Fig. 1 – Da sinistra: .454 Casull, .45 Long Colt, .357 Magnum, 9 mm Luger, 7,65 mm Browning

di Enrico Ganz

I recenti episodi di cronaca su gravi aggressioni di orsi contro frequentatori di aree montane nel Trentino non possono che condurci ad interrogarci sul modo di difenderci dall’attacco di un orso; una questione da tempo nota nel Nord America, che fino a qualche anno fa sarebbe invece sembrata del tutto accademica in Italia. 

Comincio dunque ad affrontare la questione, pensando alla mia arma corta preferita: la Walther Manhurin PPK 7,65 Browning. E’ un’arma che può interessare non solo per gli aspetti storici, ma anche per l’estrema compattezza, lo scarso peso e un calibro che, seppur desueto, è associato a cartucce con scarsa energia di rinculo a beneficio della precisione. Niente di meglio, si potrebbe dire, per difendersi da un malintenzionato orso in rapido avvicinamento contro di noi. 

La PPK fu introdotta nel 1932 dall’azienda Walther e fu progettata per la Kriminal Polizei tedesca, modificando il modello PP (Pistol Polizei), che incamera cartucce 7,65 Browning o 9 mm corto in rapporto alle sue due varianti. Gli agenti della sezione operativa Kriminal Polizei svolgevano attività investigativa in borghese; furono perciò dotati di una pistola d’ordinanza, che per l’epoca era di rispettabile calibro e che presentava una compattezza ineguagliata per un comodo porto, unita ad elevata affidabilità del meccanismo. Il sistema arma/cartuccia consentiva buona precisione di tiro su obbiettivi multipli grazie alla scarsa energia di rinculo e alla facile manovrabilità. A queste ottime caratteristiche si aggiunse un’ulteriore qualità: dopo la Seconda guerra mondiale la produzione fu trasferita dalla Walther, impedita nella produzione di armi, alla francese Manurhin; fatto questo, che contribuì ulteriormente alla qualità del prodotto. L’arma divenne quindi abbastanza iconica da comparire nel 1962 quale dotazione dell’agente segreto James Bond nel film “Agente 007 – Licenza di uccidere”, diretto da Terence Young. 

Ed eccoci ad immaginare una fantasiosa avventura del famoso 007: lo troviamo nella radura di un bosco, prossimo a un rifugio di pericolosi criminali; ma prima di raggiungere l’obbiettivo egli è intercettato da un orso bruno, che lo attacca. James estrae la sua Walther PPK e… e a questo punto della storia potremmo avere un  dubbio: ce la farà James a proseguire la sua missione dopo aver neutralizzato l’attaccante? O sarebbe stato preferibile affidargli una semiautomatica incamerante la cartuccia 9 mm Luger, più al passo con i nostri tempi? 

Per una risposta dobbiamo trasferirci negli Stati Uniti, dove è consentita la caccia all’orso con arma corta. Un cacciatore statunitense ci indicherà subito quattro tipi di cartucce adeguate per la caccia all’orso con arma corta: .357 Magnum, .44 Magnum, .454 Casull e .460 Smith Wesson. Al confronto, non solo la 7,65 Browning, ma anche la 9 mm Luger, adottata attualmente da vari Corpi di Polizia, appaiono piuttosto modeste. La tradizionale cartuccia per la caccia all’orso è la .357 Magnum, commercializzata dal 1935. In tempi più recenti, dal 1956, essa è stata affiancata dalla cartuccia .44 Magnum, che qualcuno può conoscere perlomeno per il film “Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan”. 

Quale preferire tra le due? 

Mentre la cartuccia .357 Magnum con palla da 158 grani fornisce meno energia di rinculo a beneficio della mira, la più potente .44 Magnum con palla da 240 grani è considerata raccomandabile nel caso di occasionali esemplari di grossa taglia (> = 250 Kg). Perciò, vi sono cacciatori che utilizzano un revolver .357 Magnum come prima arma e un revolver .44 Magnum come arma di riserva. Più recente è l’introduzione di cartucce molto potenti, in grado di fermare anche colossi quali il bisonte e il rinoceronte: la .454 Casull e la sua sorella maggiore, la .460 SW. Ma la loro energia di rinculo allo sparo non le rende certo accessibili ai principianti e ai tiratori occasionali. 

I consigli dei cacciatori statunitensi amanti dell’arma corta possono fornirci orientamenti, ma è bene ricordare che ci siamo posti il problema della difesa dall’attacco di un orso, mentre la caccia è l’opposto: è l’attacco a una preda. Per comprendere la differenza, si può notare che nella caccia l’animale è preferibilmente colpito quando si espone sul fianco; uno dei punti vitali si trova posteriormente alla base delle zampe anteriori. In questo caso il proiettile ha buona probabilità di penetrare in tessuti molli, fino a raggiungere gli organi vitali della cassa toracica. Per questo scopo può essere efficace anche il dardo di una balestra, arma che nel Nord America è consentita per la caccia. Nel difenderci da un attacco troviamo invece l’animale posto frontalmente; non ci resta che mirare sul suo muso, quindi su solide strutture ossee. In queste situazioni vi sono testimonianze di animali abbattuti solo a distanza molto ravvicinata, con gravi conseguenze per il tiratore, investito dalla massa dell’animale; e di animali colpiti a distanza con proiettili di una cartuccia .357 Magnum, che si sono stampati sul cranio senza perforarlo. Quindi, per il nostro James Bond potrebbe non esserci salvezza, affidandosi all’iconica Walther PPK; probabilmente, per poter proseguire il film, dovremmo introdurre in scena un esperto cacciatore (o meglio, una provetta e avvenente cacciatrice, considerando il soggetto), che atterri l’orso perlomeno con un revolver .357 Magnum o con una Glock 40 (10 mm Auto); divenendo infine compagna di James nel seguito dell’avventura. 

Possiamo allora essere finalmente tranquilli con un revolver .357 Magnum o con una semiautomatica in 10 mm Auto, analoga per potenza al .357 Magnum e ritenuta l’unica cartuccia per semiautomatica accettabile, per fermare l’attacco di un orso? La maggior parte dei cacciatori statunitensi concorda sul fatto che per l’attacco frontale di un orso una .44 Magnum o una 10 mm Auto è sufficiente per l’Ursus americanus o “orso nero” (che non deve essere confuso con il famigerato grizzly, ovvero con l’Ursus arctos horribilis); altri ritengono più prudente utilizzare cartucce più potenti, quali la .454 Casull e la .460 SW, in particolare per orsi di taglia particolarmente grande, per quanto rari. Queste più potenti cartucce sono raccomandate per grizzly e orsi polari (Ursus maritimus) di massima mole (500-700 Kg nel caso dell’orso polare).

In realtà, polvere e dimensione della cartuccia sono importanti per il risultato, determinando il corretto equilibrio tra massa, energia cinetica e velocità della palla, ma si può andar oltre la forza della carica, curando le caratteristiche della palla, ovvero la durezza della lega in piombo, la densità sezionale (rapporto tra massa e diametro al quadrato della palla), la morfologia e il rivestimento in lega di rame. Ottime appaiono per la caccia le palle tronco-coniche con parziale rivestimento e punta nuda; oppure le palle con punta cava e rivestimento con intagli per un’espansione controllata. Ma, come abbiamo detto, l’attacco impone un approccio diverso rispetto alla caccia. Durezza della lega in piombo, massa e densità sezionale della palla diventano gli elementi fondamentali, per contrastare in modo efficace l’attacco frontale di un animale superiore a 100 Kg. Una cartuccia .357 Magnum con una palla adeguatamente dura, full metal jacket e morfologia tronco-conica, pesante 158 grani, dovrebbe essere adeguata per contrastare l’attacco frontale di un orso, per quanto sia la sorella più piccola delle cartucce Magnum. Ma a questo punto si può slittare in considerazioni filosofiche, che conducono lo statunitense ad affermare “bigger is better” (ma anche gli antichi romani avrebbe detto: “Melius abundare quam deficere”), preferendo comunque le cartucce .44 Magnum, .454 Casull o .460 SW. con palle “dure” tra 260 e 300 grani.

Ma cosa significa concretamente “palla dura”?

Nel caso di masse della palla al limite inferiore dell’accettabile, come i 158 grani di una cartuccia .357 Magnum, sarebbe molto importante conoscerne la durezza, ma le aziende che la producono non la riportano. La produzione casalinga di palle (le cosiddette “cast”) impone l’utilizzo di piombo puro o di leghe del piombo, ricavate da materiali di recupero (tipiche le vecchie tubature idriche) in cui non è possibile conoscere sicuramente il rapporto piombo – antimonio – stagno, che determina la durezza della lega. La durezza di un metallo può essere determinata con il metodo Brinell, che considera il rapporto tra la forza applicata da un penetratore standard in carburo e la superficie dell’impronta, che esso produce sul metallo testato. Il piombo puro presenta HB 5,0; le leghe del piombo presentano durezza HB da 5 a 22,0. L’elemento che innalza la durezza è l’antimonio. La classica lega per le palle inserite nelle cartucce di armi a canna rigata presenta un rapporto Pb – antimonio – stagno di 90/5/5 e possiede HB 15-16. Chi è in grado di ricaricare le cartucce può trovare palle “hardcast” in Pb con HB 23. Uno svantaggio delle palle in Pb o in lega di Pb è il progressivo “impiombamento” delle canne, che compromette la qualità del tiro. Per questo motivo possono essere preferite palle blindate (full metal jacket), che presentano un nucleo in Pb morbido (Pb puro), ordinario o duro per quantità crescenti di antimonio. La blindatura delle palle per armi corte è tipicamente in lega rame – zinco 10 con spessore di 0,5 mm. In conclusione, si può comprendere quante variabili intervengano nella durezza di una palla. Quando si afferma “E’ opportuno utilizzare una palla “dura”, come dobbiamo e possiamo sceglierla in pratica per un determinato scopo? La modalità migliore per testare la durezza delle palle commerciali sarebbe di effettuare prove su teschi di orso, come usa fare Phil S., una guida dell’Alaska. Ma in Italia non vi è al momento tale abbondanza di scheletri d’orso da raccogliere nei boschi, per poter procedere a questa verifica. 

Ma la cartuccia e la palla non sono tutto: quali armi corte sono più adatte per la difesa? 

Per quanto sia possibile utilizzare una semiautomatica con una cartuccia abbastanza vigorosa per la media selvaggina, quale la 10 mm Auto – assimilabile alla .357 Magnum per velocità impressa ed energia espressa, ma con maggiore densità sezionale della palla -, vi è ampio accordo sul fatto che il revolver presenta maggiore affidabilità di una semiautomatica, non essendo soggetto al rischio di inceppamento. Inoltre, il revolver è in grado di incamerare cartucce più potenti della semiautomatica, quali le .44 Magnum, .454 Casull, .460 SW e .500 SW.  

Non vi è dubbio sul fatto che il revolver in doppia azione ha alcuni vantaggi su altri tipi di arma. In primo luogo, rispetto a una semiautomatica non è soggetto al rischio di inceppamento, a meno che il suo meccanismo non sia manomesso per una erronea riparazione o sia estremamente logoro. Per comprendere gli altri vantaggi ci vengono in aiuto testimonianze di cacciatori, che riferiscono di una guida investita e gravemente ferita da un orso, che riuscì a sparare con una sola mano, neutralizzando l’animale ed evitando quindi di essere ferita mortalmente. Questa azione non le sarebbe stata possibile con un fucile. Per inciso, da una situazione di questo tipo emerge l’opportunità di tenere il colpo in canna, nel caso che si opti per una semiautomatica.

Un’altra questione riguarda la più adeguata lunghezza della canna. Negli Stati Uniti per la caccia sono frequentemente utilizzate canne tra 7” e 12”. Nel caso della difesa da attacco la lunghezza della canna non è evidentemente un elemento altrettanto importante, trovandosi l’obbiettivo a distanze non superiori a 5-15 metri; in tale situazione anche canne corte, tra 2,5 e 3,5 pollici, sono considerate adatte a garantire a palle di massa 240-300 grani velocità ed energia adeguate per il risultato. Con una canna da 3,5” e una cartuccia .454 Casull la mira è ancora accettabile a distanze di 10-15 metri, se il revolver è adeguatamente costruito, in modo da contenere il rilevamento e il rinculo; e se vi è stato un adeguato allenamento di tiro.

A questo punto è tutto risolto, abbiamo trovato il modo per difenderci dall’attacco di un orso, saremo tranquilli se andremo a fare un’escursione in aree popolate da questi animali? Per nulla, come può emergere dalle seguenti domande: 

– quando mai in Italia è stata concesso a un escursionista un porto d’armi per difesa da animali potenzialmente pericolosi? 

  • Quante persone sono in grado di reggere saldamente un revolver che pesa 1,6 – 2 Kg, cartucce comprese? E a gestire con questo revolver l’energia di rinculo di una cartuccia .44 Magnum o superiore? 
  • Quanto costa un percorso di addestramento con calibri Magnum? 

Affrontiamo la prima questione.

I recenti episodi di cronaca consentono di comprendere che nelle aree montane percorse dagli orsi bruni vi la concreta possibilità di incontrare tali animali e la concreta possibilità di essere attaccati, riportando ferite anche mortali o comunque invalidanti. Il rischio è destinato ad aumentare, considerando l’aumento della popolazione di orsi, che non appare contrastabile per la ben nota opposizione di varie associazioni di animalisti. 

Da questi fatti si definisce un ben fondato rischio, al quale corrisponde, secondo prudenza, un ben fondato timore. 

Eppure, in Italia non è facile ottenere un porto d’armi per difesa da attacco di animali  e in questa “opposizione” delle Questure non vi può essere altra ragione fondata che un preciso e comprensibile timore: che questa incontestabile motivazione possa diventare un pretesto adotto da chiunque voglia ottenere un porto d’armi per altri motivi. 

Ma questo timore, traducendosi in un diniego, ha comunque per effetto di ignorare la reale condizione di rischio sopra riportata. 

In definitiva, tale condizione di rischio si è definita per la decisione di reintrodurre l’orso bruno nel Nord Italia senza preoccuparsi per l’incolumità degli esseri umani. Infatti, nel Decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997 n° 357, al fine di consentire l’introduzione di una specie o di una popolazione non autoctona, qual è l’orso bruno sloveno, è stata posta come condizione “che non sia arrecato alcun pregiudizio agli habitat naturali nella loro area di ripartizione naturale né alla fauna e alla flora locali. (…)”. senza preoccuparsi di aggiungere “e che non sia messa a rischio l’incolumità degli esseri umani”…

Ora, è ben evidente che uno studio sulla mortalità da attacco di orso sloveno nel popoloso territorio italiano non poteva essere disponibile prima dell’introduzione di questo animale in Italia. Ma non dovendosi preoccupare dell’incolumità degli esseri umani in termini di legge…, l’introduzione di questo animale è stata effettuata secondo legge, utilizzando un’inappropriato studio sugli incidenti avvenuti in passato (quando non era diffuso l’escursionismo) per interazioni tra l’uomo e l’orso trentino (che per genetica non è necessariamente l’orso sloveno), ormai quasi estinto!

A quanto pare, anche il lungo – e certamente parziale – elenco di persone decedute negli Stati Uniti per attacco di orso nero, riportato in Wikipedia, poteva essere ben ignorato… 

E’ dunque evidente che in questa sciagurata decisione vi è la responsabilità dello Stato e della regione Trentino-Alto Adige. E’ quindi necessario che le Istituzioni trovino un rimedio, considerando che tale condizione di rischio è inaccettabile. Se si deciderà di accogliere le istanze delle associazioni di animalisti, per le quali evidentemente la vita degli orsi vale quanto e più di una vita umana, la soluzione obbligata dovrà essere la concessione del porto d’armi per difesa con limitazione del porto alle aree infestate da grandi predatori. Questa soluzione non avrà alternative, quando l’interazione tra uomo e tali animali produrrà altre vittime. Non pensi qualcuno di cavarsela proponendo, come alternativa, in modo molto poco etico, per non dire “furfantesco” risarcimenti statali o regionali ai parenti delle vittime, utilizzando il denaro della collettività! E, ancor peggio, barattando la vita umana con il denaro. 

Seconda questione: “Quante persone sono in grado di reggere saldamente un revolver che pesa 1,6 – 2 Kg, cartucce comprese, come lo splendido Smith Wesson Performance Center 460 XVR con canna 3,5″?” E quanti avrebbero la prontezza di riflessi per scaricare almeno un efficace colpo difensivo sul massimo di tre colpi che per esperienza possono essere esplosi da chi è stato colto di sorpresa dall’attacco di un orso, pur avendo l’arma in posizione agevolmente accessibile? 

Tralascio un’analisi di questa questione, poiché non ci interessa la precisa percentuale di quanti non sarebbero in grado di gestire un’arma corta camerata con le potenti cartucce indicate per la difesa da attacco di un grande predatore. Al di là dei numeri precisi, è ben certo che una determinata percentuale di persone non sarebbe in grado di difendersi con un’arma corta, anche se fosse autorizzata a portarla. Quindi, la generosa concessione di un porto d’armi per difesa personale non potrebbe comunque annullare le gravi responsabilità per aver reintrodotto una popolazione non autoctona senza considerare l’incolumità degli esseri umani.

Terza questione: il costo dell’addestramento per un principiante. Il costo sarebbe davvero proibitivo se si decidesse di utilizzare per tale scopo centinaia di cartucce in calibro .45. Per esempio, una sola cartuccia .454 Casull costa almeno 2,20 euro e il costo lievita per cartucce più potenti (.460 SW); ma anche cartucce meno potenti e poco commercializzate possono avere un costo non indifferente (10 mm Auto: 1 euro l’una). Quindi, è certamente preferibile iniziare con tiri a 10 – 15 metri con la più economica cartuccia .38 Special, che ha inoltre il vantaggio di scarsa energia di rinculo, per passare quindi alla .357 Magnum (0,4 – 0,6 euro/cartuccia), e infine a tiri centellinati con la .44 Magnum, non prima di aver studiato varie questioni inerenti al tiro al bersaglio. Ulteriori modalità per migliorare la mira e il controllo complessivo dell’arma sono una pistola a raggio laser (per es la NLT Sirt 10, non facile da reperire e impostata sul modello delle semiautomatiche Glock) ed prove di scatto e di mira “a vuoto”, una possibilità che è tuttavia limitata alle armi che consentono di arretrare il cane sulla prima tacca, come nella vecchia SIG p210 (in caso contrario vi è il rischio di danneggiare l’otturatore). Questo percorso è comunque costoso ed è fattibile solo se vi è una personale attrazione per il tiro a segno, a prescindere da altre finalità. L’arma deve diventare, come dire, un oggetto affettivo, del quale si cura con attenzione ogni aspetto, in particolare la conoscenza di ogni suo componente e di ogni movimento e rumore del suo meccanismo; la precisa regolazione della tacca di mira e la pulizia. In caso contrario un percorso di addestramento potrebbe tradursi in frustrazione e scarsi risultati. Per questo motivo, per chi non sia interessato a confrontarsi in modo continuativo con il tiro al bersaglio è probabilmente preferibile orientarsi su alcune sessioni di tiro con istruttore alla distanza di 15 metri, utilizzando un revolver a canna media (4 – 5”) in calibro .357 Magnum, per passare successivamente, se possibile, a un revolver a canna corta in .44 Magnum alla distanza di 7 metri su un bersaglio dal centro ampio, quale l’acd. Si può pensare, per esempio, allo Smith & Wesson 69 Combat Magnum 2,75″, che pesa 970 grammi con lunghezza complessiva di 20 centimetri). A questa modesta distanza l’energia di rinculo scaricata da un revolver di questo tipo dovrebbe essere tale da non compromettere eccessivamente la mira. Per coloro che non tollerano l’energia di rinculo e il rilevamento di una .44Magnum a canna corta può essere valutata una semiautomatica in 10 mm Auto con canna di almeno 4″ (per es. la Glock 20 e la Colt Delta Elite). 

Ma esercitarsi a distanza tanto corta è davvero utile? Qualcuno potrebbe obbiettare che una distanza di 7 metri è troppo corta. Infatti, è stato notato che gli orsi cominciano ad attaccare avvicinandosi lentamente, come se stessero elaborando l’azione, per accelerare in un secondo momento. Quindi, prudenzialmente l’animale dovrebbe essere fermato prima che vi sia elevata probabilità di essere investiti ad elevata velocità dalla sua massa. E’ dunque preferibile esercitarsi su una media distanza? Una maggiore distanza di tiro impone per la precisione di mira una canna più lunga (5-6”) e un revolver più pesante (1300-1600 g). Questo fatto potrebbe essere limitante per chi non abbia costante esercizio, convincendolo infine a lasciare a casa l’arma, per non aggiungere un ulteriore sgradito peso allo zaino. Un “leggero” revolver .44 Magnum con canna 2,7” potrebbe non essere in grado di evitare l’impatto con l’animale, ma perlomeno consente di devitalizzare con certezza il bersaglio a distanza ravvicinata, evitando di essere morsi mortalmente, Queste le riflessioni di cacciatori statunitensi, filtrate e rifinite tramite la mia modesta esperienza presso un Centro di Tiro. 

La scelta di una semiautomatica compatta incamerante la cartuccia 10 mm Auto è considerata un’alternativa valida ai revolver .357 Magnum e .44 Magnum, ma implica ulteriori conoscenze e impegni, quali la pulizia e la manutenzione dell’arma, molto più semplice nel caso del revolver. Inoltre, può essere inquietante sapere che una semiautomatica, seppur infrequentemente, può incepparsi al momento del tiro.

Fig. 2

Per comprendere la difficoltà di un percorso formativo mostro in fig. 2 l’esito di una mia sessione di tiro con un revolver Smith Wesson Performance Center 627-V Comp 5” incamerato con cartucce .38 Special. La deviazione a sinistra continuava ad essermi imputata a uno strappo sul grilletto, finchè, una sera, esaminando attentamente la tacca di mira, cominciai a sospettare che non fosse perfettamente allineata con il mirino e provai a girare la vite di 2/6 di giro e infine, dopo un’altra prova di tiro, di un altro 1/6 di giro. In effetti, il risultato non mancò in termini di allineamento, utilizzando la più potente cartuccia .357 Magnum. Cosa era accaduto? Per qualche motivo già all’acquisto dell’arma la tacca era stata spostata di mezzo giro di vite! Nel frattempo, prima di comprendere il problema, non semplice per un principiante, ho dovuto sostenere una determinata spesa in cartucce e in affanni, pensando: “Per quale motivo non vi è verso di mirare correttamente?” Ma ancora i risultati continuavano ad essere frustranti con le .357 Magnum per i colpi bassi, questi sì, causati da uno strappo sul grilletto. Tuttavia, riducendo gli spari da 50-100 a 25 ottenni un notevole miglioramento sulla distanza di 15 metri, perlomeno nei limiti di una finalità difensiva, se non sportiva (Fig. 3). La causa dei colpi fuori bersaglio era l’affaticamento per il sostegno prolungato di un’arma che pesa 1450 grammi, cartucce comprese, nonché le prolungate pressioni del dito indice su un grilletto con lunga corsa e discreta resistenza in doppia azione, una caratteristica negativa tipica dei revolver. Tuttavia, anche questo problema tende a risolversi con l’esperienza: potremo infatti cominciare ad accorgerci che, per non affaticare il dito indice, il grilletto può essere rapidamente premuto per la maggior parte della sua corsa fino al terzo rumore che si ode per l’attivazione del meccanismo di rotazione del cilindro (primo rumore, quasi impercettibile: arretramento del dente di arresto del tamburo; secondo rumore: impegno del bocciolo sui denti dell’estrattore stellare del cilindro; terzo rumore – o secondo rumore per chi non ode il primo – ritorno del dente di arresto del tamburo); da quel momento la pressione deve diventare graduale per quel minimo tratto che resta da percorrere prima di far scattare il cane sul percussore. In tal modo l’affaticamento si riduce e i tiri bassi magicamente scompaiono (Fig. 3).

In definitiva, per una finalità difensiva può essere appagante riuscire a collocare nel settore A di un bersaglio acd i primi 5 colpi. Un ulteriore buon obbiettivo può essere il piazzamento di 10 tiri/10 su un’area circolare di 15 cm a una distanza di 15 metri. Non è necessario perfezionarsi fino a mitragliare e “craterizzare” il bersaglio con 50 – 100 colpi su un diametro di 10 cm, se non per finalità sportiva. 

Fig. 3

Quale alternativa è possibile alla difesa con arma? Alcuni animi delicati hanno proposto lo spray al peperoncino. Tra le varie osservazioni che mettono in dubbio la sua sicurezza ne cito alcune, che si riferiscono comunque all’uso profilattico dello spray per l’incontro  “pacifico” con un orso, ma non a un attacco frontale in corso:

– lo spray può essere inefficace in giornate ventose;

– lo spray non è utilizzabile all’interno di una tenda da campeggio, se l’animale vi si affaccia all’interno;

– lo spray ha scadenze a breve termine, che possono essere dimenticate, mentre cartucce ben conservate sono ben funzionanti anche dopo decenni;

– lo spray costituisce un rischio di grave incidente negli aeromobili in caso di sua accidentali attivazione. Questo rischio è particolarmente considerato negli USA a causa di  frequenti trasferimenti intestatali per escursioni e caccia.  

Ma soprattutto non vi è adeguata esperienza (e forse non vi è in assoluto esperienza) sulla sua efficacia in caso di improvviso attacco frontale. E’ verosimile che l’animale riesca a investire il suo obbiettivo prima di ritirarsi per l’effetto irritante dello spray. Neppure un’arma utilizzata a breve distanza ha talvolta evitato al tiratore di essere investito dall’animale, ormai colpito a morte, con grave traumatismo per l’impatto. Chi può sentirsi veramente sicuro con uno spray al peperoncino al seguito? In proposito può essere interessante ascoltare il caso di attacco subito da una guida, Mark U., avvenuto nel settembre 2018 in Wyoming, più precisamente 3,5 km a sud-ovest di Mammoth Hot Springs nel parco di Yellowstone. L’uomo era in compagnia di un cacciatore con balestra; giunti presso un alce abbattuto dal cacciatore, la guida appoggiò a terra zaino e pistola, quando fu attaccata improvvisamente da un orso. Seppur ferito, l’uomo riuscì in un primo tempo ad allontanare l’orso con uno spray al peperoncino, ma fu successivamente sbranato, mentre il cacciatore si era allontanato in cerca di soccorso.  

Quando un orso decide di attaccare, per difendere la sua prole o perché più semplicemente ha la luna storta, vi è un’altra alternativa valida all’arma corta e al piccante del peperoncino? 

Certamente sì: pregare!

 Ma per quanto io consideri importante la preghiera, non è questa la soluzione che personalmente apprezzo nell’imminenza di un attacco alla mia persona, in particolare se si tratta di un animale. 

Conclusioni

La concessione di un porto di arma corta per difesa limitato alle aree popolate da orsi e lupi dovrà essere seriamente considerata quando compariranno nell’elenco altre vittime di aggressioni nell’indifferenza delle Istituzioni e delle associazioni di animalisti; associazioni, per le quali abbattere un animale è atto di crudeltà, mentre l’abbattimento di un uomo da parte di un animale merita, quale principale preoccupazione, la tutela dell’animale che ha causato il danno. Se a fronte di ulteriori vittime le Questure si ostineranno a negare tale porto, è ben certo che non potrà comunque essere accettata la negazione al diritto di difendersi e di sopravvivere con i mezzi ritenuti personalmente più adeguati, posto che lo Stato sia impossibilitato ad offrire adeguata difesa e si dimostri anzi indifferente all’incolumità degli escursionisti e invece molto attento alla tutela di orsi e lupi. Deve essere inoltre ben chiaro che possiamo considerare “carta straccia” qualunque legge, che indirettamente favorisca il verificarsi di attacchi mortali da parte di orsi nei confronti di esseri umani, vietando l’abbattimento di questi animali, quando questa soluzione, lungi dall’essere atto di crudeltà, abbia lo scopo di contenerne la diffusione a tutela della vita umana. E questo con tutto il rigore di un’attenta valutazione morale. Antigone docet. E’ infatti necessario rispetto per la vita umana. Ma è anche necessaria coerenza: negli Stati Uniti la caccia con arma corta e la possibilità di ottenere facilmente un porto d’armi per difesa sono storicamente maturate in un’area geografica ostile, percorsa a suo tempo da animali pericolosi per l’incolumità dell’uomo: orsi, lupi, bisonti, leoni di montagna. Dato che in Italia si vuole percorrere artificiosamente la stessa strada, introducendo orsi, lupi, e vedremo che altro, ottenendo peraltro pessimi risultati in conseguenza dell’elevata antropizzazione di questo Stato, come l’ibrido lupo-cane e l’incontrollata proliferazione di orsi, che si sono dimostrati potenzialmente mine vaganti per gli escursionisti, è necessario un minimo di coerenza, adottando le stesse regole statunitensi per il rilascio del porto d’armi per difesa e per l’utilizzo delle armi da caccia. Oppure, come sarebbe preferibile, per evitare i noti drammi derivanti dalla libera circolazione di armi negli Stati Uniti, eradicare i nostri boschi dalla presenza di orsi e lupi, come avevano ben pensato di fare i nostri progenitori. 

 

[Nota 1]. Ricordiamo che l’orso bruno, diffuso in Europa e in Asia,  è più massiccio dell’orso nero americano, potendo superare la massa di 300 Kg. 

 

 

Bibliografia

Le informazioni sono state ottenute da numerosi siti web: articoli, commenti, video, blog. Cito i seguenti scritti e video: 

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Video:

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