Per blog 31Il piccolo principe è un famoso racconto di Antoine De Saint – Exupéry. Fu pubblicato nel 1943 ed è stato successivamente stampato in molti Paesi, superando cento milioni di copie. L’interesse per questo racconto è stato recentemente ravvivato dalla sua traduzione cinematografica in forma animata, diretta da Mark Osborne.

Nonostante il successo internazionale, la lettura di questo racconto non mi ha entusiasmato e questo fatto dipende forse dalla mia tendenza istintiva e non necessariamente corretta a confrontare racconti per giovani, come può esserlo “Il piccolo principe”, con “Le avventure di Pinocchio”, indiscutibilmente un capolavoro letterario-pedagogico ineguagliabile.

Ma non è solo questo il motivo; la lettura de “Il piccolo principe” mi ha lasciato addirittura una sensazione sgradevole. Ho perciò avvertito l’esigenza di chiarire questa mia impressione. Propongo qui il conseguente tentativo di una sintetica analisi critica del racconto.

In primo luogo, individuo nel piccolo principe e nell’aviatore le componenti infantile e adulta, coesistenti nel mondo interiore dello scrittore. Nel racconto si manifesta il suo disagio esistenziale nel relazionarsi con gli adulti, in particolare con la donna amata, simboleggiata nel racconto dalla rosa, che il piccolo principe decide di abbandonare, perché più vanitosa e capricciosa, che affettuosa. La sua gradevolezza fisica (il profumo, i petali) era divenuta insufficiente a motivarne la compagnia.

Alla perdita della rosa segue la vana ricerca di un’amicizia con adulti troppo lontani dalla sua interiorità: l’uomo, in vesti di sovrano, che per le responsabilità della vita rinuncia alla fantasia; l’uomo di affari, che esprime affetto solo per i beni materiali che possiede, senza esserne ricambiato; il vanitoso, che trova sè stesso solo nell’immagine che gli altri hanno di lui e che perciò non ha una personalità definita; l’ubriaco, che giustifica maldestramente la propria debolezza, invece di vincerla; l’uomo, nelle vesti di un lampionaio, che agisce per obbedienza e senza senso critico. Il mondo adulto gli parla di solitudine e di corruzione esistenziale: un universo definibile “Inferno” in cui il protagonista è pure inserito per la sua solitudine.

Dopo queste tristi conoscenze viene finalmente incontro al piccolo principe un personaggio positivo: la volpe, che esprime probabilmente il pensiero pedagogico dell’autore adulto. La volpe indica al piccolo principe una possibilità per sviluppare un’amicizia: condividere gradualmente esperienze e momenti di vita sempre più impegnativi fino a quando ciascuno avvertirà il desiderio irrinunciabile di avere l’altro vicino, amandolo e fidandosi di lui. In questa relazione ognuno mantiene la sua identità, ma guadagna anche qualche elemento della personalità dell’altro (il colore del grano), che amplia il suo Io.

Ma il piccolo principe non si ferma a coltivare l’amicizia per la volpe: ha nostalgia e prova tenerezza per la sua rosa poco affettuosa. “Io avrei dovuto comprendere la sua tenerezza dietro i suoi poveri trucchi (ovvero i suoi capricci per farsi accudire)!” si rammarica il piccolo principe. Egli osserva inoltre che la sua rosa è assolutamente diversa dalle molte altre rose esistenti, perché solo a lei ha profuso impegno (l’innaffiatura) e solo a lei ha dato accoglienza nella propria esistenza (il campo liberato dalle erbe cattive, ovvero lo spazio mentale liberato dai pensieri che distolgono l’attenzione per l’oggetto amato). Ma l’attuale affetto del piccolo principe/scrittore emerge inconsciamente nei suoi gravi limiti: egli ammette che è un affetto simile a quello che i bambini nutrono per una bambola di cenci, togliendo loro la quale, essi piangono: “(les infants) perdent du temps pour une poupée de chiffons, et elle devient très importante, et si on la leur enlève, ils pleurent … (cap XXII).”

A questo punto potremmo osservare: “Dapprima il piccolo principe afferma che avrebbe dovuto comprendere la tenerezza della sua rosa dietro i suoi poveri trucchi; successivamente egli la paragona a una bambola di cenci, facendoci immaginare che essa fosse piuttosto anaffettiva… Dunque, non è sicuro che la rosa lo amasse. Ed egli ama lei? Qualche dubbio ci viene, quando leggiamo che egli paragona il suo affetto nei confronti della rosa a quello dei bambini per la loro bambola di cenci; e questa impressione è rafforzata, quando consideriamo che i due “amati” stanno su pianeti irraggiungibili … Può mai essere vero amore? E potrebbero essere espressione di amore i capricci della rosa, per farsi accudire?

Nel pormi queste domande ho cominciato ad avvertire una certa noia per la vicenda narrata. E, inoltre, mi è parsa alquanto sgradevole la poca riconoscenza del piccolo principe nei confronti della volpe. Infatti, il nostro protagonista dà l’addio alla volpe, che affettuosamente gli è stata benevola e benefica in un modo molto più incisivo della sua rosa.

Questa disarmonia affettiva sarà risolta dal piccolo principe con una fuga in una consolatoria visione panteistico-magica: gli elementi dell’Universo che vediamo, che tocchiamo o che entrano in relazione con il nostro pensiero ci trasmettono l’amore di chi, volendoci bene, li ha pensati, visti o toccati. Ed egli si convince che anche il suo senso di responsabilità per la rosa possa esprimersi magicamente in un effetto protettivo a distanza.

Ritengo che questo sia il punto limite raggiungibile da una personalità con un disturbo dell’affettività, prima di sprofondare in una piena derealizzazione. Lo scrittore se ne rende conto inconsciamente e non accetta questa soluzione per il suo racconto esistenziale. Perciò, non abbandona il piccolo principe a una contemplazione magica, finalizzata a unirlo alla rosa attraverso la visione delle stelle nel cielo: il piccolo principe vorrà infine dimostrare quanto vale il suo amore, cercando la morte per mezzo del serpente. In questo modo egli sarà abbastanza leggero da raggiungere la sua rosa.

In questa triste soluzione del racconto ipotizzo anche un’altra spiegazione: la personalità fanciullesca e affettivamente disturbata dello scrittore si sacrifica (muore) per la parte adulta e razionale di sé stesso (l’aviatore-scrittore) grazie all’intervento di un’istanza sanatrice della sua stessa mente (il serpente).

Questa è la mia analisi. Qualche altro lettore potrebbe ipotizzare che il piccolo principe raffiguri un conoscente dello scrittore, ma l’opera non ne guadagnerebbe alcunchè in qualità. Non giudico negativamente questo racconto, poiché qualche spunto pedagogico lo possiamo trovare, ma mi è incomprensibile l’entità del successo ottenuto; esso potrebbe diventare oggetto di una specifica analisi, avvalendosi delle numerose recensioni elogiative.

Concludo, ricordando una bella poesia di Corrado Insolìa, mio collega. Una poesia, che mi sarebbe piaciuto veder consegnata dalla volpe al nostro disperato piccolo principe. Nella visione dell’autore l’immagine “che vola tra i versi” si riferisce allo Spirito Santo, ma vi noto una più generale caratteristica della relazione amorosa. Relazione che si crea per corrispondenza di forme e, ancor più importante, – poiché “l’essenziale è invisibile agli occhi”, come dice la volpe al piccolo principe – per il comune desiderio di compiere insieme il volo:

“Ci vogliono due ali uguali

per volare in alto,

senza fatica,

senza sosta,

senza picchiate rapaci,

furiose,

spavento per innocenti colombe

e teneri passerotti,

paura di morte

che dall’alto viene,

inaspettata.

Ci vogliono due ali uguali

per dipingere nell’aria

quadri con tocchi in punta di pennello,

maestrie d’autore,

ci parlano d’amore eternamente

con stoccate morbide e delicate,

di fioretti che baciano e non feriscono,

colori pastelli morbidi

nel chiaro scuro del giorno

e nel buio luminoso delle costellazioni nella notte.

L’infinito ci circonda e

l’eternità è davanti a noi.

Le ali dell’amore si aprono,

una per parte,

sono pari

e simmetriche,

quasi un abbraccio all’universo,

si vola nel gioco dell’amore. (…)”

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Enrico Ganz – Aurea sintonia

Olio su foglia d’oro applicata su pietra – 2016