di Enrico Ganz

 

Un carcinoma della colecisti pT1 “incidentale” è riscontrato nella maggior parte dei casi nel corso di una colecistectomia per patologia benigna, oppure nel corso dell’esame istologico su una colecisti asportata per patologia benigna. Una diagnosi di carcinoma della colecisti è effettuata nello 0,2-2,9% delle colecistectomie (6,12,36,44,46). Nel 7-20% dei casi il grado di infiltrazione è pT1 (44,53). In tabella 1 è riportata la stadiazione TNM (9,63).

Per i casi pT2 e pT3 vi è un concorde orientamento nel porre indicazione al trattamento chirurgico (sinteticamente indicato con il termine “riresezione” negli articoli scientifici sul tema), pur essendo riportate recenti evidenze che pongono in dubbio la significatività dell’aumento di sopravvivenza dopo riresezione nei casi pT2a (34), nei casi di tumore T2-3 con grado di differenziazione II o maggiore e nei casi di tumore T2-3 con dato anamnestico di rottura intra-operatoria della colecisti (46). I casi con grado di infiltrazione pT1b pongono in modo più evidente il dilemma della scelta tra un follow up e un reintervento, finalizzato ad asportare i tessuti potenzialmente infiltrabili da parte del tumore: il letto epatico della colecisti, localizzato sul segmento V, e i linfonodi del legamento epato-duodenale. Infatti, se da un lato sarebbe opportuno evitare il disagio e il rischio di un intervento laparotomico per un tumore che per definizione è completamente confinato nello spessore della colecisti, dall’altro lato è evidente l’opportunità di evitare il rischio di trascurare il beneficio di una radicalizzazione chirurgica finalizzata ad asportare un residuo tumorale occulto. Prima di sviluppare la discussione su questa specifica questione, riporto preliminarmente alcuni utili dati: 

– In uno studio su 115 pazienti con carcinoma incidentale della colecisti l’incidenza di infiltrazione epatica nei tumori T1a-b, T2 e T3 dopo reintervento è risultata rispettivamente dello 0%,  10,4% e 36,4%, mentre l’incidenza di positività nei linfonodi regionali è stata rispettivamente del 12,5%, 31,3% e 45,5% (53). In un altro studio su 135 pazienti l’incidenza di malattia residua nei tumori T1b, T2 e T3 dopo reintervento è risultata rispettivamente 35,7% (5/14 pazienti), 48,3% e 70% (10). In un più recente studio solo un paziente su 10 con tumore pT1b aveva residuo di malattia al reintervento (14). 

  • E’ stata sottolineata l’importanza prognostica del versante peritoneale o epatico sul quale si sviluppa il tumore della colecisti (31,34,38,56). Per tale motivo, rispetto alla classificazione TNM pubblicata nel 2010 (16,28), attualmente il tumore T2 è distinto in T2a, se è localizzato sul versante peritoneale, e T2b, se è localizzato sul versante epatico (9). 
  • In generale, il tumore della colecisti T1 coinvolge la parete colecistica sul versante epatico nel 70% dei casi (56).
  • Ampie resezioni epato-biliari “di principio” comportano un significativo aumento della mortalità e della morbilità nei casi T2-3 rispetto alla resezione limitata al letto epatico della colecisti o a resezioni epatiche regolate sull’asportazione del tessuto neoplastico riscontrato (3,4,13,21,23,24,32,42,49). 
  • L’asportazione del dotto biliare comune non aumenta la sopravvivenza nei casi T2-3, mentre aumenta significativamente l’incidenza di complicanze (21).
  • Il carcinoma della colecisti metastatizza precocemente per via linfatica ed ematica. Per esempio, 1/3 dei casi T2 è N+. Nel caso dei tumori T1a e T1b sono riscontrabili metastasi linfonodali rispettivamente nel 3% e nel 10-15% dei pazienti (39,50). 
  • I linfonodi lungo il dotto cistico e il dotto biliare comune sono le prime afferenze delle metastasi linfonodali nel carcinoma della colecisti (55,61). 
  • Sono possibili metastasi linfonodali “a salto” (8).
  • Nel carcinoma della colecisti una stadiazione adeguata richiede l’asportazione di almeno sei linfonodi regionali (3,29,48,49). Tale obbiettivo non è facilmente perseguibile effettuando una dissezione del peduncolo epatico, che fornisce in media 3 linfonodi (14): per ottenere l’obbiettivo è necessario estendere la linfoadenectomia al tronco celiaco e all’area retropancreatica. In tal modo possono essere reperiti in media otto linfonodi versus tre linfonodi (8). Tuttavia, nel gruppo di casi N+ il numero di linfonodi positivi per metastasi non incide sulla sopravvivenza, come anche non incide sulla sopravvivenza una linfoadenectomia limitata al peduncolo epatico piuttosto che estesa al tronco celiaco e all’area retropancreatica (8). 
  • La positività linfonodale nel carcinoma della colecisti T1-3 M0, istologicamente accertata, è associata a una bassa percentuale di sopravvivenza a 5 anni, inferiore al 30% (7,19,20,29,35,36,47,54,60,64).  
  • La linfoadenectomia non aumenta la sopravvivenza nel trattamento chirurgico del carcinoma colecistico, qualora si considerino complessivamente gli studi dedicati a questo aspetto (37), pur essendovi studi che ne evidenziano un beneficio (52). 
  • Non vi è evidenza dell’utilità di una chemioterapia adiuvante in stadio I; un aumento della sopravvivenza con l’utilizzo della capecitabina è stato riscontrato solo nello stadio III (17), per quanto non vi siano ancora evidenze definitive (54).

– Il 16-19% dei pazienti sottoposti a colecistectomia laparoscopica per patologia benigna con  successiva diagnosi istologica di carcinoma della colecisti presenterà metastasi peritoneali in corrispondenza degli accessi chirurgici nei mesi successivi all’intervento (43,45), ma l’asportazione profilattica del tessuto parietale in corrispondenza dei siti di accesso non incide sulla sopravvivenza Inoltre, il problema è stato riscontrato solo nei casi T2 e T3 (18,21, 45).

 

Discussione

Al fine di fornire una risposta alla domanda posta nel titolo di questo scritto, è opportuno in primo luogo osservare che il residuo di malattia nei carcinomi pT1b, quando presente, è limitato al letto epatico della colecisti e ai linfonodi regionali (N1). Il trattamento chirurgico non deve quindi sconfinare oltre la resezione del letto epatico della colecisti con  linfoadenectomia del peduncolo epatico. Resezioni epatiche maggiori e resezione della via biliare non hanno un razionale e anzi sono contro-indicate in tutti gli stadi di malattia, aumentando morbilità e mortalità. Per quanto concerne la linfoadenectomia è opportuno osservare che, in generale, nel trattamento del carcinoma della colecisti questo provvedimento ha sostanzialmente la finalità di acquisire un importante dato per la definizione dello stadio di malattia e per l’indicazione alla chemioterapia adiuvante con capecitabina, chemioterapico attualmente di scelta in questo ambito (58). Tuttavia, la linfoadenectomia non aumenta la sopravvivenza, qualora si considerino complessivamente gli studi dedicati a questo aspetto (37). Inoltre, non vi è evidenza dell’utilità di una chemioterapia adiuvante in stadio I; un aumento della sopravvivenza è stato riscontrato solo nello stadio III (17), per quanto non vi siano ancora evidenze definitive (54). 

Purtroppo i dati relativi alla sopravvivenza a 5 anni dopo semplice colecistectomia per tumore incidentale della colecisti pT1b non sono molto orientativi, variando sorprendentemente tra il 37% e il 100%  con il 50% degli studi riportanti una sopravvivenza del 100% (1). 

Tra i dati elencati nell’introduzione merita attenzione l’incidenza di malattia residua nei tumori pT1b, che sembra attestarsi intorno al 10% (14,53). Lo studio di Butte e al evidenzia la possibilità di un residuo di malattia in un terzo di pazienti, ma questa osservazione non si traduce in un’asserzione di efficacia del trattamento chirurgico da parte degli autori: “Survival in patients with residual disease at local or regional sites was not significantly different than that seen in stage IV disease, with neither subgroup clearly benefiting from reoperation. Outcomes were poor in all patients with residual disease, regardless of location” (10). In un più recente studio su 463 pazienti, identificati nel Registro oncologico olandese, la riresezione non è risultata associata a una sopravvivenza più lunga, se il tumore è pT1b (14). Vari autori evidenziano che l’aumento di sopravvivenza dopo riresezione riguarda esclusivamente i casi pT2 e pT3 (10,21).  

L’indicazione al reintervento (resezione del letto epatico e/o linfoadenectomia regionale) resta discutibile, considerando anche molti altri studi (3,5,15,14,21,39,40,44,46,51,57,62). Pochi studi hanno presentato evidenze di un’utilità del reintervento: in uno studio tedesco fondato sull’analisi di 124 pazienti con carcinoma incidentale della colecisti T1 almeno un paziente su tre ha avuto un beneficio in termini di sopravvivenza dopo reintervento (26). Anche in uno studio fondato sull’analisi di 1115 casi di carcinoma della colecisti in stadio I, estratti dal database “National Cancer Institute’s Surveillance, Epidemiology and End Results (SEER)” è stata rilevata una migliore sopravvivenza a 5 anni nei casi trattati con resezione epatica e linfoadenectomia regionale: 79% versus 50% dopo colecistectomia semplice (27). Più recentemente è stata esaminata la sopravvivenza di 2302 casi di tumore della colecisti documentati nel National Cancer Database del Texas tra il 2006 e il 2015. In analisi univariata è stato evidenziato un aumento della sopravvivenza nei casi pT1b pT2 e pT3 sottoposti a riresezione, tuttavia con più significativo impatto nei casi pT2 e pT3 in analisi multivariata (33). Inoltre, è stato osservato che i pazienti sottoposti a linfoadenectomia (58,3% del totale) ricevevano più frequentemente una chemioterapia adiuvante rispetto ai casi non sottoposti a linfoadenectomia (46.2% versus 26.6%, p < 0.001). Questa osservazione indica che la chemioterapia potrebbe essere stato un significativo fattore nel raggiungere migliori risultati nel gruppo di pazienti sottoposti a linfoadenectomia. Quindi, il reale beneficio della linfoadenectomia per sé rimane incerto, in particolare nei casi pT1b. 

Sulla scorta dell’esperienza degli autori (Jung e al) e di una complessiva analisi della letteratura è stato proposto di evitare reinterventi nel caso di tumori incidentali della colecisti pT2a (34) o di limitare il reintervento alla linfoadenectomia (30). A maggior ragione perplessità possono essere avanzate sull’indicazione a una resezione epatica nel caso di tumori della colecisti pT1 con localizzazione sul versante peritoneale.

Quale decisione prendere dunque nello specifico caso di un focolaio carcinomatoso pT1b in una colecisti asportata per patologia benigna, che giunga alla nostra attenzione? Per un’adeguata risposta è opportuno esaminare nel referto istologico i seguenti aspetti:

  • se sia indicato il versante peritoneale o epatico della parete colecistica sulla quale è stato rilevato il tumore. 

Sulla scorta delle attuali conoscenze un coinvolgimento sul versante peritoneale orienta a considerare non necessaria una riresezione, perlomeno dopo aver acquisito ulteriori informazioni con esami radiologici. Le indagini radiologiche più appropriate per una stadiazione sono la tomografia computerizzata (TC) dell’addome con mezzo di contrasto iodato (mdc) oppure la PET-TC con 18-fluoro-desossiglucosio (11,59). La PET-TC è un’alternativa alla TC con mdc nell’identificare eventuali localizzazioni epatiche e linfonodali; è risultata particolarmente utile nei casi risultati dubbi per linfoadenopatia alla TC, tenendo tuttavia presente che la pregressa colecistectomia ne riduce l’utilità rispetto ai casi in studio per tumore della colecisti con colecisti in sede (41). Nei casi pT1 è stata notato che l’assenza di captazione è associata all’assenza di residuo di malattia dopo riresezione; perciò, una PET-TC negativa controindicherebbe il reintervento in ogni caso di tumore  incidentale della colecisti pT1b (25). Appare perlomeno ragionevole considerare la negatività della PET-TC un ulteriore elemento per orientarsi a una chemioterapia profilattica o al semplice follow up in caso di tumore che si trovi sul versante peritoneale della colecisti. La PET-TC deve essere effettuata almeno sei settimane dopo la colecistectomia. 

  • se sia indicata la presenza di linfonodi in rapporto con il dotto cistico e, in caso affermativo, se vi ne sia stato effettuato un esame istologico.  

Un riesame del pezzo operatorio può essere opportuno per la loro ricerca. In un caso da me osservato fu riscontrato un unico linfonodo del dotto cistico negativo per localizzazione metastatica. Tale elemento può concorrere alla decisione finale, pur tenendo presente che sono possibili metastasi linfonodali a salto (8).  

Nel caso che il tumore sia localizzato sul versante epatico della colecisti è più problematico decidere se sia giustificabile proporre una laparotomia, per asportare il letto epatico della colecisti e per effettuare una linfoadenectomia del peduncolo epatico. La PET-TC è certamente orientativa, ma infine, nel dubbio di microfocolai residui, potrebbe essere proposta una chemioterapia con capecitabina, evitando il disagio di un trattamento chirurgico per via laparotomica. Infatti, è dimostrato che questo farmaco è citotossico per le cellule tumorali della colecisti, consentendo di ottenere un modesto aumento della sopravvivenza in stadio III. Tuttavia, non è possibile misurare l’efficacia di questo trattamento nei casi pT1b, non potendosi definire la reale presenza di un microfocolaio residuo nel letto epatico o nei linfonodi del peduncolo epato-duodenale. E’ comunque intuibile la prudenzialità di un trattamento chemioterapico profilattico nei tumori incidentali pT1b della colecisti, se il paziente non presenta contro-indicazioni per età e per comorbilità. E’ noto che in situazioni di questo tipo gli oncologi richiedono al chirurgo una prova di positività per residuo di malattia, prima di iniziare una chemioterapia, ma si deve anche considerare che tale richiesta presuppone un’anestesia generale, una laparotomia, una procedura traumatica sul fegato e sul peduncolo epato-duodenale. Inoltre, tale procedura chirurgica non evidenzierà residuo di malattia nel 85-90% dei casi e in caso di negatività non vi potrà essere assoluta certezza che non siano sfuggiti alla ricerca depositi tumorali microscopici. E’ anche da considerare quanto incerte continuino ad essere le valutazioni su un beneficio di sopravvivenza derivante da una linfoadenectomia nei casi pT1 N1. In tanta incertezza non si può prescidere da un franco colloquio con il paziente, che deve essere informato perlomeno sulla percentuale di positività linfonodale nei casi di tumore della colecisti pT1b, sull’assenza di dati certi sul beneficio di una riresezione associata a chemioterapia o di una chemioterapia esclusiva, sull’eventuale esistenza di fattori prognostici favorevoli (per es localizzazione del tumore sul versante peritoneale, negatività di un eventuale linfonodo riscontrato nel pezzo operatorio) e infine sui rischi di un eventuale trattamento in rapporto all’età e ad eventuali comorbilità. Potrebbe essere inoltre fornito un sintetico bilancio di evidenze “pro e contro”, riscontrabili in letteratura scientifica. 

Nell’approssimarsi alla conclusione di questo scritto, resta infine da valutare quale risposta fornire alla nostra iniziale domanda nell’eventualità di un carcinoma incidentale della colecisti sospettato intra-operatoriamente, sottoposto ad esame istologico estemporaneo e confermato tale con grado di infiltrazione T1b. Se la colecistectomia è stata effettuata laparoscopicamente non appaiono indicate ulteriori procedure chirurgiche in corso di intervento; il programma potrà essere meglio definito successivamente. Invece, se la colecistectomia è effettuata per via laparotomica e vi è diagnosi istologica estemporanea di carcinoma T1b, è certamente opportuno approffittare dell’accesso laparotomico, per effettuare una linfoadenectomia del peduncolo epatico. Nel caso che il tumore sia localizzato sul versante epatico della colecisti l’intervento si concluderà con una resezione del letto epatico della colecisti con spessore di 2 cm.

In tutti i casi, qualunque sia stata la decisione tra riresezione e astensione dal trattamento chirurgico, è opportuno istituire un follow up. Non ne è attualmente concordato un ben definito schema. Un possibile schema potrebbe essere il seguente: 

  • esami emato-chimici (emocromo, bilirubina, GOT, GPT, gammaGT, CEA, CA19-9) ogni sei mesi per 5 anni; 
  • PET-TC due mesi dopo la diagnosi di carcinoma incidentale pT1b
  • TC addome 4 mesi dopo l’acquisizione del referto PET-TC; successivamente TC addominale con mdc ogni sei mesi per 5 anni e RX torace ogni dodici mesi, seguito dopo sei mesi da TC torace da ripetere con cadenza di dodici mesi per 5 anni.  

Concludo, osservando che sorprendentemente varie linee guida propongono raccomandazioni alla riresezione nel carcinoma incidentale pT1b, pur in assenza di chiare evidenze di beneficio. E’ il caso delle linee guida dell’ American Joint Committee on Cancer (AJCC), Americas Hepato-pancreato-biliary Association (AHPBA), and National Comprehensive Cancer Network (NCCN). Soffermiamoci sulle linee guida italiane, edite dall’AIOM nel 2019, scegliendole per il fatto che normalmente sono piuttosto accurate nella varietà di patologie oncologiche trattate:

“Nei pazienti con neoplasia incidentale pT1b, pT2 e pT3 è necessario il reintervento che prevede la resezione epatica, la linfadenectomia, la resezione del moncone del dotto cistico ed in alcuni casi la resezione della VBP e dei tramiti dei trocars usati per la colecistectomia [Miyazaki 2015, Valle 2016]. Il reintervento in questi casi è associato a un aumento significativo della sopravvivenza rispetto ai pazienti con neoplasia allo stesso stadio ma non rioperati (rispettivamente 79% vs 42% a 5 anni (p = 0.03) nel pT1b [Goetze 2008]. (2) 

Queste affermazioni sono davvero sorprendenti nell’“aggrapparsi” ai pochi studi che hanno sostenuto un beneficio di sopravvivenza in seguito a riresezione. Per quanto concerne la resezione della via biliare principale e/o dei trocar è anzi assodato che tali procedure non apportano alcun beneficio nel carcinoma della colecisti pT1. E’ quindi auspicabile che in future edizioni vi sia un riesame della problematica, che consideri i dettagli di questa discussione. 

 

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