di Enrico Ganz

 

Nel corso di una procedura laparoscopica i nodi possono essere eseguiti in sede intracorporea o in sede extracorporea. Nel primo caso i tipi di nodo non differiscono da quelli utilizzati negli interventi laparotomici. Nel secondo caso si tratta di nodi scorrevoli autobloccanti, che sono confezionati in sede extracorporea. Una finalità di questi nodi scorrevoli è di formare un cappio, che sarà introdotto nel cavo peritoneale con un’apposita astina spinginodo tramite il canale di un trocar. Il cappio è utile per strangolare strutture cave, quali vasi sanguigni, il dotto cistico e la base appendicolare. L’altra finalità di questi nodi autobloccanti è di approssimare strutture anatomiche dopo averle trapassate con il filo munito di ago. In questo modo possono essere approssimati i pilastri diaframmatici in corso di plastica per ernia jatale e può essere chiuso a punti staccati il moncone vaginale dopo un’isterectomia. 

Questi nodi non sono utilizzati per le suture intestinali, sia per l’eccessivo dispendio di tempo nell’esecuzione di una sutura a punti staccati con tale modalità, sia perché lo scorrimento del nodo si associa a un prolungato scorrimento del filo attraverso il fragile tessuto intestinale, che ne può essere sezionato.

Il nodo extracorporeo più noto è il cosiddetto “nodo di Roeder” (11). Questo nodo fu inizialmente utilizzato con filo in catgut in corso di tonsillectomia. E’ forse il nodo più noto, per il fatto che fu successivamente utilizzato nel sistema Endoloop per la laparoscopia. Sono stati successivamente proposti altri tipi di nodo, tra i quali i più noti sono il nodo di Weston, il nodo di Mishra, il nodo di Meltzer, il nodo di Nycky, il nodo SMC, il nodo GEA, il nodo Tyside, il nodo Duncan, il nodo Tennessee, il nodo YS (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 10, 11, 12). Il nodo di Weston e il nodo di Roeder sono considerati di provata efficacia per gli appropriati usi clinici di un nodo scorrevole, sopra delineati. Tuttavia, confezionando questi nodi si può avvertire il desiderio di cercare un nodo che sia di più rapida esecuzione, pur mantenendone le caratteristiche di sicurezza nella chiusura.

In questo scritto presento la sequenza per l’esecuzione di un nuovo nodo extracorporeo, che indicherei come “nodo G” (Fig. 1), da me elaborato riflettendo sul modo di rendere più sicuro il nodo YS, un nodo autobloccante recentemente proposto da ginecologi coreani (5). Il nodo YS deriva da una modifica del nodo GEA e ha interessanti caratteristiche: è concettualmente semplice, può essere eseguito molto rapidamente, è scorrevole e rimane stabile, cioè non ha tendenza a svolgersi. Purtroppo non ha ottime qualità bloccanti sul cappio e perciò gli autori lo propongono per le situazioni in cui si renda necessaria rapidità di esecuzione per apporre punti emostatici dopo un’isterectomia. In queste situazioni è adeguato a raggiungere l’obbiettivo.

Ho modificato questo nodo con l’obbiettivo di migliorarne la qualità autobloccante senza incidere negativamente sulla rapidità di esecuzione. La differenza fondamentale rispetto al nodo YS consiste nell’utilizzare un’ansa di filo in forma di “J” per l’annodatura (Fig. 2); ne risulta alla fine una conformazione geometrica diversa da quella del nodo YS, pur essendo uguali le successive fasi dell’annodatura. Nella sequenza di figure numerate da 2 a 4 illustro le fasi per il confezionamento del nodo G. In fig. 3 si può notare che l’iniziale avvolgimento del filo è analogo a quello del “nodo chirurgico” con la particolarità che uno dei due capi è raddoppiato dall’asola iniziale.

Fig. 2

Fig. 3

Fig. 4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al termine, l’asola residua del nodo G e l’eccesso di filo del capo libero possono essere opportunamente tagliati, come indicato dalle fascette nere segnate in fig. 1. In alternativa, il nodo può essere stabilizzato annodando l’asola e il capo libero. Questa scelta può essere conveniente quando i tessuti siano in trazione e un nodo primitivamente intracorporeo sia per questo motivo difficile da confezionare. Il nodo extracorporeo consente di accostare più facilmente i tessuti in trazione e la sua stabilizzazione intracorporea, come sopra descritto, lo rende sicuro come i nodi primitivamente intracorporei.

Come si nota in fig. 1, il nodo G ha la caratteristica di produrre dopo la sua chiusura una strozzatura sul filo di scorrimento S, che si accentua quando vi sono forze che tendono ad espandere il cappio, ostacolando lo scorrimento del nodo a ritroso.

Fig. 5

Fig. 6

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come per ogni nodo extracorporeo è preferibile l’utilizzo di fili intrecciati oppure in catgut cromico con diametro compreso tra 1 e 2.

Ho realizzato una sequenza di sei nodi G, di sei nodi YS e di sei nodi di Roeder, utilizzando un filo in seta 2 “Sofsilk”, valutandone la circonferenza dei cappi stretti su due bastoncini accostati. Ho successivamente realizzato sei nodi G, sei nodi YS e sei nodi di Roeder, stringendone il cappio sugli stessi bastoncini, ma valutando per ciascuno il grado di cedimento del cappio, quando sul cappio era applicata per quindici minuti una forza derivante da una massa di 1 Kg, appesavi per mezzo di un filo seta n°1. Il filo di sospensione è stato posto inferiormente nel cappio a metà del suo versante scorrevole e a una distanza di 90° dal nodo. Il dispositivo è illustrato in fig. 6. Nel recipiente è stato collocato un blocchetto di piombo con massa di 1 Kg, esercitante sul cappio una forza di circa 10 Newton (Fig. 5).

In questa preliminare valutazione sperimentale l’impressione è stata che i cappi dei nodi di Roeder e dei nodi G abbiano subìto cedimenti trascurabili rispetto al nodi YS. L’allargamento dei cappi si nota subito dopo l’applicazione del peso, mentre la permanenza del peso per la durata di quindici minuti non ha determinato ulteriori cedimenti.

Ho valutato inoltre la tenuta del nodo G, stringendone il cappio con un filo Sofsilk 2 o con un filo Vycril 2 in prossimità dell’estremità di un grosso palloncino, nel quale sono stati poi introdotti 6 ml di liquido colorato. Il gonfiaggio del palloncino si conclude senza cedimento del cappio e senza perdite di liquido dopo aver sezionato l’estremità del palloncino; questa tenuta si conferma dopo oltre una settimana (Fig. 6).

Ho successivamente testato in modo più rigoroso il nodo G e il nodo YS con un filo Vycril 2, introducendo alcune modifiche nell’apparato sperimentale precedentemente descritto: è stata utilizzata una sola astina con circonferenza di 9,4 mm e la durata della sollecitazione sotto carico è stata valutata per la durata di 90 secondi, essendo risultato ininfluente nella precedente osservazione un carico più prolungato. Per il resto si sono rispettate le altre condizioni sperimentali: sul cappio è stata applicata una forza derivante da una massa di 1 Kg, appesavi per mezzo di un filo seta n°1. Il filo di sospensione è stato posto inferiormente nel cappio a metà del suo versante scorrevole e a una distanza di 90° dal nodo. Per effettuare misurazioni precise, sia prima, sia dopo l’esposizione al carico, la lunghezza del cappio è stata sempre misurata tra i due estremi in cui il cappio è strangolato dal nodo. Questa definizione è importante, poiché nel nodo G vi è una spira di filo che riveste parzialmente la strozzatura del cappio, rendendo apparentemente più stretto il cappio rispetto a quello del nodo YS. La lunghezza dei cappi è stata misurata su riga millimetrica dopo averli sfilati dall’astina e averne sezionato un loro estremo con lama di bisturi n.° 15.

E’ stata valutata la lunghezza di sette cappi G e di sette cappi YS, stretti attorno all’astina in condizioni basali. In entrambi i casi si è ottenuta invariabilmente una lunghezza di 9,0 mm. Questa lunghezza risulta inferiore alla circonferenza dell’astina (9,4 mm), essendovi sulla sua circonferenza uno spazio di 0,4 mm occupato dal nodo.
Sono stati poi valutati 13 nodi G e 13 nodi YS sottoposti a carico (Tab. 1). La lunghezza dei cappi G dopo carico è aumentata dal valore basale medio di 9,0 mm al valore medio di 9,35 mm, mentre la lunghezza dei cappi YS dopo carico è aumentata dal valore basale medio di 9,0 mm al valore medio di 9,80 mm. I cappi con lunghezza aumentata fino a 9,5 mm dopo l’esposizione al carico presentavano ancora una buona aderenza alla superficie dell’astina, che si percepiva facendoveli scorrere con le dita dopo aver rimosso il carico. Questo si è verificato in 11 su 13 nodi G e in 6 su 13 nodi YS. Oltre il valore di 9,5 mm si apprezzava un’evidente perdita della tenuta del cappio rispetto all’astina. Questo rilievo ha interessato 2 su 13 nodi G e 8 su 13 nodi YS. Questi otto nodi YS avevano un cappio con lunghezza tra 10,0 mm e 10,5 mm. In 6 su 13 nodi G la lunghezza del cappio dopo l’esposizione al carico è rimasta attestato a 9,0 mm, ovvero non vi è stato il minimo cedimento del cappio. Nel caso del nodo YS tale lunghezza è stata misurata in 2 su 13 casi.

In conclusione, la migliore tenuta sotto carico del nodo G rispetto al nodo YS è risultata evidente sia con filo in seta n° 2, sia con filo Vycril n° 2. Tuttavia, una corretta esecuzione del nodo G richiede maggiore attenzione e perciò la sua esecuzione richiede maggiore tempo rispetto al nodo YS. In particolare, è importante esercitarsi sul corretto modo di stringere il nodo: in primo luogo deve essere trazionata leggermente l’ansa J in alto; deve essere quindi tirato verso il basso il capo libero, poi il nodo deve essere stretto facendo scorrere sul cappio verso l’alto il pollice e l’indice in opposizione. Deve essere quindi ancora trazionato verso il basso il capo libero del filo, poi l’ansa J deve essere ulteriormente trazionata in alto. Infine, tenendo fermo il nodo tra pollice e indice, deve essere delicatamente trazionato il filo non scorrevole del cappio. Concluso il confezionamento del nodo, si deve controllare visivamente che le spire siano state correttamente accostate e che il nodo abbia assunto la corretta configurazione. Così confezionato, il nodo assicura al cappio un’ottima tenuta. Purtroppo, in alcuni casi di lungo scorrimento del nodo sul filo si manifesta un attorcigliamento del filo di scorrimento sottostante al nodo, che conduce alla formazione di strette spire nel cappio, impedendone un’adeguata chiusura. Per questo motivo il nodo G appare al momento raccomandabile solo per il confezionamento di cappi di piccole dimensioni, tipo Endoloop.

In conclusione, il nodo G presenta una configurazione atta a fornirgli la proprietà autobloccante e i preliminari risultati qui riportati supportano la sua validità per un uso clinico con fili in seta e in Vycril n° 2, presentando adeguata tenuta, pur richiedendosi un attento suo confezionamento e un appropriato uso, essendo attualmente prudente utilizzarlo solo per il confezionamento di piccoli cappi tipo Endoloop. Ulteriori valutazioni dovranno essere effettuate in rapporto alla varietà di fili di sutura riassorbibili per uso chirurgico e anche per risolvere il problema dell’attorcigliamento sul cappio, che si osserva in modo incostante in caso di lungo scorrimento del nodo lungo il filo.

 

Bibliografia

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  8. Mishra RK. Textbook of practical laparoscopic surgery. Mc Graw Hill Education, 2009.
  9. Mishra RK. Mishra’s knot. In Youtube.
  10. Moreno M, Magos FJ, Arcovedo R e al. Comparison of the performance of the Gea extracorporeal knot with the Roeder extracorporeal knot and the classical knot. Surg Endosc. 2004; 18: 157-60.
  11. Roeder H. Die Technik der Mandelgesundungsbestrebungen. Artzl Rundschau Munchen 1918; 57: 169–71.
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