LA GASTRECTOMIA - CAPITOLO 9

PROVVEDIMENTI POSTOPERATORI

 

Al termine dell’intervento l’immediata gestione postoperatoria è di competenza anestesiologica, qualora su indicazione dell’anestesista il paziente sia trasferito nell’U.O. di Rianimazione per un monitoraggio strumentale dei parametri emodinamici. Nella maggior parte dei casi il paziente non necessita di ricovero in ambiente di assistenza intensiva ed è trasferito nell’U.O. chirurgica dopo un monitoraggio pulso-ossimetrico ed elettrocardiografico, protratto per alcune ore in un apposito locale della Piastra operatoria. In questo capitolo sono sintetizzati i provvedimenti utili per la gestione postoperatoria nel reparto di Chirurgia generale.

Un decorso postoperatorio regolare dopo gastrectomia prevede:

– Monitoraggio ossimetrico fino al mattino successivo all’intervento. Infatti, può manifestarsi ipossia per depressione dell’attività respiratoria, causata dagli anestetici. La somministrazione di O2 a basso flusso può essere mantenuta fino al mattino successivo all’intervento. Un controllo della satO2 è effettuato mezz’ora dopo la sospensione dell’ossigeno.

– RX torace al termine dell’intervento, se inizialmente era stato posizionato un  catetere venoso centrale. Consente di controllare il corretto posizionamento del catetere venoso, prima di introdurvi le infusioni ev, e di ricercare un eventuale pneumotorace, che è una nota complicanza del cateterismo in vena succlavia.

– Rimozione delle secrezioni bronchiali. In caso di toracotomia è caratteristica una secrezione bronchiale densa, che causa dispnea e atelettasie, fattore di rischio per broncopolmonite. I provvedimenti profilattici consistono in adeguata idratazione e aerosolterapia con una soluzione inalatoria di mucolitico e di broncodilatatore, per esempio 1/2 ml di bromuro di ipratropio allo 0,025% due volte al giorno. Il bromuro di ipratropio è un valido broncodilatatore, la cui efficacia può essere modestamente migliorata dall’aggiunta di un beta2 adrenergico a lunga azione come il salmeterolo. Tra i mucolitici agisce particolarmente sulle secrezioni dense l’ambroxol allo 0,75%. Altre molecole disponibili sono tiopronina, bromexina, carbocisteina, acetilcisteina e sobrerolo. E’ importante informare il paziente sui rischi derivanti dal ristagno di secrezioni, invitandolo a espettorare frequentemente. Sono d’ausilio gli esercizi respiratori con incentivatore del respiro (fig. 9.3) e al bisogno broncoaspirazioni per via endoscopica.

In casi particolari – per esempio dopo resezioni esofagee con prolungato allettamento e atelettasie polmonari da dense secrezioni bronchiali – può essere preferibile il posizionamento endotracheale per via percutanea di una cannula con calibro di 4 mm (Issa, 1991). Sono in commercio set forniti di cannula, ago introduttore, placchetta e fascia per il fissaggio (fig. 9.1). La cannula è introdotta in trachea attraverso la membrana crico-tiroidea dopo aver iperesteso il collo del paziente. La cannula è fornita di una placca che ne consente il fissaggio al collo mediante una fascetta. Questo tipo di accesso tracheostomico consente broncoaspirazioni al bisogno che non disturbano il paziente e che possono essere agevolmente effettuate dal personale infermieristico. La cannula è rimossa una settimana dopo l’intervento senza necessità di suturare l’orifizio cutaneo.

 

Fig. 9.1 – Minicannula tracheale (TracheoQuick della Willy Rüsch AG)[/caption]

 

– trasfusioni di sangue, se l’Hb è < 9 g/dL. Se l’Hb è compresa tra 8 e 9 g/dL e non tende a calare, è preferibile evitare l’emotrasfusione. L’eritrogenesi è stimolata con trattamento marziale, se la sideremia è inferiore a 50 microg/dL con volume globulare medio (MCV) < 80 femtolitri e con concentrazione emoglobina corpuscolare media (MCHC) < 27 g/dL (anemia microcitica). Nei pazienti anziani e/o cardiopatici con Hb = < 9 g/dL il trasporto d’ossigeno può essere insufficiente a soddisfare il fabbisogno cardiaco nei primi giorni dopo l’intervento; perciò è indicata l’emotrasfusione con emazie concentrate e l’Hb dovrebbe essere aumentata almeno fino a 10 g/dL. Un’unità di emazie concentrate aumenta l’ematocrito di circa il 2% nell’adulto. Una terapia marziale (gluconato ferrico sodico 180 mg ev die, pari a 60 mg di ferro) è indicata in caso di sideremia < 50 microg/dL con anemia microcitica.

– Controllo dei valori pressori. Se non è ancora ripresa la peristalsi o se è presente vomito, l’ipertensione arteriosa è controllabile per via parenterale con clonidina a lento rilascio percutaneo (tipo Adesipress TTS1 cerotto 1/settimana, aumentabile con TTS2). Eventuali crisi ipertensive di lieve-media entità (PAO sistolica > 190 e < 230 mmHg, PAO diastolica > 100 e < 130 mm Hg) sono trattabili inizialmente con clonidina 0,150 mg in 100 ml di soluzione fisiologica infusa ev o con furosemide 40 mg ev in bolo. Se la crisi ipertensiva non si risolvesse con questi farmaci entro 30 minuti o se fosse di maggior gravità, sarebbe opportuno procedere all’infusione rapida di urapidil 50 mg in 100 ml di soluzione fisiologica. L’infusione è eventualmente ripetuta con successivo mantenimento (50 mg in 100 ml di fisiologica a 30 ml/h) fino alla normalizzazione dei valori pressori.

– Supporto inotropo cardiaco. In passato era consuetudine in alcuni ambienti chirurgici somministrare profilatticamente al mattino digossina 0,25 mg ev (1/2 fl in 10 ml di soluzione fisiologica iniettata in 2 minuti) nell’anziano con insufficienza cardiaca compensata. I valori ematici della digossina dovevano essere periodicamente controllati, per evitare manifestazioni tossiche da accumulo. Attualmente questo tipo di profilassi non è in uso. Per ottimizzare la funzione miocardica, è importante correggere un’eccessiva anemizzazione. Infatti, l’ossigenazione del miocardio può essere ridotta in modo critico quando l’Hb è inferiore a 9 g/dL, se coesiste stenosi aterosclerotica coronarica. In questa condizione si manifestano, seppur occasionalmente, episodi di angina pectoris e di infarto miocardico. Nei pazienti con cardiopatia ischemica o comunque nei pazienti con età > 70 anni è quindi prudente correggere con emotrasfusioni un calo dell’Hb sotto 9 g/dL. E’ inoltre raccomandabile riprendere la terapia cardiologica domiciliare per l’insufficienza cardiaca (per es. bisoprololo) non appena il paziente è in grado di bere.

– Trattamento del dolore. Nei primi giorni successivi all’intervento il trattamento antidolorifico è attuabile con cocktail di farmaci antidolorifici – tipo naropina e fentanyl – infusi in pompa elastomerica connessa a un cateterino peridurale. La pompa elastomerica consiste in un palloncino-serbatoio elastomerico, protetto da una capsula in plastica rigida e trasparente. Il palloncino esercita una pressione costante sulla soluzione antidolorifica, spingendola nella linea infusiva a velocità costante preimpostata (fig. 9.2). Il cateterino è generalmente posizionato in sala operatoria prima dell’induzione anestesiologica. Il trattamento antidolorifico postoperatorio può essere integrato con paracetamolo 1g ev ogni otto ore, tenendo conto della sua contro-indicazione relativa in caso di insufficienza epatica. Il controllo dell’intensità del dolore è effettuabile due volte al giorno dal personale infermieristico, utilizzando una scala visuo-analogica graduata da 0 (dolore assente) a 10 (dolore molto intenso). La scala fornisce una strategia per alleviare il dolore mediante l’utilizzo di farmaci con crescente potenza analgesica, in base all’intensità del dolore riferita dal paziente. Per esempio:

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Il valore è registrato in grafica e, se esso è > 4, il medico è avvisato per l’integrazione della terapia con antidolorifici più energici del paracetamolo (per es tramadolo 100 mg ev, chetoprofene 100 mg ev). Nel caso di FANS si deve tenerne conto la controindicazione relativa in caso di insufficienza renale. Il tramadolo è una valida alternativa: 100 mg ogni sei ore in infusione ev non inferiore a 15 minuti sono una dose analgesicamente adeguata e senza rischio di insufficienza respiratoria, ma talora insorge nausea e vertigine, che ne contro-indicano la prosecuzione. Nel caso della morfina deve essere considerata l’azione negativa di questa molecola sulla ripresa della peristalsi intestinale; il suo utilizzo deve essere perciò occasionale e riservato al trattamento del dolore severo. Quando il paziente inizia a bere, possono essere utilizzati antidolorifici per os, per es. paracetamolo 1000 mg al bisogno (max 1000 mg ogni 8 ore) e nei casi non responsivi paracetamolo 500 mg associato a codeina 30 mg ogni 8 ore.

 

Fig 9.2 – Pompa elastomerica

 

Se è presente una pompa elastomerica con infusione peridurale a velocità costante di antidolorifici, si provvede alla sua ricarica (per es con naropina oppure con ropivacaina 4 fl 1% – 1 mg/ml per fiala – associato a fentanyl 2 fl – 0,1 mg/2ml per fiala – in 250 ml di soluzione fisiologica alla velocità di 5 ml/h) 48 ore dopo la sua installazione, se il dolore in sede di ferita è riferito significativo dal paziente. In caso contrario, si provvede a rimuovere il cateterino peridurale, proseguendo il trattamento antidolorifico ev. Si deve tenere presente che la rimozione del catetere peridurale deve essere prudenzialmente effettuata dieci-dodici ore dopo l’ultima somministrazione di EBPM o comunque in assenza di attività farmacologica di tipo anticoagulante nel sangue, al fine di evitare il rischio di ematomi in sede peridurale; eventualità piuttosto rara, ma con possibili gravi sequele.

 

Schema 9.1 Dosi massime giornaliere ev di alcuni farmaci antidolorifici dopo gastrectomia

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Paracetamolo: 3 g ev frazionati in tre dosi, max 1 g ogni otto ore.

Tramadolo: 400 – 600 mg ev frazionati in quattro – sei dosi, max 100 mg ogni quattro ore.

Ketoprofene: 200 mg ev, max 100 mg ogni 12 ore.

Morfina: 10 – 15 mg sc frazionati in due – tre dosi, max 5 mg ogni 8 ore.

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– Idratazione e nutrizione parenterale. L’idratazione è necessaria fino al momento in cui la peristalsi intestinale si riattiva, consentendo al paziente di assumere bevande. Nella maggior parte dei casi è associata alla nutrizione parenterale (NP), infondendo 2000-2500 ml/die di soluzione per nutrizione parenterale in sacca. Se la NP con lipidi e con aminoacidi non è necessaria (adeguato BMI, albuminemia > 3,5 g/dL, previsione di una precoce rialimentazione per os), l’idratazione consiste nell’infusione di soluzioni con glucosio ed elettroliti: sono soluzioni già pronte (tab. 9.1) o preparabili al momento, aggiungendo gli elettroliti in fiala a soluzioni di glucosio al 5-10% (NaCl 40 mEq + KCl 20 mEq per 500 ml di soluzione). La nutrizione parenterale è indicata nel caso che l’albuminemia sia < 3,5 g/dL, nel caso che il paziente abbia avuto una riduzione di peso negli ultimi sei mesi uguale o maggiore al 10% del peso usuale e nel caso che sia prevedibile un periodo di digiuno superiore a quattro-cinque giorni. L’immuno-nutrizione è l’alternativa alla normale NPT nelle realtà che accettano il protocollo ERAS (vedi capitolo 3). Se è prevista una lunga durata della nutrizione parenterale (> 10 giorni), è importante aggiungere in sacca un polivitaminico, che includa retinolo, colecalciferolo, vitamina E, acido ascorbico, vitamine B1, B2, B6, B12, acido folico, acido pantotenico, biotina, vitamina PP. E’ aggiunto inoltre un flacone di oligoelementi, contenente Fe, Zn, Mn, Cu, Cr, Se, Mo, I, F. Nel caso di lieve iperglicemia pre-operatoria (100-130 mg/dL) è opportuno aggiungere in sacca insulina rapida (detta anche “pronta” o “regolare”) tipo Actrapid in rapporto al contenuto glucidico (1 U di insulina rapida/4g di glucosio). Alcuni clinici aggiungono in sacca piccole quantità (1 ml/100 ml) di Emagel (poligelina) o di Gelofusine (succinilgelatina), con lo scopo di ridurre l’adsorbimento dell’insulina sulla superficie della sacca.

Un controllo glicemico più preciso si ottiene con l’infusione dell’insulina in pompa d’infusione; questa modalità è la più appropriata nel paziente diabetico. Sono infusi 100-200 ml/ora di una soluzione al 5% di glucosio addizionata di 20 mEq/L di K o in alternativa la sacca di NPT. Separatamente sono infuse 25 U di insulina regolare umana diluite in 250 ml di soluzione salina allo 0,9% alla velocità di 2 U/ora (20 ml/ora). La glicemia è controllata un’ora dopo l’inizio dell’infusione e il flusso di insulina è regolato in modo da mantenere la glicemia tra 100 e 200 mg/dL (Joanasson, 1991). Successivamente la velocità d’infusione in ml/h è regolata in rapporto ai valori glicemici, controllati ogni otto ore, secondo il seguente schema:

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Nel paziente euglicemico è sufficiente controllare la glicemia ogni 24 ore nel corso dell’infusione. Qualora si manifestasse iperglicemia (> 160 mg/dL),  la correzione sarà effettuata con insulina rapida secondo il seguente schema:

– 4 U sc insulina rapida se glicemia tra 160 o 180 mg/dL

– 6 U sc se glicemia tra 181 e 240 mg/dL

– 8 U sc se glicemua tra 241  e 299 mg/dL

– 10 U sc se glicemia > 300 mg/dL.

La glicemia sarà controllata un’ora dopo la somministrazione di insulina.

Se la glicemia fosse riportata a un valore < 160 mg/dL, un ulteriore controllo glicemico sarà effettuato dopo 8 ore e si procederà all’aggiunta di insulina nella nuova sacca il giorno seguente, qualora precedentemente l’infusione di NPT ne fosse stata priva.

Occasionali picchi glicemici = > 300 mg/dL sono trattati con insulina rapida 10U sc, ripetibile ogni mezz’ora in rapporto al valore glicemico controllato con stick.

Il quantitativo di liquidi da infondere nel corso delle 24 ore successive all’intervento è stabilito nella maggior parte dei casi in 1500-2000 ml in condizioni di normale funzionalità renale; successivamente è corretto in modo da equilibrare il quantitativo raccolto tramite il catetere vescicale, i drenaggi e il sondino naso-digiunale o naso-colico. Si deve tenere presente che una lieve ipotensione arteriosa può essere un tipico segno di disidratazione in I-III giornata postoperatoria, in conseguenza di perdite idriche intra-operatorie, non adeguatamente compensate. Una diuresi di 35-50 ml/ora orienta a un’adeguata idratazione, ma un giudizio certo deve tenere conto anche dei parametri emodinamici, non potendosi escludere una manifestazione poliurica in una condizione di disidratazione. Anche un’oliguria richiede una precisa valutazione clinica prima di decidere la modalità di idratazione. Devono essere ricercati altri indici di scarsa idratazione quali una lieve ipotensione arteriosa (per es 90/55 mmHg), una tachicardia sinusale (100-120 b/min), la secchezza della mucosa sublinguale e un colore scuro delle urine, in assenza di altre condizioni in cui è alterato il normale colore ambrato delle urine, quali iperbilirubinemia, ematuria e omocistinuria. In presenza di alcuni di questi indici e se non vi sono crepitii polmonari compatibili con un sovraccarico idrico alveolare, è indicato un prudente aumento della velocità d’infusione dei liquidi, controllando periodicamente che all’auscultazione del torace non compaiano rumori tipici dell’edema polmonare. Il tracciato elettrocardiografico e il dosaggio sierico urgente di creatinina, urea, sodio, potassio, BNP (peptide natriuretico di tipo B) sono un sussidio ai dati clinici nella diagnosi differenziale tra un’insufficienza cardiaca e un’insufficienza renale. Più indaginosa è la misurazione della pressione venosa centrale, che è comunque una risorsa diagnostica da tenere presente, se è in sede un catetere venoso centrale. Nell’attesa degli accertamenti la diuresi è stimolata con un blando trattamento diuretico dopo aver infuso almeno 500-700 ml di liquidi; a tal fine può essere utilizzata la furosemide alla dose iniziale di 20 mg ev dopo aver escluso un’ipopotassiemia. In caso di ipopotassiemia < 3,4 mEq/L  è preferibile somministrare un diuretico risparmiatore di potassio, per esempio canrenoato.

Se con questo provvedimento la diuresi non aumenta, deve essere valutata la possibilità di una necrosi tubulare acuta. In tal caso la richiesta di una consulenza nefrologica è preceduta dall’acquisizione dei seguenti esami emato-chimici: emocromo, proteina C reattiva, glucosio, creatinina, urea, Na+, K+, Cl, Mg++, P, BNP, clearance della creatinina, emogasanalisi venosa o arteriosa. Saranno inoltre dosati creatinina, urea e ioni nelle urine delle 24 ore.

Si deve infine rammentare che ipotensione arteriosa e tachicardia sinusale possono essere epifenomeno di un’embolia polmonare e perciò, anche in assenza di dispnea e di tachipnea, è opportuno valutare i dati di un’emogasanalisi su prelievo di sangue arterioso e la saturazione di O2, fornita dal pulsossimetro, proseguendo la diagnostica con un’angioTC polmonare nel caso che i loro valori siano significativamente alterati (riduzione della satO2 e della pO2) rispetto a quanto registrato nelle giornate precedenti.

– Mantenimento della diuresi. La diuresi è mantenuta con un’adeguata idratazione ev nella fase di digiuno. E’ caduta in disuso la somministrazione profilattica di dopamina alla dose di 3 microg/Kg/min in caso di fattori di rischio per anuria postoperatoria: età avanzata, diabete mellito, ittero. In pratica nel caso di un individuo di 60-70 Kg una fiala con 200 mg di dopamina era diluita in 500 ml di soluzione fisiologica ed era infusa con regolatore di flusso alla velocità di 22 ml/ora. L’infusione di dopamina ev a basso dosaggio, effettuata preferibilmente in pompa infusiva, rimane una valida terapia in associazione con i diuretici nel trattamento di un’insufficienza renale postoperatoria.

In caso di insufficienza epatica la diuresi è mantenuta con un’associazione di diuretico dell’ansa (furosemide 20 mg/die) e di un diuretico antialdosteronico somministrabile ev (canrenoato di potassio). L’antialdosteronico previene la perdita renale di potassio causata dal diuretico dell’ansa e dall’iperaldosteronismo secondario all’insufficienza epatica; inoltre, agendo come antagonista competitivo dell’aldosterone esso impedisce nel nefrone distale il riassorbimento di sodio stimolato dall’aldosterone; potenzia in questo modo l’effetto del diuretico dell’ansa, che inibisce il riassorbimento di sodio nel tratto spesso ascendente dell’ansa di Henle.

In caso di ipopotassiemia la diuresi è mantenuta con  un diuretico antialdosteronico, evitando la somministrazione di diuretici dell’ansa.

– Monitoraggio della diuresi oraria. La diuresi è controllata almeno due volte al giorno, registrando in grafica i quantitativi di urina raccolti in una sacca, raccordata al catetere vescicale. Essa risulta adeguata se il flusso urinario è di almeno 35 ml/ora.

Un aspetto importante relativo al monitoraggio della diuresi riguarda il controllo che al momento della visita pomeridiana il medico deve ricordarsi di effettuare sia sulla diuresi segnata in grafica dall’infermiere al cambio della sacca connessa al catetere vescicale, sia sul quantitativo osservabile nella sacca. Infatti, un errore infrequente, ma possibile, è il considerare scontato che una sacca vuota al letto del paziente sia tale, perché appena svuotata dall’infermiere, che certamente avrebbe avvisato il medico, se il quantitativo fosse stato insolitamente scarso. Questo errore è talmente caratteristico, per quanto sorprendente, che appare opportuno evidenziarlo in questa sede, considerando che può tradursi in un grave ritardo diagnostico in caso di anuria.

– Controllo di emocromo, glicemia, ionemia (Na, K, Cl, Ca), creatinina e urea sieriche, bilirubina, lipasemia, transaminasemia in prima giornata postoperatoria.

– Controllo di potassiemia, sodiemia, creatinina e azotemia sierica a giorni alterni fino alla ripresa dell’alimentazione per bocca. L’alterazione elettrolitica più comune è l’ipopotassiemia, ma essa è inusuale se l’apporto giornaliero di potassio è di almeno 80 mEq/die. L’ipopotassiemia è corretta temporaneamente con ulteriore infusione di 60 mEq di potassio in 500 ml di soluzione salina allo 0,9% (o anche in soluzione al 5% di glucosio se la potassiemia è > 2,5 mEq/l) in sette-otto ore (più rigorosamente: velocità max 10 mEq/ora – o 40 mEq/ora con controllo ECG – fino alla concentrazione di 60 mEq/L (O’Shea)). Se è possibile l’alimentazione, è aggiunto in terapia un integratore con potassio (per es KCl a lento rilascio). Se l’infusione di potassio non correggesse l’ipopotassiemia entro tre giorni, si dovrebbero ricercare le cause che la sostengono:

– diuretici osmotici, diarrea, chetoacidosi diabetica (ipopotassiemia con acidosi metabolica);

– iperaldosteronismo primitivo, terapia diuretica, sindrome di Bartter (ipopotassiemia con alcalosi metabolica);

– deficit di magnesio, alte dosi di penicilline, amino glicosidi (ipopotassiemia con normale equilibrio acido-base);

Una valutazione internistica sarà preceduta dall’acquisizione dei seguenti dati: glicemia, creatinina, urea, sodio, potassio, Mg, Ca nel siero; glicemia, proteine, creatinina, urea, sodio e potassio nelle urine delle 24 ore; clearance della creatinina; emogasanalisi venosa. Cortisolo libero nelle urine delle 24 ore, cortisolemia alle ore 8 e alle ore 18, ACTH sierico, renina basale sierica, aldosterone basale sierico rappresentano indagini di secondo livello, che potrebbe definirsi nel corso della valutazione internistica.

 

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Schema 9.2 – Interpretazione dell’equilibrio acido-base nell’emogasanalisi arteriosa (Ramilli, http://www.medicinaurgenza.it/emogasanalisi.html)

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– Acidosi respiratoria acuta:

pH < 7,35, pCO2 > 45 mmHg,  aumento atteso di 1 mEq/L di HCO3 rispetto al valore medio (25 mEq/L) per ogni aumento di 10 mmHg di pCO2 rispetto al valore medio (40 mmHg)

– Acidosi respiratoria cronica:

pH < 7,35, pCO2 > 45 mmHg, aumento atteso di 3,5 mEq/L di HCO3 rispetto al valore medio (25 mEq/L) per ogni aumento di 10 mmHg di pCO2 rispetto al valore medio (40 mmHg)

– Alcalosi respiratoria acuta:

pH > 7,35, pCO2 < 35 mmHg, riduzione attesa di 2 mEq/L di HCO3 rispetto al valore medio (25 mEq/L) per ogni riduzione di 10 mmHg di pCO2 rispetto al valore medio (40 mmHg)

– Alcalosi respiratoria cronica:

pH > 7,35, pCO2 < 45 mmHg, riduzione attesa di di 5 mmHg di HCO3 rispetto al valore medio (25 mEq/L) per ogni riduzione di 10 mmHg di pCO2 rispetto al valore medio (40 mmHg)

– Acidosi metabolica:

pH < 7,35, HCO3 < 22 mEq/L, pCO2 < 35 mmHg (riduzione attesa di di 1 mEq/L di HCO3 rispetto al valore medio (25 mEq/L) per ogni riduzione di 1 mmHg pCO2 rispetto al valore medio (40 mmHg)

Per comprendere se l’equilibrio sia mantenuto per perdita di HCO3  o aumento di H+, calcolare il gap anionico cationi – anioni (v.n.: 12-16):

(Na+ + K+) – (Cl + HCO3)

Se il gap è aumentato l’acidosi metabolica è causata da un aumento della quota acida.

Se il gap è normale, l’acidosi metabolica è causata da una perdita di bicarbonati (acidosi ipercloremica).

– Alcalosi metabolica semplice:

pH > 7,45, HCO3  > 26 mEq/L, aumento di 1 mEq/L di HCO3 rispetto al valore medio (25 mEq/L) per ogni aumento di 0,5 mmHg di pCO2 rispetto al valore medio (40 mmHg)

 

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L’iperpotassiemia è inusuale, eccetto che dopo emotrasfusione, nei pazienti con IRC e in caso di sovradosaggio di potassio nel corso di una nutrizione parenterale totale. Un valore elevato dovrebbe essere ricontrollato, potendo derivare da un’emolisi in corso di prelievo venoso. Se confermato, deve essere valutato l’equilibio acido-base con emogasanalisi (schema 9.2). Una potassiemia = > 6,5 mEq/L con alterazioni elettro-cardiografiche e acidosi deve essere corretta urgentemente con una fiala di NaHCO3 7,5% ev in 5 minuti. Se non vi è acidosi e ipoglicemia, in alternativa è somministrabile ev insulina rapida 10 U in una soluzione concentrata contenente 25 grammi di glucosio; segue il controllo di glicemia e di potassiemia un’ora dopo il termine dell’infusione.  Se non vi sono alterazioni elettrocardiografiche, il trattamento è più graduale, utilizzando soluzioni di glucosio 10% (1500 ml die), addizionate con insulina rapida. Se è possibile l’assunzione per os, è associato polistirene sulfonato di sodio (Kayexalate) 30 g in 100 ml di acqua os ogni 8 ore con controlli della potassiemia ogni 12 ore (O’Shea).

Una tendenza all’iposodiemia è comune per l’aumentata secrezione di ormone antidiuretico (ADH), ma non è clinicamente rilevante, se le soluzioni infusive contengono sodio. Eccezionalmente è possibile osservare in pazienti con età > 70 anni un’iposodiemia (120-125 mEq/L di sodio) sintomatica, che si manifesta con letargia e confusione mentale.  Prima di definire la terapia più appropriata è importante identificare il tipo di iponatriemia in causa (ipertonica, normotonica, ipotonica con espansione del volume extracellulare, ipotonica con riduzione dl volume extracellulare). A tal fine deve essere chiesto al laboratorio il calcolo dell’osmolalità plasmatica e urinaria e il dosaggio di glicemia, proteine, trigliceridi, creatinina, urea, elettroliti nel siero e il dosaggio di creatinina, urea, elettroliti nelle urine delle 24 ore in previsione della valutazione internistica. Comunque, nell’attesa dei risultati è possibile avere un orientamento sul tipo di iponatriemia che si osserva. Per esempio, nel caso che non sia riscontrata un’iperglicemia, possibile causa di iponatriemia con elevazione dell’osmolarità plasmatica; che non sia stata riscontrata pre-operatoriamente iperprotidemia e iperlipidemia, causa di pseudoiponatriemia (iponatriemia associata a osmolarità plasmatica normale); che non sia presente insufficienza renale, sindrome nefrosica, scompenso cardiaco e cirrosi, causa di iponatriemia ipotonica con espansione del volume extracellulare; che non sia stata effettuata un’idratazione iposodica e che non sia presente diarrea, diuresi osmotica e insufficienza surrenalica, cause di iponatriemia ipotonica con riduzione del volume extracellulare, si può essere allora orientati a quella che è una  causa tipica di iponatriemia postoperatoria: l’iponatriemia ipotonica con volume extracellulare normale, causata da inappropriata secrezione di ADH. Questo tipo di iponatriemia si caratterizza per osmolarità urinaria elevata (> 200 mOsm/Kg) rispetto all’osmolarità plasmatica, sodio urinario elevato (> 20 mEq/L), euvolemia clinica, funzione renale, surrenalica e tiroidea normale (O’Shea). Il trattamento d’urgenza consiste in questo caso nell’ottenere una rapida diuresi con furosemide ev, seguita dalla reintegrazione di sodio con soluzione fisiologica addizionata con potassio. Sono invece evitate le soluzioni saline ipertoniche. In generale, un’iponatriemia corretta rapidamente può essere complicata da edema cerebrale e da danni neurologici irreversibili, derivanti da mielinolisi pontina centrale (Ayus, 1987; Brunner, 1990).

– Controllo giornaliero della glicemia. Il monitoraggio della glicemia e della ionemia è particolarmente importante in corso di nutrizione parenterale. La glicemia è valutata giornalmente nel tardo pomeriggio, se il paziente non è diabetico, e tre volte al giorno con stick glicemico, se il paziente è diabetico. La ionemia è valutata ogni due giorni. Per le correzioni dell’iperglicemia e delle disionemie si vedano i precedenti paragrafi “Idratazione e nutrizione parenterale” e “Controllo di potassiemia, sodiemia, creatinina e azotemia sierica”.

Se il paziente è affetto da diabete, alla ripresa dell’alimentazione il trattamento è effettuato in modo standard con i farmaci in uso a domicilio, adattandone le posologie in rapporto alla tipologia dei pasti secondo le indicazioni del Centro antidiabetico di riferimento.

– Controllo della bilirubinemia totale e diretta a giorni alterni in caso di esofago-duodenostomia. Evidentemente questa indicazione ha valore storico. Quando l’esofago-duodenostomia era praticata, si osservava spesso un transitorio ittero probabilmente causato dallo stiramento del legamento epato-duodenale (Nissen, 1976).

– Dosaggio della lipasi nel secreto raccolto dai drenaggi addominali. E’ effettuato in I o in II giornata postoperatoria al fine di evidenziare un’eventuale sofferenza pancreatica, che potrebbe beneficiare di un trattamento con octreotide 0,1 mg sc ogni otto ore.

– Controllo giornaliero della temperatura corporea. La misurazione è preferibilmente effettuata nelle prime ore del mattino e nel tardo pomeriggio. Un aumento termico di 0,4-0,8°C accompagnato da innalzamento dei leucociti nel sangue tra 10.000 e 13.000/mm3 è normale dopo l’intervento e non necessita di trattamento. Un’innalzamento repentino della temperatura a 39-40 °C, preceduto da brivido, impone l’esecuzione di un prelievo ematico al momento del picco termico per esame colturale e l’abbattimento del picco termico con acido acetilsalicilico 500-1000 mg ev o con paracetamolo 1000 mg ev. Nell’attesa delle emocolture è iniziato un trattamento empirico con un antibiotico ad ampio spettro ev, utilizzando in prima linea piperacillina/tazobactam o amoxicillina/acido clavulanico e riservando alla seconda linea antibiotici quali levofloxacina e meropenem. La valutazione delle caratteristiche – colore e trasparenza – delle urine e dei liquidi drenati dall’addome, un’urinocoltura, l’auscultazione e la percussione polmonare, eventualmente seguita da RX torace, sono le ulteriori fondamentali indagini da eseguire in queste circostanze, per individuare la fonte dell’infezione. Se la ricerca è negativa, deve essere considerata la contaminazione di dispositivi intracorporei, quali il catetere venoso centrale (CVC). Se i picchi si susseguono nell’arco di tre-quattro giorni nonostante un’antibioticoterapia ad ampio spettro, deve essere valutata l’opportunità di rimuovere il CVC. La punta del catetere è inviata sterilmente al laboratorio microbiologico per le colture. Se necessario, un nuovo catetere venoso è inserito controlateralmente. Tra le cause di febbre “inspiegabile” non deve essere trascurata, seppur rara, l’endocardite, che è diagnosticabile con ecocardiografia. L’ecocardiografia transtoracica ha una sensibilità dell’80% per vegetazioni > 2 mm; considerando anche le vegetazioni < 2 mm la sensibilità si riduce al 65% (Harrison, ed. 2005). Se il sospetto fosse significativo, sarebbe preferibile l’ecocardiografia transesofagea, che ha sensibilità dell’80%.

Sul piano emato-chimico un elevato picco termico o comunque una febbre settica (puntate febbrili pomeridiane, seguite da remissioni totali o parziali al mattino) impone di valutare i leucociti ematici, la formula leucocitaria, la proteina C reattiva e la procalcitonina sierica. La proteica C reattiva ha sostituito la VES, parametro con bassa specificità, che inoltre si modifica lentamente in risposta all’infezione. Una neutrofilia e l’elevazione della proteina C reattiva orientano a un’infezione batterica. La procalcitonina è più specifica (90% vs 85%) della proteina C per differenziare un’infezione batterica da un’infezione virale (Simon, 2004). Un’elevazione della procalcitonina indica in modo piuttosto specifico un’origine batterica dell’infezione e orienta a una sepsi, ovvero a un’infezione severa, tenendo tuttavia presente che un isolato dato biochimico ha scarso valore diagnostico, essendo importante valutare piuttosto la curva temporale della procalcitonina. Ma anche in questo caso, l’esame di laboratorio non sostituisce la valutazione clinica. Per esempio, nelle flogosi appendicolari un’elevazione della procalcitonina o della proteina C reattiva sono osservabili in concomitanza con una riduzione della leucocitosi e con un miglioramento della sintomatologia infettiva. Nel paziente con una complicanza infettiva postoperatoria lo spartiacque per distinguere tra infezione semplice e infezione severa o “sepsi” è un valore di procalcitonina di 0.5 ng/ml (o 0,5 microg/L). In questo contesto la curva della procalcitonina, dosata ogni 24 ore per 72 ore dall’inizio di una terapia antibiotica, consente di valutare la risposta al trattamento, che è considerabile efficace se si osserva un calo > 30% rispetto al giorno precedente (Meisner, 2012).

– Profilassi della trombosi venosa profonda: prevede innanzitutto la mobilizzazione già in prima giornata postoperatoria. Tuttavia spesso il paziente non cammina adeguatamente e la mobilizzazione si risolve nello stare seduto sulla sponda del letto con le gambe immobili. Più utile è dunque il periodico movimento attivo delle gambe in clinostatismo. Nel caso che la mobilizzazione diventi una criticità è necessario richiedere una valutazione fisiatrica urgente, al fine di impostare rapidamente un ciclo di esercizi con il fisioterapista. E’ altrettanto importante somministrare un farmaco anticoagulante, che sarà proseguito non solo fino alla completa mobilizzazione dell’operato, ma anche a domicilio per almeno un mese dalla data dell’intervento. E’ possibile scegliere tra un’eparina a basso peso molecolare (EBPM) somministrata sc e la calciparina sc 12.500 UI x 2/die o 5000 UI x 3/die. Nel capitolo 3 è riportato in appendice (documento 3.4) un algoritmo orientativo per i più opportuni provvedimenti di profilassi antitrombotica con EBPM. In caso di calciparina un’adeguata attività anticoagulante è raggiunta quando il PTT è il doppio del valore normale. Il monitoraggio del PTT non è necessario, se si somministra un’eparina a basso peso molecolare, che presenta anche altri vantaggi rispetto alla calciparina, quale la monosomministrazione giornaliera, un minor rischio di emorragie e un effetto anticoagulante che non è modificato da variazioni delle proteine plasmatiche. In corso di trattamento con EBPM deve essere controllata settimanalmente la piastrinemia. In caso di calo della conta piastrinica il trattamento deve essere proseguito esclusivamente con fondaparinux sodico, che rispetto alla calciparina e alle EBPM non si lega al fattore piastrinico IV, riducendosi per questo motivo il rischio di trombocitopenia indotta da auto-anticorpi diretti contro il complesso eparina-fattore IV. Tuttavia, come segnalato nella scheda farmacologica, “Fondaparinux deve essere utilizzato con cautela in pazienti con anamnesi di trombocitopenia indotta da eparina (HIT). L’efficacia e la sicurezza di fondaparinux nei pazienti con HIT tipo II non sono state studiate in modo formale. Fondaparinux non si lega al fattore 4 della coagulazione e generalmente non ha reazione crociata con il plasma di pazienti con HIT di tipo II. Tuttavia, sono state ricevute rare segnalazioni spontanee di HIT in pazienti trattati con fondaparinux.”

Una valida ma più costosa alternativa all’eparina è il defibrotide, derivato dell’acido desossiribonucleico e agonista del recettore A2 per l’adenosina. Come l’eparina a basso PM il defibrotide non altera il PTT ed espone a minore rischio di emorragie della calciparina. Riduce la reattività piastrinica e attiva la ciclo-ossigenasi, stimolando la sintesi di prostaglandina E2 e di prostaciclina. Ha attività profibrinolitica dovuta all’aumento dell’attivatore tessutale del plasminogeno, alla riduzione degli inibitori della fibrinolisi e ad aumento della proteina C. Ha attività antitrombotica dovuta alla produzione di PGI2, che riduce la reattività piastrinica, e ai fattori implicati nell’azione profibrinolitica. Il defibrotide aumenta l’emivita dell’eparina e non deve essere perciò associato a tale farmaco. E’ somministrato alla dose di 400 mg x 2/die ev.

Se il paziente era in trattamento dicumarolico prima del ricovero, è necessaria la riconversione dall’anticoagulante parenterale al dicumarolico, somministrando dopo la ripresa dell’alimentazione e non prima della VII-VIII giornata postoperatoria 5 mg/die di warfarin in unica dose fino a quando il livello di INR raggiunge il valore desiderato, generalmente tra 2 e 3. Ottenuto questo valore, la somministrazione di eparina è sospesa e il dosaggio del dicumarolico è corretto empiricamente, se necessario, secondo i valori dell’INR.

Se si riscontra un edema localizzato a un arto o ad entrambi gli arti inferiori o superiori in assenza di iperemia cutanea e di localizzazioni dell’edema in altre sedi corporee, è opportuno verificare con ecocolordoppler se vi sia una trombosi venosa profonda rispettivamente dell’asse femoro-iliaco e della vena ascellare o succlavia. L’ecocolordoppler è utilizzato anche in previsione della rimozione di un catetere venoso femorale. Il catetere venoso è inserito raramente in questa sede per difficoltà tecnica nell’inserimento in vena giugulare o succlavia. Non infrequentemente si manifesta in sua contiguità una trombosi, che potrebbe richiedere l’inserimento di un filtro cavale o, se non estesa, il passaggio a una terapia con dicumarolico o con EBPM a dosaggi adeguati per una trombosi venosa profonda.

– Profilassi antibiotica per i primi sei – sette giorni con un antibiotico attivo contro Gram positivi e negativi e di basso costo, come cefotetan alla dose di 1 g x 2/die o cefazolina 1 g x 3/die. Lo scopo è di ridurre il rischio di polmoniti batteriche, di infezioni di ferita e di suppurazione in eventuali raccolte sierose intra-addominali.

– Incentivazione del respiroLa profilassi delle infezioni polmonari è attuata non solo con gli antibiotici, ma anche riducendo il rischio di atelettasie polmonari da ipersecrezione bronchiale e da ipoventilazione. Per quanto concerne il trattamento dell’ipersecrezione bronchiale si veda il paragrafo “Rimozione delle secrezioni bronchiali”. L’ipoventilazione deve essere prevenuta motivando il paziente ad effettuare periodicamente nell’arco della giornata ampie escursioni respiratorie con un apposito dispositivo, detto “incentivatore di respiro”. Il dispositivo è composto da una cannula con boccaglio per l’insufflazione e da un contenitore ripartito in tre camere cilindriche, contenenti ciascuna una sfera. L’aria inspirata nel boccaglio entra nelle tre camere, che sono contraddistinte da uno specifico valore di flusso necessario per l’innalzamento delle palline: 600 ml/sec, 900 ml/sec, 1200 ml/sec (fig. 9.3). Il dispositivo può essere capovolto; in questo caso il sollevamento delle sfere è ottenuto espirando l’aria. Un esercizio adeguato prevede che il paziente ottenga il sollevamento di almeno due sfere.

 

Fig. 9.3 – Dispositivo per l’incentivazione del respiro

 

– Nutrizione enterale transdigiunostomica integrativa della nutrizione parenterale dopo la ricomparsa della peristalsi nel caso che l’albuminemia sia < 3,5 mg/dL e che non sia possibile una precoce rialimentazione per la presenza di una fistola a livello dell’anastomosi esofagea. I nutrienti sono somministrati continuativamente, goccia a goccia, o in frazioni. In caso di infusione continua la somministrazione giornaliera iniziale non dovrebbe superare il litro, per evitare la diarrea osmotica. La dose è aumentabile, se la precedente è stata tollerata. In caso di somministrazione frazionata non è opportuno superare la dose di 200 ml per somministrazione. Dosi maggiori espongono al rischio di diarrea e di rigurgito. Il busto deve essere inoltre elevato di almeno 30° e la soluzione introdotta a temperatura ambiente. Un possibile schema per l’inizio di una nutrizione enterale è il seguente: 1° giorno: glucosata 5% 250 ml; 2° giorno: glucosata 5% 500 ml; 3° giorno: Novasource GI (1,1 Kcal/ml; proteine 20,5 g/500 ml; fibre solubili 10,5 g/500 ml) 500 ml + H2O 250 ml alla velocità di 30-40 ml/ora; 4° giorno: Novasource GI 1000 ml + H2O 500 ml alla velocità di 30–40 ml/ora. Analogamente al Novasource, Nutrison fornisce 1 Kcal/ml e 20 g di proteine/500 ml.

– Ritiro del sondino naso-digiunale o naso-colico. In passato il sondino era mantenuto in sede per sei-sette giorni ed era ritirato dopo l’esecuzione di un RX tubo digerente con mezzo di contrasto iodato. Attualmente si è consolidata l’evidenza che l’uso del sondino naso-digiunale non è necessario, non modificando l’incidenza di fistola esofago-digiunale o di altre conplicanze. Qualora l’operatore preferisca mantenere il sondino al termine dell’intervento, la rimozione è effettuata tra I e III giornata postoperatoria.

– Riassunzione di eventuale terapia domiciliare per os quando la peristalsi si è normalizzata e dopo l’esclusione di fistola esofagea con prova del blu di metilene (vedi paragrafo seguente). Sono allora gradualmente ridotte le infusioni, è sospesa la NP in assenza di ipoalbuminemiale formulazioni dei farmaci ev sono sostituite, se possibile, da quelle per os. Il CVC. è rimosso se non è prevista una NP e quando non siano prevedibili a breve termine infusioni per le quali potrebbe essere utile tale via di somministrazione (per es.  emotrasfusioni).

– Alimentazione per os. In passato l’alimentazione per os iniziava prudenzialmente con la somministrazione di bevande in VI-VII giornata postoperatoria dopo l’esclusione di fistole anastomotiche con RX tubo digerente. L’esame era effettuato con mezzo di contrasto idrosolubile iodato tipo Gastrografin; un mezzo di contrasto che, in caso di contaminazione peritoneale per la presenza di una fistola, non causa una peritonite chimica, come accade con i mezzi di contrasto contenenti bario. Attualmente una dieta idrica è prescrivibile già in II giornata postoperatoria, raccomandando al paziente di frazionare 500 ml di acqua nell’arco della giornata.  In III-IV giornata postoperatoria sono somministrati per os 100 ml di acqua tinta con metiltioninio cloruro (blu di metilene). La prova è considerata negativa se i drenaggi in prossimità dell’anastomosi esofagea non drenano secrezione colorata un’ora dopo la somministrazione del colorante. Se la prova è negativa, se i drenaggi non presentano secrezione biliare e se la peristalsi è presente, può essere prescritta una dieta semiliquida (minestra, semolino), proseguendo nei giorni seguenti con cibi soffici, come couscous, purè e pollo macinato (tab. 9.2). La dieta può essere integrata con prodotti ad elevato contenuto proteico, come Fortimel, contenente 10g proteine/100ml e 100 Calorie/100 ml, o Ensure (1-2 flaconi da 200 ml die).

– Clisma rettale con 100 200 ml di soluzione di fosfato di sodio in caso di peristalsi torpida e di assenza della canalizzazione intestinale in III giornata postoperatoria.

– Rimozione del catetere vescicale. Il catetere vescicale è rimosso preferibilmente quando il paziente è in grado di mettersi in posizione assisa, possibilmente in I-II giornata postoperatoria. E’ preferibile rimuoverlo al mattino, per evitare che in caso di minzione impedita per cause funzionali o meccaniche (edema dell’uretra, ipertrofia prostatica) un importante “globo vescicale”, ovvero una sovradistensione della vescica, si manifesti nel corso della notte, quando questo rilievo può più facilmente sfuggire all’assistenza.

In passato, se vi era storia di ipertrofia prostatica o di difficoltà minzionale, era diffusa consuetudine che il catetere vescicale fosse periodicamente clampato dopo lo svuotamento della vescica e declampato quando compariva lo stimolo minzionale. Questa procedura era attuata uno o due giorni prima della sua programmata rimozione. In tempi più recenti questa cosiddetta “ginnastica vescicale” si è rivelata un’inutile prudenza. Se si verifica un impedimento minzionale dopo la rimozione del catetere vescicale, è opportuno somministrare un antiflogistico tipo betametasone 4 mg im, per ridurre l’edema dell’uretra. Se tale provvedimento è inefficace e compare una sintomatologia da ostruzione urinaria, il catetere è riposizionato e il caso è preso in carico dall’urologo, potendosi decidere di effettuare un ulteriore tentativo di rimozione, dopo la completa mobilizzazione del paziente, oppure di dimettere il paziente con il catetere vescicale, programmando successivi accertamenti strumentali o controlli clinici da parte dello specialista competente.

– Rimozione del drenaggio sotto-epatico e dei drenaggi peri-anastomotici dopo la V giornata postoperatoria e comunque a condizione che il liquido drenato abbia caratteristiche sierose, che la prova con blu di metilene sia risultata negativa e che la canalizzazione intestinale sia ristabilita.

– Rimozione dei drenaggi pleurici (nei casi in cui sia stata effettuata una toracotomia) in VI-VII giornata, se è esclusa una deiscenza dell’anastomosi esofagea al controllo radiologico con gastrografin per os.

– Rimozione delle graffette o dei punti cutanei in decima – dodicesima giornata postoperatoria.

– Discussione multidisciplinare del caso in riunione oncologica multidisciplinare. La discussione è successiva all’acquisizione del referto istologico, richiede la disponibilità di tutti gli accertamenti utili per la stadiazione (fig. 9.4) ed è opportuna, se non essenziale, la presenza delle seguenti figure professionali: chirurgo generale, oncologo, radioterapista, gastroenterologo, radiologo, anatomopatologo. Nel corso della riunione deve essere definita l’opportunità di un trattamento complementare e la caratteristica del follow up. Segue un verbale conclusivo sul caso. Il verbale è firmato dai partecipanti e custodito in cartella clinica.

 

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Tab. 9.2 – Possibile schema dietetico alla ripresa dell’alimentazione

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9.2

Fig 9.4

Esempio di accurata scheda istopatologica (da HJ Lee)

 

 

Bibliografia

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