoco, essendovi un denso tessuto infiammatorio subito al di sotto dell’infundibulo; infatti, si può provvedere a chiudere con questi presidi la parte preduttale dell’infundibulo, previo suo isolamento circonferenziale.

 

 

Fig. 14

Fig. 14 – La sezione è effettuata con forbice curva, posizionando verso l’alto il dorso delle sue branche. La linea di sezione è prossima alla clip posta sul versante infundibolare del dotto.

 

 

 

 

 

 

Fig. 15

Fig. 15 – La colecisti è stata ulteriormente mobilizzata dal margine sinistro (mediale) del letto epatico, mantenendosi con la punta uncinata dell’elettrobisturi nel piano fibro-adiposo interposto (linea tratteggiata). Questa ulteriore mobilizzazione consente di mettere in tensione il peduncolo vascolare, trazionando l’infundibolo verso l’alto. L’arteria cistica (Ac) è isolata posteriormente con una pinza ad L.

 

 

 

 

 

Fig. 16

 

Fig. 16, 17 – La chiusura e la sezione dell’arteria cistica procede come nel caso del dotto cistico.

La chiusura è effettuata con clip in titanio: 1-3 clip prossime al versante coledocico e una clip prossima al versante infundibolare.

La sezione è effettuata con forbice curva, posizionando verso l’alto il dorso delle sue branche. La linea di sezione è prossima alla clip posta sul versante infundibolare dell’arteria.

Tra le più comuni varianti dell’arteria cistica in tale area è utile ricordare l’arteria cistica in posizione laterale rispetto al dotto cistico (osservandosi quindi dove si rinviene normalmente il dotto cistico), l’arteria cistica in posizione sovrapposta al dotto cistico e l’arteria cistica risolta in due sottili rami, che talora possono essere efficacemente coagulati, ma che è comunque prudente chiudere con clip.

Fig. 17

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 18

 

Fig. 18 – Liberata dalle connessioni vascolo-biliari, la colecisti è separata dal letto epatico, conducendo la dissezione con l’elettrobisturi uncinato in direzione “retrograda”, ovvero dall’infundibolo verso il fondo della colecisti. Attenzione deve essere posta all’esistenza di un occasionale sottile dotto accessorio colecisto-epatico, che deve essere sezionato non prima di averlo chiuso con una clip sul versante epatico.

La connessione della colecisti con il letto epatico può essere:

– pseudomesenteriale, qualora tra le due strutture sia interposto un evidente pannicolo fibro-adiposo;

– parenchimale, qualora non sia definibile un chiaro piano di clivaggio dal parenchima epatico. In questo caso il letto della colecisti è accentuatamente incavato e la colecisti è definita “intra-epatica”.

Tra questo estremi, la colecisti è più frequentemente accollata al fegato tramite un sottile strato fibroso, pseudoperitoneale, che al termine della dissezione deve risultare integro sul letto epatico.

Nel caso di adesione pseudomesenteriale la dissezione con l’elettrobisturi è agevole e residuano alcuni foci di sanguinamento, per i quali è sufficiente un’emostasi con elettrocoagulazione in modalità Spray.

Nel caso di adesione parenchimale la dissezione è piuttosto laboriosa e residua inevitabilmente una superficie sanguinante a nappo, che necessita non solo di elettrocoagulazione, ma anche di emostasi con falde emostatiche.

Nel terzo caso la difficoltà principale consiste nel mantenere il corretto piano di dissezione. Se la dissezione è corretta, il sanguinamento è modesto, ma è comunque necessaria un’emostasi per elettrocoagulazione.

Fig. 19

 

Fig. 19 – Nel caso in esame si può notare che la flogosi acuta e la discoagulopatia secondaria alla sepsi incidono sul sanguinamento del letto epatico, che può essere discreto, anche se il piano di dissezione, evidenziabile in figura 18, è stato corretto.

 

 

 

 

 

Fig. 20

 

Fig. 20 – E’ apposta una lunghetta sul letto epatico sanguinante e la colecisti è temporaneamente depositata sulla cupola del lobo epatico destro (spazio inter-epato-diaframmatico).

 

 

 

 

 

Fig. 21

 

Fig. 21, 22, 23 – Il letto colecistico del fegato è stato esposto, sollevando delicatamente con una pinza la faccia ventrale del lobo epatico destro. Il sangue che riveste il letto colecistico è assorbito con una lunghetta. Si può quindi procedere all’emostasi con l’elettrocoagulatore uncinato in modalità “Spray”.

 

 

 

 

Fig. 22

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 23

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 24

 

Fig. 24 – Prudenzialmente è posizionata una falda emostatica assorbibile. La falda è inserita arrotolata tramite il trocar 3 ed è distesa sul letto epatico con l’ausilio di due pinze.

 

 

 

 

 

Fig. 25

 

Fig. 25, 26 – L’ottica è spostata nel trocar 3 e tramite il trocar 1 è inserito un  cestello (endobag), nel quale è introdotta la colecisti. Il cestello è chiuso, controtrazionando il filo, che ne contorna l’apertura, rispetto alla guida rigida in cui scorre. Infine, la guida rigida del filo è rimossa dal canale del trocar e l’ottica è riposizionata nel trocar ombelicale.

 

 

 

 

Fig 26

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 27

 

Fig. 27 – La pinza alloggiata nel trocar 3 è inserita nel trocar 2 in modo da esteriorizzarne le branche. In questo modo può essere afferrata all’esterno l’estremità di un drenaggio tubulare 24 Fr, per la sua introduzione nella cavità addominale.

 

 

 

 

 

Fig. 28

 

Fig. 28 – Il drenaggio è posizionato in sede sotto-epatica e la sua estremità è spinta posteriormente al peduncolo epatico. Il drenaggio è fissato all’orifizio cutaneo con un punto in filo non assorbibile.

 

 

 

 

 

Fig. 29

 

Fig. 29, 30 – I trocar sono estratti, controllando che in corrispondenza dei fori interni non si manifestino sanguinamenti. Segue l’estrazione del trocar ombelicale e del sacchetto contenente la colecisti.

 

 

 

 

 

Fig. 30

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Talvolta è necessario ampliare l’incisione ombelicale sul piano fasciale e/o cutaneo, per estrarre la colecisti. Nel caso di colecisti con voluminosi calcoli si può evitare un’ampia incisione, trazionando all’esterno l’infundibolo della colecisti e praticandovi una piccola incisione, dopo aver coperto con garze la cute circostante, per evitare uno scolo di bile nel cavo addominale. La bile è aspirata e il calcolo è frammentato ed estratto con una pinza di Randall.

Le ferite corrispondenti al trocar 2 e 4 sono suturate solo sul piano cutaneo, utilizzando  graffette o punti in filo non assorbibile 4/0; la ferita corrispondente al trocar 3 è suturata sul piano fasciale con un punto in filo a lento assorbimento 0 montato su ago semicircolare, sul piano sottocutaneo con due punti in filo a lento assorbimento 3/0 e sul piano cutaneo con graffette o con punti in filo non assorbibile 4/0. La ferita ombelicale è chiusa sul piano peritoneale stringendo la borsa di tabacco; segue una sutura fasciale a punti staccati o in continua con filo a lento assorbimento 0, montato su ago semicircolare. Si conclude l’accostamento del piano sottocutaneo e del piano cutaneo procedendo come nel caso della ferita corrispondente al trocar 3.

Il normale decorso postoperatorio di una colecistite acuta non complicata prevede l’alimentazione ipolipidica, la mobilizzazione e la rimozione del drenaggio in prima giornata postoperatoria; la dimissione può avvenire in seconda giornata postoperatoria. Tuttavia, nel caso di una colecistite complicata da elementi patologici, quali coleperitoneo, necrosi colecistica, ascesso epatico, nel decorso clinico è più frequente il persistere di alterazioni della temperatura corporea e di astenia, che rendono opportuno prolungare l’osservazione ospedaliera, l’antibioticoterapia ad ampio spettro ev ed eventualmente un controllo ecografico, per ricerca di raccolte peri-epatiche, in particolare se persiste peritonismo in ipocondrio destro.

 

Appendice

Fig. 31

Fig. 31 – In questo caso relativo a una colecistectomia per colelitiasi non complicata da colecistite la particolare conformazione anatomica, caratterizzata da un lungo peduncolo colecistico, consente di ben evidenziare il triangolo di Calot. avente per lati il dotto cistico, il coledoco e l’arteria cistica. Contiguo all’arteria cistica si nota il linfonodo di Mascagni LM).

 

 

 

 

 

Fig.32

Fig. 32 – Il triangolo di Calot è evidenziato in figura dopo l’asportazione del tessuto fibro-adiposo interposto tra il dotto cistico e l’arteria cistica. Alcuni chirurghi intendono per “triangolo di Calot” il triangolo epato-cistico, area compresa tra fegato, margine laterale del peduncolo colecistico e coledoco. Per quanto non sia questa la definizione esatta di “triangolo di Calot”, è questa l’area anatomica che è possibile e che è importante esporre all’inizio dell’intervento, quando il dotto cistico e l’arteria cistica non sono identificabili, essendo immersi nel tessuto adiposo del peduncolo colecistico.

 

 

 

 

 

Fig. 33

Fig. 33 – Una consueta modalità di iniziare una colecistectomia consiste nell’esporre il margine laterale del peduncolo colecistico e il margine laterale dell’accollamento tra la colecisti e il fegato.

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 34

Fig. 34 – La dissezione condotta lungo la linea tracciata in fig 33 consente di far emergere il dotto cistico.

 

 

 

 

 

 

 

 

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