Ave Maria

In questa sezione del sito sono presentati cinque dipinti ad olio, che accompagnano una delle preghiere più note della cristianità, l’Ave Maria. La presentazione è preceduta da un sintetico inquadramento storico ed esegetico della preghiera.

La preghiera “Ave Maria”

Nella forma attualmente in uso il testo della preghiera è il seguente:
“Ave, o Maria, piena di Grazia,
il Signore è con te.
Tu sei benedetta fra le donne,
e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù.
Santa Maria, Madre di Dio,
prega per noi peccatori,
adesso e nell’ora della nostra morte. Amen”

Essa deriva dalla seguente forma latina:
Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum;
benedicta tu in mulieribus,
et benedictus fructus ventris tui, Jesus.
Sancta Maria, Mater Dei,
ora pro nobis peccatoribus
nunc et in hora mortis nostrae. Amen

La traduzione italiana dal latino fu approvata l’11 aprile 1971 dalla Congregazione per il Culto Divino; in precedenza il testo era rimasto immodificato in lingua latina dal 1568, anno in cui la preghiera fu inserita nel breviario di Pio V. Attualmente, nell’uso corrente, l’interiezione “o” non è sempre presente e il termine “seno” è talora sostituito dal termine “ventre” oppure “grembo”.

La preghiera si compone di due parti. La prima parte è una lode a Maria e a suo figlio Gesù, che il cristiano considera figlio di Dio. La seconda parte è una preghiera di intercessione, con la quale l’orante chiede a Maria di rivolgersi a Dio in qualità di mediatrice, per ottenere da questi misericordia per i propri peccati, consiglio nelle scelte morali o protezione dalle tentazioni.

La preghiera “Ὑπὸ τὴν σὴν εὐσπλαγχνίαν”, precursore dell’Ave Maria

Il più antico documento che ci presenta una preghiera rivolta a Maria consiste in un frammento di papiro egizio risalente, secondo la maggior parte degli studiosi, al 300 d.C.. Identificato come “Papyrus Rylands 470” fu rinvenuto nel 1917 in un luogo imprecisato dell’Egitto dall’archeologo James Rendel Harris (1852 – 1941) ed è conservato dal 1919 presso la John Rylands Library di Manchester (Fig. 1).

Fig. 1

Fig. 1

Il testo è in inchiostro bruno e si presenta nel seguente modo dopo avervi inserito alcune lettere intratermine parzialmente visibili e intuibili:

(…) ΠΟ (…)
ΕΥCΠΛ (..)
ΚΑ(…)ΑΦΕ (…)
ΘΕΟΤΟΚΕΤ (…)
ΙΚΕCΙΑCΜΗΠA
ΡΙΔΗCΕMΠΕΡΙCΤΑCΕΙ
ΑΛΛΕΚΚΙΝΔΥΝΟΥ
ΡΥCΑΙΗΜΑC
ΜΟΝΗΑ(…)
ΗΕΥΛΟΓ(…)

Trascritto in greco classico e inserendovi le opportune spaziature, il testo si presenta come segue:

[…] πὸ […]
εὐσπλ […]
κα[…]αφε […]
Θεοτόκε τ […]
ἱκεσίας μη ̀πα
ρίδῃς ἐν περιστάσει […]
ἀλλ ἐκ κινδύνου […]
ρυσαι ἡμᾶς
Μόνη Α […] η Εὐλογ […]

Come si può osservare in figura 1, nel testo originale le lettere sono maiuscole, sono assenti gli interspazi tra i termini e la lettera “sigma” è in forma lunata, tipica dello stile “onciale”, utilizzato per i manoscritti librari a partire dal III secolo d.C.. Fu il benedettino padre Feuillien Mercenier (1885 – 1965) ad accorgersi che nel testo molti termini coincidevano con quelli contenuti nella preghiera romana nota come “Sub tuum praesidium”, documentabile dal X secolo nell’Antifonario di Compiègne tra le antifone da intercalare tra i versetti del Benedictus in occasione della festa dell’Assunzione:

Sub tuum praesidium confugimus,
Sancta Dei Genetrix.
Nostras deprecationes ne despicias
in necessitatibus,
sed a pericoli cunctis
libera nos semper,
Virgo benedicta.

Ovvero:

“Sotto la Tua protezione cerchiamo rifugio,
Santa Madre di Dio.
Non disprezzare le nostre suppliche
nelle difficoltà,
ma liberaci sempre
da ogni pericolo,
o Vergine benedetta.”

(In una successiva versione sarà aggiunto l’attributo “gloriosa”, assente nell’antifonario di Compiègne e nella liturgia domenicana: “Virgo gloriosa et benedicta.)
Quindi il testo egizio doveva essere ricostruito nel seguente modo, usando il greco classico:

Ὑπὸ τὴν σὴν
εὐσπλαγχνίαν,                εὐσπλαγχνία, ας, η: misericordia
καταφεύγομεν,                καταφεύγω: rifugiarsi
Θεοτόκος.Τὰς ἡμῶν        Θεοτόκος, ου, η: madre di Dio
ἱκεσίας μὴ                        ἱκεσία, ας, η: supplica
παρίδς ἐν περιστάσει,   παρορἀω: trascurare     περιστάσις, εως, η: difficoltà, avversità
λλ᾽ἐκ κινδύνου               κίνδυνος, ου, ο: pericolo
λύτρωσαι ἡμᾶς,               λυτρόω: liberare
μόνη Ἁγνή,                      αγνός, ή, όν: puro; casto; santo; venerando
μόνη Εὐλογητή.               εὐλογητός, ή, όν: benedetto

“Sotto la tua
misericordia
noi ci rifugiamo,
Madre di Dio. Le nostre
invocazioni
non disprezzare nelle difficoltà,
ma dal pericolo,
liberaci, Tu,
unica Santa,
unica Benedetta.”

Dapprima l’orante chiede di essere amato, manifestando in questo modo indirettamente il suo affetto per Maria; poi le chiede protezione da ogni tipo di pericolo, ovvero dalle tentazioni al male e dai rischi concernenti la vita materiale, quali malattie, infortuni e indigenza.

Nel passaggio dall’antica versione egizia a quella romana si può notare la sostituzione del termine “misericordia (εὐσπλαγχνία)” con il termine “praesidium”. In conseguenza di questa diversità terminologica nella versione egizia l’invocazione risulta più strettamente sentimentale, perché l’orante chiede l’amorevole considerazione di Maria (“Sotto la tua misericordia cerchiamo rifugio”), mentre nella versione romana l’invocazione sembra strutturarsi in un contesto gerarchico: l’orante si rivolge a Maria come  a una regina, considerandola “gloriosa” e “benedetta”, poi le chiede protezione. Il termine “praesidium” è di origine militare ed è utilizzato anche nella tradizione copta: “hypò tēn sképtēn tês”, in cui “sképtēn” significa “praesidium”. Secondo alcuni studiosi questo termine potrebbe riecheggiare tempi di persecuzione. Peraltro l’espressione ricorda anche immagini del profeta Isaia:

“Il Signore ha reso la mia bocca come spada affilata,
mi ha nascosto all’ombra della sua mano (…).” (Is 49, 2)

“Io, Signore degli eserciti, ho posto le mie parole sulla tua bocca, ti ho nascosto sotto l’ombra della mia mano, quando ho disteso i cieli e fondato la terra e ho detto a Sion: “Tu sei il mio popolo.” (Is 51, 16)

Si è anche notato che l’incipit evoca l’atmosfera spirituale del salmista, laddove, in particolare nei salmi 16, 90 e 143, l’orante implora il soccorso del Signore, rifugio per il fedele nell’ora del pericolo:

“Proteggimi, o Dio, in te mi rifugio.” (Sal 16, 1);

“Signore, tu sei stato per noi un rifugio (…)” (Sal 90, 1);

Salvami dai miei nemici, Signore, a te mi affido.” (Sal 143, 9).

L’“Ὑπὸ τὴν σὴν εὐσπλαγχνίαν“ egizio potrebbe essere stato ispirato anche dall’immagine alata di Iside, sostituita da Maria nel cuore di coloro che, convertiti al cristianesimo, elaborarono questa preghiera. La dea Iside era venerata non solo in Egitto, ma anche in ampie aree dell’Impero romano, segno di una diffusa attrazione spirituale per un elemento divino femminile. Alcune rappresentazioni di Iside presentano analogie con l’iconografia mariana, in particolare quella di Iside sorreggente il figlio Horus. Inoltre, l’immagine di Iside in forma alata, scolpita sui sarcofagi nell’atto di condurre l’anima nell’Aldilà, comunica amore protettivo al pari delle immagini che presentano Maria con il mantello allargato, per proteggere nella sua ombra i fedeli. Non si può tuttavia parlare di sincretismo, considerando che le caratteristiche mitiche e iconografiche della dea Iside sono complessivamente molto diverse dalla figura di Maria, personaggio storico per il quale non vi fu alcuna volontà di deificazione da parte dei teologi cristiani. L’affermarsi del cristianesimo comportò un’energica repressione dei culti pagani, compreso quello della dea Iside. E’ tuttavia verosimile che in una prima fase storica, particolarmente nelle aree in cui era più vivo il culto di Iside, la figura di Maria abbia contribuito a una meno traumatica transizione dal culto di una divinità femminile al culto di Dio Padre e Signore. In questa fase fu probabilmente naturale anteporre Maria a Iside, considerandola in questa antitesi non meno importante della dea pagana. In proposito sembrerebbe significativo il fatto che la preghiera riportata nel manoscritto“Papyrus Rylands 470” non sia caratterizzata da una richiesta di intercessione presso Dio, come nell’attuale versione dell’Ave Maria; l’orante porge le sue richieste a Maria in modo diretto, come se la madre di Gesù fosse pari alla divinità. Si deve comunque considerare che il rivolgersi direttamente a Maria era certamente anche conseguenza di uno spontaneo sentimento di simpatia da parte dei fedeli nei confronti della madre del loro Signore, in particolare in momenti di grande sofferenza, come quelli vissuti in corso di persecuzione nei confronti dei cristiani: Maria aveva per prima provato un’immensa sofferenza per l’ingiusta tortura e condanna a morte del figlio suo e loro Signore; una sofferenza che ora si rinnovava nei familiari dei martiri cristiani. 

La preghiera egizia ’“Ὑπὸ τὴν σὴν εὐσπλαγχνίαν“ si diffuse probabilmente dall’Egitto a Roma, dove fu tradotta in latino, divenendo la preghiera nota come “Sub tuum praesidium”.
Nei secoli successivi il culto mariano produsse altre preghiere: ricordiamo in Oriente l’inno Ακάθιστος (VI secolo) e in Occidente le antifone “Ave, Regina Coelorum”, “Alma Redemptoris Mater”, “Salve Regina” e “Regina Coeli”. Le antifone occidentali risalgono all’età medioevale e precedono la diffusione dell’Ave Maria.

Il significato dell’Ave Maria

La preghiera ’“Ὑπὸ τὴν σὴν εὐσπλαγχνίαν“ attesta un continuum di devozione spirituale alla madre di Gesù fin dai primi secoli del cristianesimo, ma presenta caratteristiche diverse dall’Ave Maria: la preghiera è in forma diretta, non intercessoria, e oggetto della preghiera è una richiesta di protezione da ogni tipo di pericolo, ovvero dalle tentazioni al male e dai rischi concernenti la vita materiale, quali malattie, infortuni e indigenza. Diversamente, l’Ave Maria è una preghiera in forma di intercessione e oggetto della preghiera è una richiesta di misericordia per i propri peccati, di consiglio nelle scelte morali o di protezione dalle tentazioni.

Non essendo Maria una divinità ed essendovi un solo Dio Padre, una preghiera diretta deve essere rivolta solo a Dio in linea con l’impostazione del Padre nostro. Le più antiche preghiere dell’“Ὑπὸ τὴν σὴν εὐσπλαγχνίαν“ e del “Sub tuum praesidium” sono invece rivolte direttamente a Maria e per questo motivo sono teologicamente meno evolute dell’”Ora pro nobis”.

A questo punto una questione di un certo interesse è quale sia il razionale di una preghiera di intercessione rivolta a Maria, madre umana di Dio, piuttosto che direttamente a Dio Padre. Questa modalità di invocazione ha una giustificazione nel contesto di un corretto spirito di orazione: l’”Ora pro nobis” manifesta l’umiltà del fedele che, ritenendosi indegno di volgere la supplica direttamente a Dio, si rivolge alternativamente alla madre di Gesù, una persona che percepisce molto prossima a Dio, ma anche prossima a lui, come può esserlo una madre al figlio (Fig. 2).

Fig. 2

Si noti infine che nell’”Ora pro nobis”, come anche nella preghiera del Padre nostro, l’orante non presenta la supplica per un favore personale, ma la esprime in forma comunitaria: “Prega per noi peccatori”. Questa scelta potrebbe derivare dall’affermazione di Gesù: “Laddove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono tra loro” (Mt 18,20). Quindi, il cristiano può pregare solitariamente solo alla condizione di considerarsi impegnato comunitariamente nella finalità della preghiera. Finalità che non è pura richiesta di colui che cerca di ottenere passivamente un favore per sé o per altri; la preghiera manifesta in modo esplicito l’esistenza di una relazione affettiva con il divino, identificato nella persona di Gesù, e con colei che lo ha generato, Maria. Come osserva T. F. Ossanna, pregando con le parole dell’Ave Maria, l’orante

– esprime la fede in Cristo, figlio di Maria, e la fede nella volontà divina di aver scelto Maria per collaborare al suo piano di salvezza;

– manifesta il desiderio di essere figlio nella famiglia di Gesù, accettando Maria nella propria vita, nel proprio “cuore”, come una buona madre;

– manifesta la volontà di concretizzare nella storia del proprio tempo lo spirito del vivere cristiano fino all’ora della buona morte; buona, perché vista come esito positivo di un impegno finalizzato all’incontro divino.

Nel santuario di Santa Maria delle Grazie, situato in Salizada S. Giovanni Grisostomo a Venezia, si trova una scritta risalente al 1930, voluta dall’allora patriarca Pietro La Fontaine, che consente di riflettere sul significato del pregare con le parole dell’Ave Maria. Lo scritto è esso stesso in forma di preghiera rivolta a Maria, della quale è sottolineata con tono di ammirazione “l’affabile condiscendenza vostra nell’accettare per la salvezza nostra la divina maternità e il dolore, onde in conseguenza fu trafitto il vostro cuore, come vi aveva profetizzato il vegliardo Simone.” Le parole si fanno poi invocazione: “Madre, come siete di Gesù, di cui noi formiamo il corpo mistico che ha Gesù stesso per capo, appunto per questo siete altresì madre nostra, madre piena di grazia, compassionevole e soccorritrice, come mostraste anche alle nozze di Cana, quando, impietosita dei poveri sposi, provocaste il primo miracolo di Gesù. Noi siamo miseri e peccatori, voi ricchissima di grazia e di meriti. A voi pertanto ricorriamo, affinché vogliate degnarvi di offrire all’Eterno nel nome di vostro Figliolo Gesù, le nostre povere suppliche, rese meno indegne dal vostro patrocinio, o Madre di grazie, o Vergine potente. Così sia”. Segue l’invito a recitare un’Ave Maria.

Il concetto di “corpo mistico” trova riscontro nella parabola allegorica della vigna, contenuta nel vangelo di Giovanni. In questa allegoria Gesù paragona sé stesso a una pianta di vite e i suoi discepoli sono come i tralci della vite, che possono essere fruttiferi o improduttivi. Dio è come il vignaiolo, che cura la vite, tagliando e bruciando i tralci che non producono frutto. I frutti dei tralci sono le manifestazioni amorevoli, caritatevoli, in pensieri e in azioni, verso i propri simili.

Il rivolgersi a Maria con le parole dell’Ave Maria può rappresentare per il cristiano un atto di riconoscenza nei confronti della donna che ha partorito ed educato Gesù, suo Signore; e può essere espressione di attrazione per le caratteristiche esistenziali di questa donna.

Maria fu donna temprata nella sua vita di madre dal contingente, ma intenso, dolore per l’ingiusta condanna a morte del figlio suo, Gesù. Molti artisti hanno voluto esprimere il loro affetto compassionevole nei confronti di questa donna, dandole risalto nelle loro raffigurazioni della crocefissione o rappresentandola con il Cristo morto nelle cosiddette “Pietà”. In fig. 3 e in fig. 4 sono riportate, come esempio, una Pietà di Giovanni Bellini e la veduta sul notevole dipinto di Girolamo Brusaferro dall’ingresso sinistro della chiesa di S. Moisè a Venezia.

Se l’invocazione dell’Ave Maria “Ora pro nobis” è mossa da pulsione amorevole, dal desiderio di restare nell’amato corpo mistico, il fedele è tralcio fruttifero: ha un frutto di amore, quanto è sufficiente per suscitare la speranza che il padrone non lo distacchi dalla vite.

Se vi è questo sincero sentimento, è inevitabile desiderare di esprimerlo a parole, che possono essere quelle dell’Ave Maria o di una differente preghiera, anche personale. Il razionale di un testo rigorosamente definito dall’autorità ecclesiale consiste principalmente nella possibilità di esprimere questa affettività all’unisono con altri fedeli nelle occasioni di incontro comunitario.

Fig. 3

Fig.4

Il processo di formazione dell’Ave Maria

La consuetudine da parte dei fedeli di rivolgersi spiritualmente a Maria risale perlomeno all’epoca bizantina ed è attestata dalla scritta “XE MAPIA”, abbreviazione del greco “XAIPE MAPIA”, ovvero “Rallegrati, Maria”, incisa su un intonaco venuto alla luce dopo l’asportazione del sovrastante mosaico bizantino, che copriva la base di una colonna nella più antica basilica di Nazareth. Più precisamente questa colonna non era un componente architettonico della basilica, ma un componente di riempitura con altri frammenti di colonne, di conci, di calcinacci derivanti da un pre-esistente edificio sinagogale. La basilica bizantina di Nazareth fu scoperta agli inizi del XX secolo nell’area dell’attuale basilica dell’Annunciazione. La basilica era stata citata da Eusebio di Cesarea, vissuto nel III-IV secolo d.C. ed era considerata dai cristiani la casa di Santa Maria, come scrisse nel 570 l’Anonimo di Piacenza: “La casa di Santa Maria è una basilica e vi avvengono molte guarigioni.”  E’ probabile che l’incisione XE MAPIA sia precedente al IV secolo (7).

Uno dei più antichi contributi all’Ave Maria consiste nel seguente inno a Maria, in uso già prima del VI secolo a Gerusalemme e ad Antiochia, come antifona liturgica:

Ave, piena di Grazia,
il Signore è con te,
Tu sei benedetta fra le donne
e benedetto è il frutto del Tuo ventre,
perché generasti il salvatore delle nostre anime.

Del resto già sul finire del IV secolo due omelie di Gregorio di Nissa (335 – 395) avevano anticipato la possibilità di utilizzare i saluti evangelici dell’angelo e di Elisabetta a Maria per una preghiera:

“Diciamo ad alta voce, secondo le parole dell’angelo: Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te[…]. Da te è uscito colui che è perfetto in dignità e nel quale risiede la pienezza della divinità. Rallegrati piena di grazia, il Signore è con te: con la serva, il re; con l’immacolata, colui che santifica l’universo; con la bella, il più bello dei figli degli uomini, per salvare l’uomo fatto a sua immagine”.

e

“Benedetta sei tu fra le donne! Perché sei stata trovata degna di ospitare il Signore, perché hai accolto in te Colui che è tanto grande, che nessuna cosa al mondo potrebbe contenere, hai ricevuto Colui che tutto riempie di sé, perché sei divenuta luogo in cui si realizza la salvezza, perché sei stata il carro che ha introdotto il Re nella vita, perché sei apparsa come tesoro, come perla spirituale.”

In Occidente questo Saluto alla Beata Vergine è attestato per la prima volta nel VII secolo, trovandosi nel sacramentario di San Gregorio, redatto sotto Onorio I (625 – 638):

Ave Maria, gratia plena,
benedicta tu in mulieribus
et benedictus fructus ventris tui.

ovvero

Ave, Maria, piena di Grazia,
benedetta tu fra le donne
e benedetto il frutto del tuo ventre. 

In Occidente l’antifona “Ave Maria”, rimasta a lungo confinata nella liturgia, divenne inno contemplativo a partire dal XII secolo. Già nella prima metà del XII secolo Ayberto di Hennegau, un pio eremita, recitava un “Saluto alla Vergine” con le stesse parole dell’antifona.

Si tenga tuttavia presente che al di fuori della liturgia esistevano vari inni accumunati dall’incipit “Ave Maria”, definibili complessivamente “Saluto alla Vergine”. Ne è un esempio il saluto alla Beata Vergine di san Francesco:

Ave, Signora santa
Regina santissima,
madre di Dio, Maria,
che sei perpetua Vergine
eletta dal santissimo Padre celeste
che ti consacrò
col santissimo figlio diletto
e lo Spirito Paraclito;
tu in cui fu e resta
ogni pienezza di grazia
ed ogni bene.
Ave, suo palazzo.
Ave, suo tabernacolo.
Ave, casa sua.
Ave, suo vestimento.
Ave, sua serva.
Ave, madre sua.
E voi tutte virtù sante,
che per grazia
e illuminazione dello Spirito Santo,
siete infuse nei cuori dei credenti,
perché da infedeli a Dio fedeli li rendiate.

Sappiamo che nel 1198 per decreto del vescovo di Parigi, Odone di Soliac, i sacerdoti della diocesi di Parigi erano invitati ad esortare i fedeli nella recita del tradizionale Saluto alla Beata Vergine.

Nel XIII e nel XIV secolo vi furono anche altrove decreti e pressioni ecclesiastiche perché i fedeli apprendessero e recitassero il saluto alla Vergine. Infatti, nel concilio di Durham del 1217 era stato ordinato che “tutti i cristiani, uomini e donne, recitino ogni giorno sette volte il Pater, sette volte l’Ave e due volte il Credo”. Nel 1497 il concilio di Worms stabilirà che l’ignoranza dell’Ave sia motivo di esclusione dalla comunione. In questa data l’Ave Maria si era ormai definita nella versione giunta quasi immodificata ai giorni nostri.

Laddove la preghiera non era avvertita come fastidiosa imposizione, il saluto alla Vergine poteva impreziosirsi di parole piene di amore per la madre di Gesù, come nella sopra riportata versione di san Francesco. Avendola conosciuta nei racconti evangelici come madre di speciale qualità, egli le si affidava come a una buona madre con queste parole:

“O santa Madre di Dio,
dolce e degnissima,
prega per noi il Re condannato a morte,
il Figlio tuo dolcissimo, Signore nostro Cristo Gesù,
perché egli per sua clemenza
e in virtù della sua santissima incarnazione
e morte acerbissima,
ci perdoni tutti i nostri peccati.”

E’ comprensibile che in tutta la comunità cristiana si giungesse infine a unire il saluto alla Vergine con una preghiera a lei rivolta di questo tipo, intercessoria. Tra le quattro antifone mariane occidentali composte in epoca medioevale (“Ave, Regina Coelorum”, “Alma Redemptoris Mater”, “Salve Regina” e “Regina Coeli”), l’“Ave, Regina Coelorum” e la “Regina Coeli” contengono entrambe l’invocazione a Maria “Prega per noi il Signore”. Questa invocazione è peraltro già rintracciabile nelle antiche litanie, risalenti al VII secolo, nelle quali si ripeteva in latino: “Santa Maria, prega per noi” (“Sancta Maria, ora pro nobis”). Sarebbe stato papa Sergio I (650 – 701) a introdurre a Roma l’uso delle litanie, prima di allora presenti solo in chiese d’Oriente. In questa scelta potrebbe aver avuto importanza la sua educazione religiosa ricevuta dai genitori originari di Antiochia. E’ inoltre noto che ldefonso di Toledo († 667) pregava con queste parole: “Santa Maria, Madre di Dio e Signore nostro Gesù, prega per me e per tutti i peccatori. Vergine benedetta, sii per me aiuto nell’ora della morte.”

Il più antico documento scritto in cui si trova l’Ave Maria in una forma molto simile a quella attualmente conosciuta nella Chiesa cattolica è il libro delle preghiere del beato Antonio Vici da Stroncone, frate francescano vissuto tra il 1300 e il 1400. Il libro è conservato nel convento di San Damiano ad Assisi. In questo documento la preghiera è stampata in latino.

Nello stesso periodo cominciano ad essere scritte nei codici le prime versioni dell’Ave Maria, come quella seguente:

Ave dulcissima et immaculata Virgo Maria,
gratia plena,
Dominus tecum,
benedicta tu in mulieribus
et benedictus fructus ventris tui Jesus.
Sancta Maria,
mater Dei et mater gratiae et misericordiae,
ora pro nobis nunc et in hora mortis.
Amen

Si può notare che compare il nome “Jesus”, assente nel corrispondente Saluto alla Beata Vergine del sacramentario gregoriano. In Occidente il termine “Jesus” o “Jesus Christus” compare nel Saluto intorno all’anno 1000; in Oriente perlomeno nel VII secolo.

Al XV secolo risale la seguente affermazione del predicatore san Bernardino da Siena:

A questa benedizione con cui termina l’Ave, “Tu sei benedetta fra le donne”, noi possiamo aggiungere: “Santa Maria, prega per noi peccatori.”.

Questa esortazione indica che perlomeno è il XV secolo l’epoca in cui comincia a essere pubblicizzata l’Ave Maria come preghiera integrante il Saluto alla Beata Vergine e l’“Ora pro nobis”.

Il primo documento in cui la preghiera appare in lingua volgare è il libro “Tabula della salute” di Marco da Montegallo, stampato nel 1486 a Venezia dall’editore Nicolò Balager. In questo libro il frate marchigiano (1425 – 1496) fornisce al lettore consigli morali, tra i quali la recita delle preghiere. Nel capitolo V egli riporta “la salutatione che fece langelo Gabriello ala Virgine Maria chiamata la Ave Maria” (Fig. 5):

Dio te salue Maria
Piena de gratia
El signore e con teco
Benedicta tu infra le donne
Et benedicto el fructo del ventre tuo Iesu.
Sancta Maria matre de dio
Prega per noi peccatori
Mo & in nel hora de la morte nostra. Amen.

Fig. 5

Nel 1568 la preghiera nella forma in cui è ancora oggi conosciuta in latino fu inserita ufficialmente nel Breviario romano, approvato dal papa Pio V.

Nel 1971 la Congregazione per il culto divino approvò la traduzione italiana dal latino riportata all’inizio di questo scritto, tuttora in uso.

Gli attributi a Maria nell’“Ὑπὸ τὴν σὴν εὐσπλαγχνίαν“, nel “Sub tuum praesidium” e nell’Ave Maria

Il confronto tra gli attributi riservati a Maria nell’“Ὑπὸ τὴν σὴν εὐσπλαγχνίαν“, nel “Sub tuum praesidium” e nell’Ave Maria consente di fare un’interessante osservazione.

Nella versione egizia si trovano gli attributi “misericordiosa”, “madre di Dio”, “santa”, “benedetta”.

Nella preghiera romana Maria è considerata “santa”, “madre di Dio”, “vergine”, “gloriosa” e “benedetta”.

Nell’“Ave Maria”, Maria è considerata “piena di Grazia”, amata da Dio (“il Signore è con te”), “benedetta tra le donne”, “santa”, “madre di Dio”.

Nelle tre preghiere compaiono dunque gli attributi “santa, “madre di Dio” e “benedetta”. Considerando i restanti attributi, nell’antica preghiera latina è messa in risalto l’importanza di Maria, definendola “Vergine gloriosa”; nell’Ave Maria è invece messa in risalto la caratteristica amorevole della figura: Maria è amata da Dio ed è bella (“piena di Grazia”) non solo agli occhi di Dio, ma anche nella considerazione che ne ha l’orante di lei; bella, “perché ha il Dio della grazia dentro di sé” (S. Lorenzo da Brindisi), ma anche bella per quanto ci è dato conoscere del suo agire in relazione alla vicenda terrena del suo figlio. Ricordiamo la complementarietà tra il “bello” e il “buono” dell’antica cultura greca, il καλός κα γαθός che si fonde nel “καλός κγαθός”, per indicare il migliore modello di umanità, quello in cui spiccano le virtù morali e intellettuali, che ne definiscono anche la bellezza. L’orante definisce in sostanza Maria “bella e buona”, illuminata dallo spirito divino; è questo che apre la sua voce a lei, che lo attira a lei. Rispetto al “Sub tuum praesidium” nell’Ave Maria è ha più importanza l’aspetto sentimentale, già presente nell’antica preghiera egizia.

Per concludere l’esame degli attributi riservati a Maria,  resta da considerare se essi siano rintracciabili anche nei testi evangelici che narrano le vicende di Maria.

Mi limito a considerare l’Ave Maria, essendo l’oggetto di questo scritto.

In questa preghiera quasi tutti gli attributi sono contenuti in due versetti del vangelo secondo Luca. I due versetti sono citati quasi integralmente nella preghiera. Lo scopo di queste citazioni non è solo di attenersi alla tradizione evangelica per la definizione della figura mariana, ma anche di richiamare la centralità di Maria nella storia cristiana, riferendosi entrambe le citazioni alla volontà divina di assegnare a tale donna il compito di essere madre del figlio di Dio.

Il primo versetto della preghiera

“Ave, o Maria, piena di Grazia, il Signore è con Te.”

deriva dal versetto evangelico

“Rallegrati, o piena di Grazia, il Signore con Te.” (Lc 1, 28).

La frase è riferita al saluto dell’angelo, presentatosi a Maria, per annunciarle che “concepirai un figlio, lo darai alla luce e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo”. Questo saluto richiama versetti degli antichi libri profetici, per sottolineare la profonda fede di Maria in un Dio che dà significato alla sua esistenza nella misura in cui ella ne accetta la sua volontà (“Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola”) e collabora al suo progetto nell’umile servizio di  “madre che vive per il figlio con ansia, nella partecipazione alla missione di lui fino alla morte e anche dopo la morte; anche nell’eternità accanto a lui nella gloria” (Ossanna): 

“Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme” (Sof 3,14). Il motivo del rallegrarsi è riferito da Sofonia al fatto che “il Signore Tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente, (…) ti rinnoverà con il tuo amore”.

“Esulta, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino (…) l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle genti, il suo domino sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra.” (Dn 9,10)

“L’angelo del Signore apparve a Gedeone e gli disse: “Il Signore è con te, uomo forte e valoroso!” (Gdc 6,12)

In fig. 6 è mostrata una tipica iconografia della tradizione orientale sull’annunciazione dell’angelo a Maria, opera di Amedeo Gion.

Fig. 6

Il secondo versetto della preghiera

“Tu sei benedetta e benedetto è il frutto del tuo grembo Gesù.”

deriva dal versetto evangelico

“Tu sei benedetta tra le donne e benedetto è il frutto del tuo utero.” (Lc 1, 42).

La frase è riferita a Elisabetta, parente di Maria, in occasione del suo saluto di benvenuto a Maria, giunta in casa sua per rimanervi ospite nel periodo della gravidanza.

Con questa frase si precisa che la centralità di Maria non è semplicemente connessa all’essere genitrice di Gesù, figlio benedetto, perché figlio di Dio. Maria è benedetta per sè, per le sue qualità morali, la madre stessa è degna di un tal figlio e può essere guida esemplare per le donne.   

La definizione “madre di Dio” risulta invece estranea ai testi evangelici, ma è presente anche nell’antico preghiera “Ὑπὸ τὴν σὴν εὐσπλαγχνίαν“. L’idea di una maternità divina di Maria fu presente fin dall’origine in seno alle comunità dei cristiani d’Oriente o d’Occidente, ma nel 400 fu messa in discussione da Nestorio, caposcuola di Antiochia, sostenendo che in Gesù le persone umana e divina coesistono distinte e che Maria è madre della persona umana di Gesù, ma non di quella divina (Χριστοτόκος). Ne seguì una lunga disputa con la scuola d’Alessandria d’Egitto, sostenitrice della natura indivisamente umana e divina di Gesù e di conseguenza della maternità divina di Maria, definita quindi “Θεοτόκος”. Le tesi della scuola d’Alessandria d’Egitto divennero dogma nel 431 alla conclusione del concilio di Efeso, indetto principalmente per risolvere questa disputa (22):

“Noi quindi confessiamo che il nostro signore Gesù figlio unigenito di Dio, è perfetto Dio e perfetto uomo, fornito di anima razionale e di corpo; generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, nato, per noi e per la nostra salvezza, alla fine dei tempi dalla vergine Maria secondo l’umanità; che è consustanziale al Padre secondo la divinità, e consustanziale a noi secondo l’umanità, essendo avvenuta l’unione delle due nature. Perciò noi confessiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore.”

Adesso e nell’ora della nostra morte: Maria, donna dell’ultima ora

La seguente riflessione fu scritta da monsignor Antonio (detto “Tonino”) Bello, vescovo di Molfetta dal 1982 al 1993 e Presidente nazionale di Pax Christi dal 1985 al 1993, anno della sua morte.

“Nunc et in hora mortis nostrae”.

In latino suona meglio. Soprattutto quando l’Ave Maria viene cantata. Sembra allora che la corrente melodica dilaghi in un estuario di tenerezza, e concentri nelle ultime quattro parole le più sanguinanti implorazioni dell’uomo.

“Adesso e nell’ora della nostra morte”.

Anche in italiano non è da meno. Soprattutto quando, irrompendo le ombre della sera, l’Ave Maria viene recitata dal popolo dei poveri, nei banchi di una chiesa, con le cadenze del rosario.

Sembrano cadenze monotone. Ma dal centro di quelle scarne parole si sprigionano viluppi di sensazioni intraducibili, che non si capisce bene se ti spingano sul discrimine che separa il tempo dall’eterno, o ti arretrino invece negli spazi di un passato remoto carico di ricordi. Certo è che, man mano che quelle parole vengono ripetute, la mente si affolla di immagini dolcissime, tra le quali predomina l’immagine di lei, l’altra madre, che nelle sere d’inverno, vicino al ceppo acceso, o sotto le stelle nelle notti d’estate, attorniata dai familiari e dai vicini di casa, ripeteva con la corona tra le mani: “Santa Maria, Madre di Dio…”

Sembra che alla Madonna non si sappia chiedere altro: “Prega per noi peccatori”. Forse perché, in fondo, l’essenziale sta lì. Tutto il resto è corollario di quell’unica domanda. Ed ecco allora, per cinquanta volte, la stessa supplica struggente: “Adesso e nell’ora della nostra morte”.

Viene da chiedersi, comunque, perché mai l’Ave Maria essenzializzi a tal punto l’implorazione da ridurla a una sola richiesta.

Le ragioni possono essere due.

Anzitutto, Maria è esperta di quell’ora. Perché fu presente all’ora del Figlio. Ne visse, cioè, da protagonista la peripezia suprema di morte e glorificazione, verso cui precipita tutta la storia della salvezza. In quell’ora, Gesù le ha consegnato i suoi fratelli simbolizzati da Giovanni, perché li considerasse come suoi figli.

Da quel momento lei è divenuta guardiana della nostra ultima ora e si rende presente in quella frazione di tempo in cui ognuno di noi si gioca il suo eterno destino.

Il secondo motivo sta nel fatto che l’hora mortis è un passaggio difficile. Un transito che mette paura, per quella carica di ignoto che si porta incorporata. Una transumanza che sgomenta, perché è l’unica che non si può programmare nei tempi, nei luoghi e nelle modalità. È come affrontare un’esile passerella di canne che oscilla sul vortice di un larghissimo fiume, pronto a inghiottirti.

Di qui, il realismo della preghiera: “Ora pro nobis… nunc et in hora mortis nostrae”.

Tu, cioè, che sei esperta di quell’ora, dacci una mano perché ognuno, quando essa scoccherà sul quadrante della sua vita, l’accolga con la serenità di Francesco d’Assisi: “Laudato sie, mi Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullo homo vivente può skappare”.

Santa Maria, donna dell’ultima ora, quando giungerà per noi la grande sera e il sole si spegnerà nei barlumi del crepuscolo, mettiti accanto a noi perché possiamo affrontare la notte. È un’esperienza che hai già fatto con Gesù, quando alla sua morte il sole si eclissò e si fece gran buio su tutta la terra. Questa esperienza, ripetila con noi. Piàntati sotto la nostra croce e sorvegliaci nell’ora delle tenebre. Liberaci dallo sgomento del baratro. Pur nell’eclisse, donaci trasalimenti di speranza. Infondici nell’anima affaticata la dolcezza del sonno.

Che la morte, comunque, ci trovi vivi!

Se tu ci darai una mano, non avremo più paura di lei.

Anzi, l’ultimo istante della nostra vita lo sperimenteremo come l’ingresso nella cattedrale sfolgorante di luce, al termine di un lungo pellegrinaggio con la fiaccola accesa. Giunti sul sagrato, dopo averla spenta, deporremo la fiaccola. Non avremo più bisogno della luce della fede che ha illuminato il nostro cammino. Ormai saranno gli splendori del tempio ad allagare di felicità le nostre pupille.

Fa’, ti preghiamo, che la nostra morte possiamo viverla così.

Santa Maria, donna dell’ultima ora, il Vangelo ci dice che Gesù quando sulla croce emise lo spirito, reclinò il capo. Probabilmente, come molti artisti hanno intuito, il suo capo egli lo reclinò sul tuo: nello stesso atteggiamento di abbandono di quando, ancora bambino, lo coglieva il sonno. Ritta sotto il patibolo, forse su uno sgabello di pietra, diventasti così il suo cuscino di morte.

Ti preghiamo: quando pure per noi giungerà il momento di consegnarci al Padre e nessuno dei presenti sarà in grado di rispondere ormai ai nostri richiami e sprofonderemo in quella solitudine che neppure le persone più care potranno riempire, offrici il tuo capo come ultimo guanciale.

Il calore del tuo volto, in quell’estremo istante della vita, evocherà dalle tombe mai aperte della nostra coscienza un altro istante: il primo dopo la nascita, quando abbiamo sperimentato il calore di un altro volto, che rassomigliava tanto al tuo. E forse solo allora, sia pure con le luci fioche della mente che si spegne, capiremo che i dolori dell’agonia altro non sono che travagli di un parto imminente.

Santa Maria, donna dell’ultima ora, disponici al grande viaggio. Aiutaci ad allentare gli ormeggi senza paura. Sbriga tu stessa le pratiche del nostro passaporto. Se ci sarà il tuo visto, non avremo più nulla da temere sulla frontiera. Aiutaci a saldare, con i segni del pentimento e con la richiesta di perdono, le ultime pendenze nei confronti della giustizia di Dio. Procuraci tu stessa i benefici dell’amnistia, di cui egli largheggia con regale misericordia. Mettici in regola le carte, insomma, perché, giunti alla porta del paradiso, essa si spalanchi al nostro bussare.

Ed entreremo finalmente nel Regno, accompagnati dall’eco dello Stabat Mater che, con accenti di mestizia e di speranza, ma anche con l’intento di accaparrarci anzitempo la tua protezione, abbiamo cantato tante volte nelle nostre chiese al termine della Via Crucis: “Quando corpus morietur, fac ut animae donetur paradisi gloria. Amen”.

Variazioni sul tema

Si può osservare che l’Ave Maria, nella versione oggi conosciuta, è espressa in modo molto sintetico. L’utilizzo ripetitivo di questa preghiera nella recita del Rosario ha probabilmente contribuito a consolidarne l’essenzialità della forma. Inoltre, il suo uso nella liturgia ne ha determinato l’immutabilità, per consentire alla comunità di recitarla in modo corale. Tuttavia, al di fuori di questo contesto, l’orante ha facoltà di rielaborarne il testo, in rapporto alla sua sensibilità e alla sua personalità, pur con l’umiltà di porsi prima in ascolto delle più illustri voci della cristianità sul tema. Naturalmente, queste varianti non possono essere definite “Ave Maria”. L’Ave Maria è come un marchio brevettato dalla Storia; è una preghiera definita da un ben preciso e immutabile testo.

Tenendo conto della preghiera alla Beata Vergine di san Francesco d’Assisi e di altri antichi contributi, una preghiera sostanzialmente simile, ma arricchita nella forma potrebbe essere:

Ave, o Maria,
piena di Grazia,
il Signore è con Te,
benedetto è il frutto del tuo ventre, Gesù,
e benedetta sei tu tra le donne.
Santa Madre di Dio,
madre dolce e degnissima,
sotto la Tua misericordia cerchiamo rifugio.
Ora e nell’ora della morte
prega per noi il Re da noi ingiustamente condannato,
il Figlio tuo dolcissimo, Signore nostro Cristo Gesù,
perché egli, per sua clemenza,
perdoni i nostri peccati
e ci conduca nel suo amabile Regno.

Fonti informative

Bello T. Maria donna dei nostri giorni. Ed. San Paolo.

Bernardino da Siena. Sermone sulla Passione. In:  H. Leclercq. Dictionaire d’Archéologie Chrétienne et de Liturgie; 10, 2, 2059.

Boccali I.M. Opuscola sancti Francisci et scripta sanctae Clarae Assisiensium variis adnotationibus ornatus. Ed. Porziuncola, 1978. 

Breve storia dell’Ave Maria. A cura delle Suore di Carità del Bambin Gesù in

http://www.suoredimariabambina.org/amaria/avemariastoria.html

Breve storia del Rosario. 

In http://xoomer.virgilio.it/ikthys/rosario.htm

Cecchetti I. Sub tuum presidium. Bollettino di studi e ricerche sul cristianesimo delle origini Paulus 2.0.

Cecchin S.M. Ave Maria e l’Angelus nella tradizione francescana.

In: https://letterepaoline.net/2009/11/03/«sub-tuum-praesidium»/

Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano 1948-1954, vol. XI, coll. 1468-1472.

La Bibbia di Gerusalemme. Ed. Dehoniane; Bologna, 1990.

Laurentin R. L’Ave Maria. Ed. Queriniana; Brescia, 1990.

Marco da Montegallo. Tabula della salute. Ed. N. Balager; Venezia, 1486. Consultabile presso Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. ISTC: im 00258000; GW: M20868; IGI: 6166.

Mercenier F. L’antienne mariale grecque la plus ancienne. Muséon 1939; 52: 229-33.

Ossanna T.F. L’Ave Maria. Storia, contenuti, problemi. Ed. San Paolo; Cinisello Balsamo, 2002.

Piccirillo M. Vangelo e archeologia. Ed. San Paolo, 1998.

In:  http://www.academia.edu/18208135/Ave_Maria_e_Angelus_nella_tradizione_francescana

Roberts M.C.H., EG Turner E.G. Catalogue of Greek and Latin Papyri in the John Rylands Library. Manchester University Press 1939; 3: 46.

Stegmüller O. Sub tuum presidium: Bemerkungen zur altesten Überlieferung. Zeitschrift für katholische Theologie 1952; 74: 76-82.

Abbreviazioni
Lc Vangelo di Luca
Mt Vangelo di Matteo
Dn Libro di Daniele
Gdc Libro dei Giudici
Is Libro di Isaia
Sof Libro di Sofonia
Dn Libro di Daniele
Sal Libro dei salmi

Nota – Le informazioni contenute nell’introduzione sono tratte dalle fonti Internet e cartacee indicate nella sezione “Fonti informative”. In futuro l’autore tenterà di rendere più sicuri i riferimenti bibliografici, consultando personalmente i documenti originari, laddove possibile. 

Fonti iconografiche

Fig. 1: “Papyrus Rylands 470”. Sede: John Rylands Library di Manchester.

Elaborazione della foto: Enrico Ganz

Fig. 2: Madonna orante, particolare di Giudizio Universale

Autore: Pietro Cavallini. Tecnica: affresco. Sede: chiesa di S. Cecilia in Trastevere, Roma

Autore della foto: Enrico Ganz

Fig. 3: Pietà Donà dalle Rose.

Autore: Giovanni Bellini. Tecnica: olio su tavola. Sede: Gallerie dell’Accademia, Venezia

Autore della foto: Enrico Ganz

Fig. 4: Crocefissione.

Autore: Girolamo Brusaferro. Tecnica: olio su tela. Sede: chiesa di S. Moisè, Venezia

Autore della foto: Enrico Ganz

Fig. 5: “la salutatione che fece langelo Gabriello ala Virgine Maria chiamata la Ave Maria” nel volume “Tabula della salute”. Editore N. Balager, 1496.

Autore: Marco da Montegallo

Foto tratta dal volume “Tabula della salute”, pubblicato dalla Biblioteca Europea di Informazione e Cultura:

http://gutenberg.beic.it/view/action/singleViewer.do?dvs=1528743365737~174&locale=it_IT&VIEWER_URL=/view/action/singleViewer.do?&DELIVERY_RULE_ID=10&frameId=1&usePid1=true&usePid2=true

Fig. 6: Annunciazione

Autore: Amedeo Gion. Tecnica: icona

Autore della foto: Enrico Ganz

 

I dipinti dell’”Ave Maria”

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