Ripropongo il seguente articolo, che pubblicai nel Bollettino OMCeO della provincia di Venezia n° 2 del 9 giugno 2012. Lo scopo è di offrire a un più eterogeneo pubblico una riflessione sulle opportunità di migliorare la qualità delle prestazioni chirurgiche in Italia.
“Al fine di una migliore formazione tecnico-operatoria dei Chirurghi italiani, nel 2003 inviai una lettera all’Ordine dei Medici della provincia di Venezia: vi si richiamava l’attenzione sull’opportunità di promuovere lo studio anatomico e tecnico-operatorio sul cadavere nelle Università e negli Ospedali.
La mia esortazione fu pubblicata agli inizi del 2004 nella rivista dell’Ordine dei Medici di Venezia dopo un colloquio con l’allora presidente dell’Ordine e non fu senza attenzione e senza esito: in data 23 giugno 2004 vi fu una proposta di legge al Parlamento sul tema “Disposizioni in materia di donazione del corpo post mortem a fini di studio e di ricerca scientifica. Lo studio della proposta fu affidato alla XII Commissione Permanente degli Affari Sociali.
Richiamai nuovamente l’attenzione sull’importanza della formazione chirurgica in una lettera indirizzata al Ministro della Salute on. Turco in data 29 marzo 2007.
Negli anni seguenti ho osservato con soddisfazione che in Italia è stato istituito un centro per l’utilizzo del cadavere in esercitazioni anatomo-chirurgiche, che sono comparsi nella stampa articoli favorevolmente dedicati a questo tema e che del tutto recentemente la Commissione Affari Sociali ha adottato il Testo base unificato A.c. 746 per la donazione del corpo post mortem a fini di studio e di ricerca scientifica.
In questo percorso non ho avuto un ruolo decisionale, ma probabilmente ho acceso la scintilla di un fenomeno che doveva manifestarsi nella nostra civiltà.
Sono certo che, se non fossi intervenuto, inevitabilmente entro un breve periodo qualche altro chirurgo italiano avrebbe fatto le mie stesse osservazioni e che si sarebbe prodotto un analogo fenomeno. Infatti, se le mie osservazioni hanno avuto un seguito, significa che i tempi sono maturi per produrle e per recepirle.
E’ del resto esperienza storica che all’esordio di ogni fenomeno sociale compaiono dapprima sporadici pionieri, che propongono e sostengono idee nuove, anche senza aver interagito tra loro; poi gradualmente, in tempi anche molto lunghi, emergono sempre più numerosi sostenitori, fino a produrre effetti concreti.
E’ dunque tempo di stimolare le forze politiche a non perdere di vista l’importanza della formazione professionale del chirurgo tra i tanti problemi economici che tendono ad assorbire energie e attenzione.
Quanto spesso non abbiamo udito parlare della chirurgia d’oltralpe e d’oltreoceano con rispetto reverenziale? Eppure secoli fa in Inghilterra e in altri paesi europei i chirurghi s’identificavano con i barbieri, che esercitavano una modestissima attività “chirurgica” (per es. i salassi). Diversamente da questa realtà l’ordinamento del Collegio Medico-Chirurgico veneziano era abbastanza evoluto da prevedere fin dall’anno 1453 l’obbligo per i Chirurghi di assistere a dissezioni anatomiche, che si svolgevano per tre settimane all’anno.
Nel 1500 questo ambiente culturale fece germinare illustri chirurghi, tra i quali merita particolare menzione Giovanni Andrea Dalla Croce, autore dell’opera “Cirugia Vniversale e Perfetta di tutte le parti pertinenti all’ottimo Chirurgo”, che all’epoca e fino alla seconda metà del 1600 fu un importante testo di riferimento per questa disciplina. Esso contiene il sapere di un chirurgo che seppe unire le esperienze clinica e anatomo-chirurgica sul cadavere. Purtroppo a quel tempo l’esercitazione anatomo-chirurgica non era sufficiente per eseguire molte procedure chirurgiche, in assenza di un adeguato supporto farmacologico. Attualmente sono invece eseguiti interventi chirurgici anche di evidente complessità; dunque l’esercitazione anatomo-chirurgica darebbe concretamente maggiore esperienza e sicurezza in molte situazioni difficili dell’attività operatoria. E’ perciò incredibile che nel corso dei secoli questa buona pratica non sia progredita verso programmi di esercitazione tecnico operatoria sul cadavere non solo per gli specializzandi in Chirurgia, ma anche per i chirurghi nell’ambito di una formazione continua in Medicina.
E’ evidente che ogni popolo costruisce la sua storia e, se la volontà del popolo italiano è stata finora di chiusura verso la concessione dei cadaveri per esercitazioni operatorie, non si può forzarne la volontà, pur constatando che la formazione chirurgica ne è fortemente compromessa, con conseguenze negative sui risultati di cura dei pazienti.
Forse in futuro vi sarà un diverso orientamento, ma sono gli ambienti chirurgici, gli Ordini dei Medici e le Società Scientifiche di concerto con le forze politiche più illuminate i luoghi in cui possono maturare strategie per sensibilizzare i cittadini verso questa esigenza. Forze opposte contrastano questo percorso, si leggano in proposito i vari appelli della Lega Nazionale contro la Predazione di Organi. Non le definisco forze negative, poiché prima di ogni valutazione si devono intendere pienamente le ragioni addotte. Sono dunque forze con cui si deve dialogare, se concesso, perché siano compresi chiaramente i criteri per definire “cadavere” un organismo umano.
Quanto al rispetto per i defunti è opportuno fare una breve riflessione: questo profondo sentire dell’animo umano dovrà sempre essere tutelato dalla legge, limitando ogni abuso sul cadavere: sfruttamento per interessi economici e vilipendio, ovvero atteggiamenti di scherno, scherzi effettuati utilizzando parti di cadavere sottratti alla sala, utilizzo dei corpi come materiale per opere d’arte, ecc. Ricordiamo Creònte, il Re che nella tragedia di Sofocle è punito dagli Dei per aver imprigionato Antigone, rea, a suo giudizio, di un atto di pietà verso il fratello defunto. Come Sofocle ho una sorta di una percezione- che non è evidenza scientifica, ma che non per questo deve essere sottovalutata – cioè che la dignità dei defunti sia tutelata da Dio, anche se non vi fosse una legge tutelare di Stato: chiunque non la riconosca ne subirà le conseguenze.
Ma, perché non vi siano equivoci, da cristiano ricordo quanto il Maestro disse a quel tale che chiedeva di seppellire il padre, prima di seguirlo per annunziare il Regno di Dio: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti e seguimi”.
Il rispetto per i defunti si può esprimere con la sepoltura, ma ancor più dedicando loro un pensiero o una preghiera. Ricordo che nel Rinascimento a Venezia l’attività anatomica non era disgiunta da un profondo sentimento di rispetto per i defunti, che era espresso celebrando una Messa dopo le dissezioni.
Altre idee potrebbero essere espresse da chi ha differenti Weltanschauung. Ma dovremmo essere tutti concordi che il rispetto per i defunti non è violato da una dissezione anatomica o da un’esercitazione tecnico-operatoria, se effettuata come impegno per le persone viventi, ma sofferenti, alle quali si voglia garantire una migliore garanzia di cura tramite la tecnica chirurgica. Non vi può essere dunque giustificazione per sottrarsi ulteriormente a questo impegno morale per una piena maturazione della professionalità chirurgica in Italia.”