di Enrico Ganz
La domanda posta nel titolo è per me è un ben noto interrogativo. Infatti, anni fa ebbi occasione di percorrere per molti chilometri le sponde di diversi fiumi nelle province di Venezia, Treviso e Padova, alla ricerca di postazioni per la pesca. In questi percorsi subii in due occasioni l’attacco di cani, in un’occasione un attacco non portato a termine e infine un incontro inquietante con cani, che vagavano liberi nei campi. In uno dei due casi di attacco riuscii a rifugiarmi in tempo nell’abitacolo dell’auto, nell’altro caso riuscii a infilarmi in una macchia di rovi, che costeggiava il fiume Lèmene, abbandonando la canna da pesca. Il grosso cane fu fermato dai rovi e infine dal richiamo della padrona, che abitava in una casa vicina. In entrambi i casi i cani erano privi di museruola. L’attacco non portato a termine si verificò mentre cercavo una postazione per la pesca del luccio in una giornata invernale: mi venne incontro di corsa un cane lupo, che probabilmente non ebbe il coraggio di portare a conclusione l’attacco, essendomi posizionato sulla sponda del fiume. Il cane si fermò a una distanza di 3-4 metri e tornò indietro. Nell’ultimo caso io e altri viandanti fummo costretti a tornare indietro sul sentiero che costeggiava il Sile nei dintorni di Caposile, davanti a tre cani, che sbarravano il passaggio, abbaiando furiosamente.
Ma i miei incontri poco felici con i cani non si limitano alle sponde dei fiumi: a Venezia ebbi la fortuna di utilizzare un voluminoso pacco come scudo da un piccolo cane senza guinzaglio, che mi aveva preso di mira. Ancora peggiore fu la situazione sul monte Ortobene, a Nuoro, dove nel maggio 2009 avevo trovato alloggio per la notte: uscito da un ristorante, la mia tranquilla passeggiata si interruppe a pochi metri dall’abitazione, dove fui accerchiato da un eterogeneo branco di sei – otto cani randagi. Si notava tensione nei loro occhi e nel portamento, uno di loro abbaiava in modo poco amichevole; l’impressione era che fossero incerti se attaccare. Fortunatamente ero in compagnia di due conoscenti e forse i cani indugiavano nel valutare i rapporti di forza. Riuscimmo a raggiungere lentamente l’uscio della casa e ad entrare.
Non è “tutto bene”, se finisce bene. Infatti, vi sono persone meno fortunate o molto meno fortunate. E’ di febbraio 2024 la notizia di un uomo ucciso in un bosco nei pressi di Roma da tre rottweiler. In una ricerca casuale in Internet potremmo anche trovare la recente notizia di un uomo ucciso da un pitbull, mentre raccoglieva asparagi in un campo.
Ma, se procediamo in modo più sistematico, inserendo in Google, per esempio, i termini “sbranato” e “Pitbull” – o altra razza tra quelle tristemente note – compare una lista di episodi degni di racconti dell’orrore. Ancora più incredibile è la recente notizia di un uomo, che ha chiesto l’affidamento del cane di famiglia, che aveva appena sbranato la moglie…
E che dire di quanto riporta un giornalista nell’articolo “Pitbull senza guinzaglio azzanna tre passanti, carabinieri sparano e lo abbattono”? Si tratta di un episodio accaduto a Tivoli. I carabinieri, miti militari in questo contesto, si sono fatti scrupoli ad abbattere l’animale, perciò hanno dapprima utilizzato una pistola taser; essendo risultata inefficace, hanno ferito gravemente il cane con un proiettile esploso da una pistola d’ordinanza. Ma invece di finirlo con un altro colpo di pistola, il cane è stato condotto urgentemente in una clinica veterinaria, dove è morto.
Spero che almeno i tre feriti umani non siano venuti in secondo ordine nei soccorsi… Lo spero, perchè mi accorgo che stiamo vivendo davvero in un mondo al contrario. Perlomeno in un’Italia al contrario, dove per motivazioni inconsistenti non è neppure ammessa una lista delle razze di cane che dovrebbero essere bandite, essendo pericolose; un’Italia, dove abbattere un cane per difesa potrebbe diventare in futuro un reato più grave di un omicidio…
Lo Stato è evidentemente manovrato dalle lobby cinofile e animaliste.
Per salvare la nostra pelle, non ci resta che rivolgerci alle lobby delle armi?
No e sì. Non è mio interesse coltivare questa lobby, né pubblicizzarne i prodotti.
Ho allora pensato di considerare un’arma corta, che non è più in produzione, la semiautomatica Walther PPK 7,65 Browning del periodo pre- e post- bellico (Fig. 2). E’ una vecchia gloria nel suo genere, tanto da essersi guadagnata infine un posto nelle mani dell’agente segreto 007 James Bond in una delle più celebri serie cinematografiche. Qualche accenno storico lo ho già fornito in un precedente articolo.
A mio parere la Walther PPK presenta diverse caratteristiche interessanti per una difesa contro l’attacco di cani nei boschi e nei campi, ovvero in quei luoghi dove non ci si può certamente attendere un aiuto da chicchessia; dove sparare per estrema necessità alcuni colpi con un’arma corta dall’alto verso il suolo non costituisce alcun rischio per altri esseri; dove peraltro non dovrebbero trovarsi cani vaganti, che azzannano essere umani; dove invece questo accade troppo frequentemente.
La Walther PPK originale ha dimensioni molto contenute (lunghezza: 15,5 cm, altezza 10,0 cm, larghezza 2,5 cm), un peso pure contenuto (480 grammi con caricatore scarico; 535 grammi con caricatore carico), una meccanica e una lunghezza di canna (8,0 cm; 3,15”) accettabili per tiri a distanza fino a 15 metri. Il calibro (7,65 mm; 0,30”) è associato a un’energia di rinculo allo sparo significativamente inferiore ai calibri 9 mm e 10 mm, consentendo quindi un più rapido riallineamento per il tiro successivo. Per quanto concerne il meccanismo di chiusura della Walther PPK, il modesto calibro 7,65 mm consentì ai progettisti di adottare il sistema di chiusura labile (detto anche “a massa) (Fig. 3), nel quale la canna è fissa e la chiusura dell’otturatore è determinata esclusivamente dalla molla di recupero. Questo sistema offre, in termini di precisione di mira, il vantaggio di una canna fissa, esente da movimenti rispetto ad altre parti nella fase di eiezione della palla.
La Walther PPK ha tuttavia un grilletto piuttosto resistente alla pressione: nell’esemplare qui testato 2600 grammi in singola azione e addirittura > 5000 grammi se si decidesse di sparare il primo colpo in doppia azione. Questa caratteristica non è un pregio in termini di precisione: una buona arma sportiva in calibro compreso tra 7,65 mm e 11,5 mm dovrebbe avere una resistenza non superiore a 1700 grammi, per evitare apprezzabili deviazioni dal bersaglio in conseguenza del microtremore del dito indice, causato dalla resistenza opposta dal grilletto. Tuttavia, una maggiore resistenza ha il vantaggio di un’accettabile sicurezza nel portare l’arma senza sicura innestata, per un più pronto utilizzo. Inoltre, gli effetti negativi del microtremore sul tiro diventano palesi a 15-25 metri; nel caso di un attacco si può presumere che il tiro avvenga a una distanza inferiore a 10 metri, distanza alla quale le deviazioni da microtremore dovrebbero essere poco influenti per il risultato.
Un secondo limite della Walther PPK per la precisione di tiro è dato dal tipo di cartuccia che supporta: la 7,65 Browning, superata per prestazioni balistiche dalla cartuccia 7,65 Parabellum.
Ma, per non rimanere in considerazioni teoriche, ho effettuato alcune prove di tiro con questa semiautomatica alla distanza di 13 metri. I risultati sono interessanti per il fatto che nei video che ho potuto reperire in Internet, escluso uno, ogni prova del tiratore con una Walther PPK d’epoca è effettuata visualizzando il tiratore, ma si conclude senza far vedere il risultato sul bersaglio, fatto piuttosto curioso. Anche gli articoli restano nel vago, non evidenziando mai l’esito di qualche prova.
Materiali e metodi
Per questa prova ho utilizzato una Walther PPK prodotta dalla Manurhin, risalente alla fine degli anni ’60 del secolo scorso. L’interno della canna presentava evidenti segni di uso; è stato perciò accuratamente pulito con un prodotto specifico per sramatura e spiombatura. Al termine della procedura la canna appariva adeguatamente pulita con rigatura ben conservata (Fig. 4). I meccanismi solo stati lubrificati con oli di vaselina di varia consistenza e con olio tecnico per macchine da cucire. La resistenza allo scatto in singola azione è risultata inizialmente di 3000 grammi, ma dopo adeguata pulizia e lubrificazione è scesa a 2600 grammi. Analogamente si sono risolti gli sporadici arresti del carrello nella fase di ritorno in chiusura.
La tacca di mira, aggiustabile in deriva, è stata mantenuta nella posizione di fabbrica. La questione non si poneva per il mirino, che è fisso. Il caricatore è stato un Manurhin privato dell’accessorio poggiamignolo, per rendere l’arma ancora più compatta.
La prova è stata effettuata alla distanza di 13 metri dapprima su un bersaglio acd e successivamente su due bersagli, consistenti in dischetti rossi, ottenuti con il calco di una moneta da 2 euro (2,6 cm) (fig. 1). I due dischetti erano segnati sul retro di un cartellone per bersaglio acd alla sua estremità inferiore destra e sinistra, precisamente con il loro centro a una distanza di 8 cm dai lati più prossimi del cartellone. I dischetti erano posizionati a un’altezza di 80 cm da terra.
Il risultato è stato confrontato con un’arma di riferimento, scegliendone un modello che fosse notoriamente di buona qualità.
Al fine di non pubblicizzare un’azienda in particolare, ho ritenuto opportuno scegliere come arma di confronto la SIG p210-5 in calibro 9 mm, nota per la sua precisione, non più in produzione da molti anni. E’ fornita di canna lunga 15 cm. E’ un’arma sportiva molto più precisa della Walther PPK, ma sarebbe eccessiva per un porto per difesa da piccoli animali, sia per le dimensioni, sia per il calibro. In questo studio è interessante poter confrontare la differenza di precisione tra queste due armi in mani con limitata esperienza di tiro.
L’esemplare SIG provato presentava una canna “a specchio” in ottime condizioni, che non ha richiesto una pulizia. La resistenza del grilletto è stata regolata a 1450 grammi. L’allineamento tra la tacca di mira micrometrica, il mirino e il bersaglio è stato ottenuto avvalendosi del raggio di un bossolo laser. Prima dell’uso i meccanismi solo stati lubrificati con oli di vaselina di varia consistenza.
Per entrambe le armi sono state utilizzate cartucce prodotte da una stessa azienda con palla FMJ avente massa di 73 grani per la Walther PPK (cartucce 7,65 Browning) e 124 grani per la SIG p210-5 (cartucce 9 Luger). Entrambi i tipi di palla erano a punta ogivale.
Sono stati quindi effettuati con la Walther PPK in singola azione tre serie di sette tiri (tre caricatori) in un tempo massimo di 4 minuti, mirando alla lettera A di un bersaglio acd (Fig. 1).
Nella prova successiva sono stati effettuati sette tiri contro un bersaglio rosso a destra e sette tiri contro il bersaglio rosso a sinistra (Fig. 4). Una serie di sette tiri doveva concludersi entro 2 minuti. La distanza di tiro era di 13 metri. Ho adottato l’impugnatura evidenziata in fig. 2.
E’ stata infine effettuata con una SIG p210-5 (cartuccia 9×19, canna 15 cm) una serie di 14 tiri sul bersaglio rosso sinistro e una serie di 10 tiri sul bersaglio rosso destro (fig. 5). Ogni serie di tiri doveva concludersi entro 4 minuti. La distanza di tiro era di 13 metri. I tiri sono stati effettuati in posizione isoscele o in posizione Weaver.
L’esperienza del tiratore al momento della prova era limitata a 150 tiri con cartucce 7,65 Browning e a 950 tiri con cartucce 9 Luger. La sede di prova è stata un Centro di Tiro del Veneto.
Risultati
Prova con Walther PPK 7,65 Manurhin su bersaglio acd, mira sul centro della lettera A
20/21 tiri hanno raggiunto il settore A con una distanza media dal centro (considerando i 20 tiri in A) di 5,3 cm (estremi: 2,8 cm – 8,5 cm). I fori a distanza < 5,5 cm dal centro sono stati 13/21. Nessuna palla ha forato la lettera A. Un lieve strappo sul grilletto ha determinato un’evidente deviazione della palla, che ha forato il bersaglio 17,8 cm sotto la lettera A (Fig. 1).
Prova con Walther PPK 7,65 Manurhin su bersagli rossi (2,6 cm) a un’altezza di 80 cm da terra (Fig. 5).
Bersaglio all’angolo destro: 7/7 tiri hanno raggiunto il cartellone con una distanza media dal centro di 4,0 cm (estremi: 0,6 cm – 8,2 cm). I fori a distanza < = 5,5 cm dal centro sono stati 5/7 Una sola palla ha centrato il dischetto.
Bersaglio all’angolo sinistro: 4/7 tiri hanno raggiunto il cartellone con una distanza media dal centro (calcolata sui fori rilevati) di 6,9 cm (estremi: 3,5 cm – 10,0 cm). I fori a distanza < = 5,5 cm dal centro sono stati 2. Nessuna palla ha forato il dischetto.
Prova con SIG p210-5 – canna lunga 15 cm in calibro 9 mm – su bersagli rossi (2,6 cm) a un’altezza di 80 cm da terra (Fig. 6).
Bersaglio all’angolo destro: 9/10 tiri hanno raggiunto il cartellone con una distanza media dal centro di 3,75 cm (estremi: 1,2 cm – 7,3 cm). I fori a distanza < = 5,5 cm dal centro sono stati 6/10. Una sola palla ha centrato il dischetto.
Bersaglio all’angolo sinistro: 14/14 tiri hanno raggiunto il cartellone con una distanza media dal centro (calcolata sui fori rilevati) di 4,48 cm (estremi: 2,2 cm – 8,0 cm). I fori a distanza < = 5,5 cm dal centro sono stati 9/14. Nessuna palla ha forato il dischetto.
Commento e conclusioni
Un mio conoscente era amante dei cani. Nell’arco di quasi vent’anni ebbe due cani pastore belga Groenendael, che non diedero problemi. Dopo la loro morte egli acquistò un cane pastore belga Malinois, che purtroppo fin da giovane dimostrò di rispettare nel modo più rigoroso le caratteristiche della sua razza. Per questo motivo fu affidato a un addestratore con la speranza di renderlo un più tranquillo cane da guardia. Fu un cane tutt’altro che tranquillo: in due distinte occasioni morse la mano a gente di casa. Un giorno fui testimone dell’uccisione di un merlo, che pensava di sfuggirgli, mimetizzandosi nell’erba. Uno dei suoi giochi preferiti era il distruggere quanto incontrava con la sua possente dentatura. Riuscì a contorcere persino una lamiera. Da giovane aveva minacciato anche il padrone, che dovette utilizzare un bastone, per difendersi e per ridurlo all’obbedienza. E in effetti, dopo quell’episodio il cane divenne assolutamente ubbidiente al padrone. I suoi tentativi di superare la recinzione della proprietà e la sua aggressività convinsero il mio conoscente ad allestire un’ampia gabbia, simile a quelle dei circhi, che occupava parte del giardino. Il mio conoscente era infatti moralmente scrupoloso, la sua principale preoccupazione era che il cane potesse nuocere a un essere umano; ma non voleva neppure imprigionare il cane con una catena e perciò provvide a quanto era necessario, sia per lasciargli la libertà di correre in un adeguato spazio protetto, sia per evitare rischi alle persone.
Purtroppo vi sono molti irresponsabili che decidono di acquistare cani appartenenti a razze notoriamente aggressive senza preoccuparsi di allestire adeguate recinzioni nelle loro proprietà e senza preoccuparsi in generale di prevenire le aggressioni da parte del loro cane. Purtroppo, nella legislazione manca ancora l’obbligo di apposite gabbie da giardino per le razze pericolose e più in generale per cani problematici, oppure educati alla difesa e all’attacco; e, purtroppo, non è previsto neppure un’aggravante del reato di omicidio per coloro che causano la morte di esseri umani, per aver omesso una scrupolosa loro custodia.
In Internet sono riportati solo alcuni episodi di aggressione, probabilmente quelli più eclatanti, ma sono comunque numerosi. Anche “modeste” ferite lacero-contuse da morso di cane implicano importanti rischi, essendo inoculata nella ferita una flora batterica potenzialmente mortale e difficilmente controllabile con gli antibiotici. La presenza di batteri anaerobi impone di evitare la sutura di tali ferite, che perciò guariscono per seconda intenzione con esiti cicatriziali, che possono essere deturpanti.
Posso ritenermi fortunato nei casi di aggressione che ho subito; meno fortunata fu quell’anziana signora, che molti anni fa accolsi in Pronto Soccorso a Jesolo, presentandosi nella barella in un lago di sangue con lo scalpo ribaltato sul collo, dopo essere stato staccato anteriormente e lateralmente dal cranio per il morso di un cane lupo, che l’aveva assalita alle spalle. Non mi risulta che di questo episodio sia stata data notizia; come non è data notizia di numerosi casi, che transitano per i servizi di Pronto Soccorso. Tramite i mezzi d’informazione noi veniamo a conoscenza solo di una parte dei più o meno gravi casi di aggressione di cani nei confronti degli esseri umani.
Non entro nel merito della lista di razze pericolose, che uno Stato dovrebbe produrre. In questa questione si appalesa la vittoriosa corrente dei negazionisti. Lo Stato è in mano a chi tutela Rottweiler, Pittbull, Dobermann, mastini napoletani e loro amici. Sembrerebbe anzi, più in generale, che in questo mondo gli animali più aggressivi siano tutelati, mentre i più pacifici rischino la pelle. Si pensi al proposito olandese di estinguere il carlino, cane buono e pacifico, per i suoi frequenti problemi di salute…
In questa situazione prioritario non è tanto sostenere la liceità di una lista di razze pericolose, ma salvare la propria pelle a dispetto di chi se ne frega dell’altrui incolumità.
Da questa motivazione nasce l’idea dello studio qui presentato.
Lo studio presenta evidenti limiti nel ricondurci a un’esperienza reale, sia per la sua impostazione, che prevede esclusivamente un tiro su bersaglio statico in tempi che non sono compatibili con un’efficacia difensiva (alcuni secondi per ciascun tiro), sia perché l’efficacia di una difesa con una Walther PPK, della metà del secolo scorso, è determinata da molte variabili nella concretezza dell’evento “attacco”: il grado di usura della canna, la qualità costruttiva (per esempio, sono ritenute migliori le versioni del Dopoguerra prodotte dalla Manurhin su licenza Walther rispetto alle PPK prodotte dalla Walther nel periodo bellico), l’esperienza del tiratore, le sue caratteristiche psico-fisiche (per esempio, rapidità di decisione e di azione, emotività), la sua personalità (di fronte a due Pitbull che gli corrono incontro un ottimista per natura potrebbe pensare di non essere lui l’obbiettivo o che i cani non abbiano l’intenzione di azzannarlo, inducendolo a difendersi tardivamente e perciò senza possibilità di controllare adeguatamente l’arma), situazioni contingenti (per esempio, impegno in qualche attività che ritarda l’identificazione della situazione pericolosa). Infine, non sono valutate le differenti rese di cartucce commerciali e ricaricate. Questo studio è quindi solo orientativo per la qualità di tiro ottenibile da un tiratore non agonista con una Walther PPK Manurhin rispetto a un’arma di notoria qualità.
I risultati (Fig. 1, fig. 4) indicano che una Walther PPK Manurhin 7,65 è adeguata per tiri piuttosto precisi perlomeno fino alla distanza di 15 metri, anche considerando un obbiettivo che avesse le modeste dimensioni di una mela. La mia impressione è che i tiri dall’alto verso il basso richiedano uno specifico esercizio, risultando un po’ più difficili dei tiri con le braccia tenute parallele al terreno. Inoltre, la resistenza incontrata nella breve precorsa del grilletto potrebbe inficiare gravemente la precisione nel caso di tiri in rapida successione, se non vi fosse adeguato addestramento. E’ un aspetto che valuterò in una prossima prova dopo adeguato esercizio.
La Walther PPK del Dopoguerra ha presentato in questa prova sufficienti caratteristiche di maneggevolezza, adattando opportunamente la presa. Le piccole dimensioni dell’arma sono per alcuni motivi un vantaggio, ma nella ricerca della precisione nel tiro diventa inevitabile chiedersi quale sia l’impugnatura migliore. Nel caso di un’arma ultracompatta mi rende perplesso l’idea di tenere i pollici allungati in avanti, poiché poggiano su una parte in movimento, ovvero sul carrello, struttura che arretra dopo il tiro. In un video pubblicato in Youtube l’esperto tiratore mantiene sollevato il pollice sinistro (1). Altri tiratori tengono piegato il pollice, che è, a mio parere, è una posizione più naturale. In alternativa, tirare in modo preciso con sola mano in posizione accademica non è semplice per l’elevata resistenza del grilletto. Nell’attesa di approfondire meglio la questione ho scelto la posizione indicata in fig. 2 (pollice sinistro piegato), che fornisce buona stabilità.
I limiti dell’arma risiedono principalmente in un’elevata resistenza del grilletto e in un mirino molto piccolo, che non è neppure sostituibile con un moderno Red Dot. Tra i prodotti dell’attualità si potrebbero certamente trovare in commercio semiautomatiche compatte con mire e meccanismi di scatto migliori, pur non raggiungendo l’estrema compattezza della Walther PPK 7,65. Perlomeno, in una delle più estreme compatte moderne si deve accettare un ulteriore mezzo centimetro di lunghezza, ulteriori 3 millimetri di larghezza e 2 millimetri di altezza. Inoltre, le moderne ultracompatte presentano un maggior costo e un calibro di 9mm o, più raramente, di 10 mm, che è associato a un maggior rinculo con l’effetto di una minore affidabilità nella precisione senza che vi sia un razionale nell’utilizzare una cartuccia di maggiore potenza e una palla di maggiore diametro per la difesa dall’attacco di un piccolo animale.
Armi compatte in calibro .22 sono un’ulteriore possibilità, sulla quale evito di esprimere un giudizio, non essendomi chiare le potenzialità difensive di questo minuscolo calibro nel contesto qui trattato.
Passo alle considerazioni conclusive. La mia speranza sarebbe che le armi divenissero oggetti per usi del tipo indicato in fig. 7, dove ci si può compiacere – spero che questo piacere sia condiviso anche dai militari – di vedere in versione portafiori una SIG P m/49, in altri tempi utilizzata dall’esercito svizzero e da Corpi dell’esercito danese. E’ un utilizzo delle armi adatto per un’“età dell’oro” o magari per chi avrà la fortuna di essere accolto in Paradiso, ma nel nostro difficile mondo possono comunque avere un diverso nobile utilizzo: consentire a un uomo di difendersi da un animale, che tenta di addentarlo e di sbranarlo; che sia un leone, un orso o più semplicemente un cane.
Vi è un’alternativa alla tradizionale arma? Esistono spray alla capsaicina (estratto del peperoncino) in grado di eiettare spruzzi fino a quattro metri. Sono stati confezionati in modo specifico per difesa da piccoli animali, quali il cane. Penso che siano un’alternativa interessante per coloro che desiderano tutelare l’integrità dell’animale aggressore a discapito della propria sicurezza. Infatti, è verosimile che l’animale non abbia neppure il tempo di avvertire il bruciore della capsaicina prima che i suoi denti giungano a contatto con l’aggredito. Infatti, qualora egli corresse alla modica velocità di 20 Km/ora, percorrerebbe 4 metri in 0,72 secondi. Ammesso di aver mirato giusto, almeno un primo incontro con la dentatura dell’aggressore sarebbe difficilmente evitabile. Ma come difendersi con uno spray a distanza tanto ravvicinata, se gli aggressori fossero due o tre?
Un’arma del tipo qui testato offre non solo il vantaggio di decidere il momento più opportuno per difendersi da 0 a 15 metri, ma anche la possibilità di dirigere un primo tiro verso il suolo (intendendo per “suolo” la terra di un campo o di un bosco, non certo il solido cemento!), all’avvicinarsi dell’animale o degli animali aggressori, per un tentativo di dissuasione con il rumore prodotto dallo sparo.
In conclusione, come accennato in un precedente articolo, non è più accettabile un divieto di difesa da animali pericolosi con gli strumenti più idonei allo scopo, perlomeno in quei luoghi nei quali lo sparare per difesa a un predatore con un’arma corta non costituisce rischio per altri esseri umani, ovvero nei boschi e in campagna ad adeguata distanza dalle abitazioni. Come esempio, si può calcolare che, se il tiro avvenisse dall’alto (1,5 metri) verso un obbiettivo posto a un’altezza di 80 cm e a una distanza di 10 metri tale adeguata distanza di sicurezza sarebbe di soli 20 metri.
Auspichiamo quindi che sia reso disponibile uno specifico porto d’armi per difesa da aggressione di animale.
Lo spray al peperoncino può essere comunque una valida soluzione difensiva per i più giovani, quando impegnati in attività all’aria aperta nei campi e nei boschi (pesca, podismo, ciclismo, ecc). Questo metodo difensivo può limitare significativamente le lesioni da morso di cane, a patto che l’aggressione non sia condotta da più animali. Per tale motivo sarebbe anche opportuno limitare il possesso di cani appartenenti a razze pericolose a un solo esemplare, salvo deroghe (possesso di cani pastore per il controllo delle greggi). E per tale motivo sarebbe anche auspicabile una lista di razze pericolose.
Riferimenti
1. hickok45. Walther PPK. In: https://www.youtube.com/watch?v=1wA0h7VH_aA
2. ROMATODAY. Pitbull senza guinzaglio azzanna tre passanti, carabinieri sparano e lo abbattono. https://www.romatoday.it/cronaca/pitbull-aggressioni-ucciso-carabinieri.html
Addendum del 23/3/2024
Nelle due successive prove a 13 metri, mirando alla lettera A di un bersaglio acd, ho ottenuto con complessivi 80 tiri una distanza media dal centro di 5,7 cm, confermandosi le buone prestazioni della Walther PPK 7,65 in termini difensivi in mani di modesta esperienza (il diametro di una mela Renetta è di circa 8 cm.). Un significativo miglioramento del risultato mi sarebbe stato possibile abbassando l’altezza della tacca di mira, per ottenere tiri più bassi, compensando la mia attuale tendenza al tiro verso l’alto causato inconsciamente dal timore dello strappo verso il basso. La fissità della tacca di mira impedisce di correggere temporaneamente queste personali – e, si spera, transitorie – particolarità; inoltre, è obbiettivamente un grave limite nell’utilizzo di quest’arma con finalità sportive.
Infine, ho deciso di ripetere la prova di tiro all’angolo inferiore sinistro del cartellone, essendo stato deludente il risultato precedente evidenziato in figura 5. Il risultato è stato ottimo con una distanza media dal centro di 2,1 cm (range 0 cm – 6,0 cm); il dischetto rosso è stato raggiunto da tre tiri (Fig. 8).
Il contrasto tra questo risultato e il precedente modesto risultato indica che le prestazioni di una Walther PPK 7,65 possono variare in modo importante in mani poco esperte, se considerate in termini sportivi, ma non necessariamente nell’ambito di una finalità difensiva, essendo in questo caso sufficiente una minore precisione.