di Enrico Ganz

 

Introduzione

Attualmente una delle più comuni tecniche di ernioplastica per la correzione dell’ernia inguinale monolaterale non recidiva, sia non complicata, sia complicata da strangolamento (27), prevede l’utilizzo di una rete protesica posizionata nel canale inguinale tra la fascia trasversalis e la fascia del muscolo obliquo esterno tramite un’incisione condotta parallelamente e cranialmente all’inguine.

Un’alternativa è il posizionamento della protesi in sede pre-peritoneale per questa stessa via o per via laparoscopica. Se l’approccio è per via trans-inguinale, la collocazione della protesi in sede interfasciale è equivalente a quella in sede pre-peritoneale in termini di efficacia e di difficoltà di esecuzione (55).

Ancor oggi vi è un Centro altamente specializzato nell’ernioplastica secondo Shouldice, una tradizionale tecnica che non prevede l’utilizzo di protesi (64). Per quanto siano riferiti complessivamente ottimi risultati, si deve considerare che l’ernioplastica secondo Shouldice è associata a maggiore incidenza di recidiva erniaria rispetto alle tecniche con protesi se l’ernia è recidiva, nella fascia di età > 50 anni e laddove non vi siano chirurghi specializzati in questa tecnica (66).

Un’altra possibilità è la correzione dell’ernia per via laparoscopica (tecnica TAPP, trans-abdominal pre-peritoneal), ma, a mio parere, essa non presenta significativi vantaggi, mentre comporta un aumento del tempo di degenza, maggiori costi sanitari e il rischio di gravi, seppur infrequenti, complicanze, in particolare perforazioni viscerali, ematomi per lesioni dei vasi epigastrici o di vasi otturatori aberranti, laparoceli e occlusioni da aderenze viscero-protesiche in caso di cedimento della sutura peritoneale (5,7,32,48,60,61).

Un’alternativa è la tecnica TEP (total extra-peritoneal), che non espone al rischio di lesioni viscerali, ma presenta maggiori difficoltà tecniche e maggiore rischio di complicanze vascolari (55). Entrambe le tecniche comportano cicatrici di piccole dimensioni, ma in posizioni maggiormente visibili rispetto alle tecniche trans-inguinali. Per questi motivi le tecniche laparo/endoscopiche non presentano vantaggi rispetto alle tradizionali tecniche transinguinali per la correzione dell’ernia inguinale non recidiva. Inoltre, fatto di non trascurabile importanza, la scelta di un sistematico approccio laparoscopico comporta la creazione di una lista di attesa che in alcune realtà ospedaliere non è sostenibile, rallentando l’espletamento della restante attività chirurgica in anestesia generale. L’approccio laparoscopico rimane comunque una risorsa per la correzione di voluminose ernie inguinali recidivate dopo il posizionamento di una protesi in sede interfasciale.

Scopo di questo scritto è di richiamare l’attenzione su alcuni dettagli tecnici relativi all’ernioplastica con protesi interfasciale, che potrebbero essere di una certa importanza per la soddisfazione del paziente operato e per ridurre il rischio di complicanze. 

L’ernioplastica inguinale con protesi interfasciale

Lo scopo di questa procedura è di collocare una protesi laminare e retiforme in materiale biocompatibile non assorbibile, tra la fascia trasversalis e la fascia del muscolo obliquo esterno. La protesi poggia sulla fascia trasversalis e stimola la produzione di collageno; ne risulta una fusione fibrotica tra la protesi e la fascia in un’unica solida struttura.

La collocazione della protesi è identica sia nell’ernia inguinale di tipo indiretto sia nelle ernie di tipo diretto o misto. Diversa è invece la ricostruzione che si rende necessaria sul piano della fascia trasversalis prima del posizionamento della protesi interfasciale. Nel caso dell’ernia indiretta il posizionamento della protesi è preceduto dal ridimensionamento dell’anello inguinale interno, che può essere ottenuto con uno o più punti oppure con una seconda protesi. Questa protesi può essere modellata in forma di cono, il cosiddetto “plug” (17), oppure in forma di disco con foro centrale per il passaggio del funicolo (56). Mentre il plug è inserito nell’anello inguinale a lato del funicolo, il disco è inserito e disteso in una tasca pre-peritoneale opportunamente ricavata attorno all’anello inguinale interno, gonfiando il palloncino di un catetere Foley (9). In entrambi i casi è opportuna una stabilizzazione della protesi con alcuni punti.

Nel caso dell’ernia inguinale diretta o mista la lacuna della fascia trasversalis può essere colmata con una protesi in sede pre-peritoneale e con una protesi in sede interfasciale tra loro interconnesse (sistema PHS (29)); in alternativa può essere chiusa con una semplice sutura, che sarà poi rinforzata da una protesi interfasciale. Numerose varianti dell’ernioplastica sono determinate dalle caratteristiche dell’ernia, dalle caratteristiche della protesi e dagli orientamenti di ciascun operatore: vi è chi preferisce ancorare la protesi interfasciale con punti o suture alle strutture contigue (tecnica di Lichtenstein (24)) e chi non fa uso di tali ancoraggi  (tecnica di Trabucco (56)). In alternativa all’ancoraggio con punti possono essere utilizzate colle biologiche (6,10) o chimiche (37). Nel caso di protesi Progrip non vi è necessità di provvedere all’ancoraggio, essendo tutta la superficie della rete rivestita da miniancorette che ne favoriscono un’omogenea adesione alla fascia trasversalis, come un velcro (33).

Fig. 2

A. Gli aspetti estetici

Gli aspetti estetici possono essere considerati di modesta importanza, essendo la sede dell’incisione normalmente coperta dagli indumenti. Tuttavia non vi è motivo di non porvi attenzione, considerando che non si richiede alcun dispendio di risorse e di tempo. Inoltre, per quanto da me osservato, un accesso mini-invasivo non è semplicemente un obbiettivo estetico: pazienti con piccole incisioni hanno un decorso caratterizzato da minore dolore e da minore disagio correlabile all’edema locale.

– La fattibilità di un accesso mini-invasivo

In tempi passati era piuttosto comune praticare un’incisione cutanea lunga non meno di 10 centimetri indipendentemente dallo spessore del pannicolo adiposo sottocutaneo. Attualmente non è infrequente che un’incisione sia lunga 7 centimetri. Tuttavia l’esecuzione di un’ernioplastica tramite un’incisione di 3,8 – 5 centimetri è fattibile in un paziente con adiposità normorappresentata e con ernia di medie dimensioni (Fig. 3). Nella mia esperienza un’incisione con lunghezza contenuta entro i 5 cm è ormai praticata in tutti i pazienti che presentano nell’area di incisione uno spessore del pannicolo adiposo non superiore a 3 cm. Per poter conseguire questo obbiettivo è essenziale curare tre aspetti: una corretta centratura dell’incisione, un’efficace analgesia e  un’adeguata esposizione del campo operatorio.

– L’incisione

L’estremità caudale dell’incisione deve corrispondere alla proiezione cutanea dell’anello inguinale esterno. Questo punto è localizzato e segnato con penna dermografica prima dell’intervento, non potendo essere reperibile dopo la delimitazione del campo operatorio con i teli. Invitato il paziente a porsi in posizione clinostatica, il dito indice è inserito sotto la radice dello scroto, sul suo versante anteriore, ed è spinto sopra il tubercolo pubico, ricercando in direzione craniale e leggermente laterale l’arcata fibrosa che delimita cranialmente l’anello inguinale esterno. L’incisione è condotta da questo punto in direzione della spina iliaca anteriore superiore omolaterale per almeno quattro centimetri ed è eventualmente ampliata secondo necessità successivamente alla sezione dello strato sottocutaneo.

– L’analgesia

Un’analgesia efficace facilita le manovre in uno spazio che è certamente piuttosto angusto quando l’incisione non supera i quattro centimetri. Se si utilizza l’anestesia locale, si deve tenere presente che l’esclusiva infiltrazione dei piani lungo la linea di sezione cutanea e sottocutanea non è frequentemente sufficiente, in particolare se il paziente è giovane. L’anestesia locale deve essere integrata da un’anestesia trunculare, infiltrando il nervo ileo-inguinale e il nervo ileo-ipogastrico. Si deve considerare che questi nervi sono importanti nel mediare la sensibilità della regione inguinale e che sono riscontrati con elevata frequenza negli studi anatomici: il nervo ileo-inguinale è riscontrato nell’84% e il nervo ileo-ipogastrico è riscontrato nel 98% dei casi (21,35). Il nervo ileo-inguinale corre anteriormente e parallelamente al funicolo dopo essere transitato per l’anello inguinale interno; il nervo ileo-ipogastrico, quale ramo cutaneo anteriore, perfora il muscolo obliquo interno, abbandonando il piano tra il muscolo trasverso e il muscolo obliquo interno, circa 3-4 cm cranialmente all’anello inguinale interno e 0,2-3,5 cm caudalmente alla spina iliaca anteriore superiore, poi scende medialmente e parallelamente al funicolo, coperto dalla fascia del muscolo obliquo esterno, che è perforata dai suoi rami cutanei terminali in prossimità dell’anello inguinale superficiale (12,19,21,30,35,40,41,43,62).

Nella mia esperienza non utilizzo una guida ecografica per l’anestesia trunculare. La guida ecografica probabilmente consentirebbe di ottimizzare la somministrazione di anestetico locale, consentendo di individuare visivamente il piano tra il muscolo trasverso e il muscolo obliquo esterno tra la cresta iliaca e il bordo costale; infiltrando l’anestetico in questo piano, si ottiene un’analgesia nel quadrante addominale inferiore omolaterale (“TAP block”) (15,16,31). Tuttavia, la reale utilità di un blocco ecoguidato non è stabilita con certezza (42). Il fatto che si possa ottenere un’adeguato blocco anche senza guida ecografica poggia a mio avviso sulle seguenti osservazioni. In primo luogo non è necessario bloccare selettivamente entrambi i nervi: l’infiltrazione di un nervo si traduce nell’infiltrazione del secondo nervo per diffusione dell’anestetico (49). In secondo luogo, la spina iliaca anteriore superiore costituisce un buon repere per individuare l’area in cui i due nervi transitano: il nervo ileo-inguinale entra nella parete addominale, ponendosi tra il muscolo trasverso e il muscolo obliquo interno, 2-4 cm medialmente e 3-5 cm caudalmente alla spina iliaca anteriore superiore; il nervo ileo-ipogastrico entra nella parete addominale 2-4 cm medialmente e 0,2-3,5 cm caudalmente alla spina iliaca anteriore superiore (21). Quindi, si può individuare un’area in cui l’infiltrazione senza guida ecografica consente di ottenere comunque un sufficiente effetto analgesico (57,58), se effettuata nei piani più profondi.

Per l’infiltrazione anestetica utilizzo un comune ago da iniezioni lungo 3,8 cm e con diametro 21G (0,8 mm). La lunghezza è sufficiente per raggiungere i piani più profondi nella maggior parte dei casi e il diametro è tale da non causare lesioni viscerali nel caso di una penetrazione nel cavo addominale. Il punto d’ingresso dell’ago è posto 5 cm medialmente alla spina iliaca anteriore superiore e l’ago è orientato verso la linea che congiunge la spina iliaca al tubercolo pubico. L’infiltrazione inizia nel piano più profondo ed è proseguita senza interruzione mentre l’ago è ritirato per circa due centimetri. L’ago è poi riaffondato, dopo aver spostato la sua direzione di qualche grado in direzione laterale senza interrompere l’infiltrazione (Fig. 2).

Per l’intera procedura, comprendente l’anestesia locale sulla linea di incisione, utilizzo 25 ml di mepivacaina cloridrato 2% (per una persona di circa 70 Kg; 7 mg mepivacaina/Kg massa corporea) con l’aggiunta di 5 ml di bicarbonato di sodio alla concentrazione di 1 mEq/ml. L’anestesia è completata dopo la sezione del sottocute, infiltrando il piano sottofasciale con alcuni millilitri di mepivacaina 2% prima di sezionare la fascia del muscolo obliquo esterno. Nel caso di pazienti iperestesici l’infusione di paracetamolo 1000 mg ev prima dell’ingresso in sala operatoria e una sedazione con midazolam ev all’inizio dell’intervento sono ulteriori provvedimenti utili per ottenere un’adeguata analgesia in quasi la totalità dei casi.

– L’esposizione del campo operatorio

In aggiunta alla corretta centratura dell’incisione e a un’analgesia efficace, per un approccio mini-invasivo è essenziale che l’esposizione del campo operatorio sia ottimizzata, utilizzando i più opportuni divaricatori. Personalmente trovo utile un piccolo divaricatore autostatico tipo Weitlaner a punte smusse e un retrattore tipo Middeldorpf od Ollier con estremità 20 x 22 mm; quest’ultimo consente di accedere nei diversi momenti dell’intervento alla regione pubica o all’anello inguinale interno, retraendo rispettivamente l’angolo caudale o l’angolo craniale dell’incisione (Fig. 1). Quando è necessario chiudere un’ampia lacuna della fascia trasversalis, l’esposizione del campo operatorio è meglio ottenuta sostituendo il Middeldorpf con un robusto Richardson-Eastman, collocato usualmente all’estremità caudale della ferita, per ampliare le possibilità di manovra in sede sovra-pubica, ma talvolta utile anche alla sua estremità craniale, quando sia invece opportuno ampliare la visuale sull’anello inguinale interno (Fig. 7).

– L’incisione cutanea

L’incisione cutanea può essere praticata indifferentemente con bisturi o con elettrobisturi. Se si preferisce l’elettrobisturi è opportuno evitare bruciature lungo i bordi cutanei, che potrebbero tradursi in una cicatrizzazione ipertrofica. Quindi è bene utilizzare non solo la modalità “Cut”, ma anche un valore basso di taglio, tra 10 e 15.

Fig. 3

– La sutura cutanea

La sutura intradermica è ritenuta un metodo adeguato per ottenere una cicatrice poco visibile. A mio parere una valida alternativa è una sutura continua in filo assorbibile con i passaggi tipici del punto Donati, intervallati da spazi di circa un centimetro (Fig. 1). La successiva applicazione di nastrini adesivi tipo Steri-Strip in questi spazi consente di stabilizzare ulteriormente i margini della ferita. Il vantaggio di questa tecnica è di ridurre al minimo la quantità di materiale estraneo in sede intradermica, evitando la possibilità che esso stimoli la produzione di collageno per attivazione delle cellule mediatrici dell’infiammazione.  Un’alternativa è la sutura con graffette; è una soluzione meno economica senza apprezzabili vantaggi né sul piano estetico, né sul risparmio di tempo, che è trascurabile su una corta incisione.

 

B. L’emostasi

E’ ben noto quanto sia importante l’accuratezza dell’emostasi nelle piccole logge anatomiche, quali la loggia tiroidea e il canale inguinale. Sanguinamenti che nel cavo addominale sarebbero trascurabili, diventano importanti in queste sedi, al punto da poter determinare una seria ostruzione delle vie respiratorie nel caso di un ematoma della loggia tiroidea dopo tiroidectomia. Meno drammatico è un ematoma nel canale inguinale, ma esso può essere comunque tale da determinare un significativo prolungamento del dolore postoperatorio. E’ evidente l’importanza di controllare preoperatoriamente l’emocromo, il PTT e l’INR.  Un’eventuale terapia con dicumarolici deve essere sospesa almeno quattro giorni prima dell’intervento, essendo nella maggior parte dei casi adeguato questo intervallo di tempo per la normalizzazione dell’INR. Se l’anticoagulante è un inibitore diretto del fattore Xa o della trombina, il farmaco dovrebbe essere sospeso due giorni prima. Tuttavia, in caso di necessità terapeutica, se il trattamento è a basso dosaggio, questo tipo di farmaci può essere sospeso anche solo dodici ore prima di una procedura chirurgica. Gli anticoagulanti sono sostituiti da un’eparina a basso peso molecolare. Nel caso dei dicumarolici l’INR deve essere valutato il giorno precedente o il giorno in cui è eseguito l’intervento ed è raccomandabile che non superi il valore di 2,0.

Fig. 4

Una terapia a termine con clopidogrel deve essere conclusa prima di effettuare un’ernioplastica in elezione e l’intervento deve essere effettuato almeno una settimana dopo la sua sospensione. Se la terapia è cronica, il farmaco dovrebbe essere sospeso cinque giorni prima dell’intervento e nei cinque giorni seguenti, salvo contro-indicazioni alla sua sospensione.

Nei rari casi in cui il cardiologo controindichi la sospensione dell’anti-aggregante o dell’anticoagulante è opportuno valutare criticamente la reale necessità di un’ernioplastica in un paziente con elevato rischio vascolare ed emorragico.  Gli anticoagulanti orali sono un ben noto fattore di rischio per sanguinamento postoperatorio e per ematoma dopo un’ernioplastica (52).

Anche il trattamento profilattico con eparina è associato a un’aumentata incidenza di ematomi dopo ernioplastica inguinale (13,34) e deve essere evitato, eccetto il caso in cui sostituisca provvisoriamente un trattamento con anticoagulante.

Un trattamento con acido acetilsalicilico a basse dosi non comporta un elevato rischio di sanguinamento, se è eseguita un’accurata emostasi, e si può evitare di sospenderlo, eccetto il caso in cui esso abbia finalità profilattiche in assenza di un severo rischio vascolare. In questo caso è preferibile sospenderlo almeno sette giorni prima dell’intervento e nei cinque giorni successivi.

Le principali strutture che possono alimentare un sanguinamento sono le vene sottocutanee (vena pudenda esterna, vena epigastrica superficiale), i vasi epigastrici inferiori, i vasi del funicolo spermatico, il muscolo cremastere e la vena femorale.

Le vene sottocutanee devono essere identificate e sezionate tra legature nel corso della sezione sottocutanea.

I vasi del funicolo devono essere preservati da lesioni, ma talora può verificarsi la lesione di una venula nel corso dell’isolamento del sacco peritoneale dalle strutture vascolari del funicolo. Generalmente è sufficiente un’emostasi con delicata elettrocoagulazione, ma se si forma un piccolo ematoma è più opportuno apporre una legatura alla base dell’ematoma, dopo avervi posizionato una pinza tipo Pean. In ogni caso deve essere posta attenzione a non compromettere la restante vascolarizzazione del funicolo.

Fig. 5

I vasi epigastrici inferiori transitano medialmente all’anello inguinale interno in prossimità del funicolo. Sono situati posteriormente alla fascia trasversalis, ma possono essere esposti in seguito all’allargamento dell’anello inguinale determinatosi per il cedimento parietale sotto la spinta del sacco erniario. Questi vasi possono essere lesionati nel corso di infiltrazioni dell’anestetico alla base del sacco erniario, durante la dissezione alla base del sacco o durante il posizionamento di punti per il rimodellamento dell’anello inguinale interno. Il vaso lesionato deve essere identificato e legato.

Si deve considerare che importanti elementi vascolari transitano posteriormente al legamento inguinale e alla fascia trasversalis. L’affondamento di un ago in queste aree deve essere quindi sempre superficiale, con un tragitto che rasenta la superficie posteriore di queste strutture. Una lacerazione dei vasi iliaci sarebbe un evento piuttosto drammatico, ma anche una semplice puntura può determinare la formazione un ematoma retroperitoneale, che si traduce perlomeno in una prolungata dolorabilità postoperatoria.

Infine, un elemento che non è sempre adeguatamente considerato quale fonte di sanguinamento postoperatorio è il muscolo cremastere. Nel corso dell’ernioplastica il muscolo è sezionato longitudinalmente e i suoi ventri laterale e mediale sono dissociati dalla componente vascolare del funicolo (Fig. 4) per poter identificare e isolare il sacco erniario (Fig. 5). Spesso l’isolamento del sacco e il posizionamento della rete sono facilitate dalla sezione dei suoi ventri. Una sezione con elettrobisturi, abbandonando i monconi senza legatura, è emostaticamente inaffidabile, per quanto non sia infrequente veder procedere in tal modo. In realtà solo la legatura dei monconi consente di evitare il significativo rischio di uno stillicidio ematico postoperatorio che si tradurrà in un ematoma inguino-scrotale. A mio parere la trascuratezza di questo aspetto è una delle maggiori cause di ematoma postoperatorio dopo un’ernioplastica.

C. L’efficacia e l’appropriatezza dell’ernioplastica inguinale

L’efficacia di un’ernioplastica inguinale è fondata sul concetto “tension free” che sta alla base della preferenza per le protesi rispetto alle tradizionali plastiche di Bassini e di Shouldice  (2,3,4,8,9,11,17,22,23,24,25,31,44,45,53,54,56,59,68), considerando la minore incidenza di recidive registrata con il loro uso nella maggior parte degli ospedali. Tale visione è contestata da autori che lavorano presso il canadese Shouldice Hernia Hospital. Essi sottolineano le possibili sequele correlabili all’utilizzo delle protesi, tra cui prolungata e severa inguinodinia, atrofia testicolare ed erosioni viscerali (65). Inoltre, la selezione dei pazienti consentirebbe di ottenere risultati analoghi a quelli delle ernioplastiche con protesi in termini di recidiva. Condizione sine qua non, per ottenere questo risultato, è l’affidamento dell’attività operatoria a chirurghi specializzati in questa tecnica.

Il dato di fatto è che l’utilizzo delle protesi si è ampiamente diffuso, restando escluse solo le realtà in cui il loro acquisto è limitato per motivi economici. Ricordo che in Italia le protesi si diffusero ampiamente negli anni ’90, accolte favorevolmente da un ambiente chirurgico che utilizzava preferibilmente la tecnica di Bassini rispetto alla Shouldice, poco nota e più complessa.  La semplificazione tecnica, la riduzione di recidive e la minore ospedalizzazione con l’utilizzo delle protesi divenne subito evidente e ne decretò il successo. La tecnica di Shouldice è più facilmente associata ad errori tecnici nelle mani di chi non vi si dedica in modo specialistico. Inoltre, essa è sconsigliabile in caso di ernia recidiva, di età > 50 anni e se vi è il dato anamnestico di due o più consanguinei con storia di ernia. Vi sono certamente determinate caratteristiche molecolari del collageno che rendono labile una ricostruzione del canale inguinale senza una protesi sintetica, ma esse non possono essere determinabili, eccetto che nel caso di conclamate malattie del collageno; la protesi contribuisce a risolvere questo problema, fornendo direttamente un supporto meccanico in aggiunta al tessuto fibroso prodotto dai fibroblasti attivati dalla sua presenza.

Vi sono vari dettagli tecnici che assicurano l’efficacia di una ricostruzione con protesi, tra cui il ridimensionamento dell’anello inguinale interno, la chiusura di eventuali lacune nella fascia trasversalis, un’accurata distensione della rete sul piano della fascia trasversalis e infine un’accurata chiusura della fascia del muscolo obliquo esterno, evitando l’intrappolamento di strutture nervose nella sutura.

Qui esamino alcuni aspetti che possono essere ancora oggi oggetto di discussione in termini di appropriatezza. E’ infatti importante ricercare un ragionevole equilibrio tra semplificazione delle procedure, benefici, rischi e costi.

– Il ridimensionamento dell’anello inguinale interno

La lacuna corrispondente all’anello inguinale interno può essere ridimensionata con una protesi in forma di plug (45) o di disco (56), ma non vi è evidenza di una superiorità della protesi rispetto all’utilizzo dei punti, che sono altrettanto efficaci per ottenere un restringimento dell’anello inguinale, ovvero per effettuare quella che definirei una “anuloplastica”.

Si può distinguere la situazione in cui la lacuna è confinata all’anello inguinale interno (ernia indiretta) e la situazione in cui la lacuna è ampiamente estesa caudalmente alla parete posteriore del canale inguinale (ernia mista).

 

Fig. 6

 — Ernia indiretta

Come sopra detto, un’anuloplastica può essere effettuata semplicemente con punti. La posizione dei punti non è rigidamente standardizzabile e un certo eclettismo è opportuno, intuendo caso per caso il modo migliore per ridimensionare l’anello. Se il bordo caudale dell’anello è solido, conviene restringere l’anello sul versante craniale talvolta con un punto semplice, talvolta con un punto semicirconferenziale. In questo secondo caso il primo passaggio dell’ago è sul margine posteriore del legamento inguinale a lato dell’anello inguinale interno; l’ago segue poi un percorso di entrata e di uscita nello spessore del bordo craniale dell’anello inguinale interno. Praticata un’emichiave, la sutura è tenuta serrata provvisoriamente, trazionandone i capi, e ne è verificata la tenuta, nonchè la continenza dell’anello, invitando il paziente a tossire energicamente. Se non si verificano lacerazioni, si completa l’annodatura. Se il punto non è sufficiente ad impedire l’erniazione sotto sforzo, un secondo punto è posizionabile sul versante caudale dell’anello. E’ importante che i punti non restringano l’anello fino allo strozzamento del funicolo. Se il dorso di una pinza può essere introdotto nell’anello inguinale senza resistenza per circa un centimetro di profondità a lato del funicolo, il diametro dell’anello può essere considerato adeguato per evitare un’ischemia testicolare. In Fig. 6. è evidenziato il caso di un anello inguinale interno che tende ad ampliarsi sul suo versante caudale. Un punto restringe l’anello in questa sede.

 

– Ernia mista

Nel caso in cui l’anello inguinale interno sia ampiamente lacunoso, estendendosi il difetto caudalmente al funicolo, è preferibile evitare di effettuare l’anuloplastica cranialmente al funicolo, prolungando successivamente la sutura in direzione caudale, poiché in questo modo si spinge inferiormente e in profondità la parte esposta del funicolo: la rete non potrebbe né essere agevolmente posizionata sotto il funicolo, né agevolmente distesa.

Fig. 7

Fig. 8

 

 

 

 

 

 

 

 

In questi casi personalmente effettuo una plicatura con sutura continua tra il bordo mediale della lacuna, costituito dalla fascia trasversalis, e il margine posteriore del legamento inguinale, iniziando la sutura in corrispondenza del legamento riflesso di Colles e procedendo cranialmente fino al momento in cui appare ricostituito l’anello inguinale interno. Nel corso della procedura è importante che il sacco erniario sia spinto all’interno e che il funicolo sia contemporaneamente spinto cranialmente con l’ausilio di una spatolina. Se la fascia trasversalis è eccessivamente fragile, gli elementi accostabili con la sutura sono il legamento inguinale e il tendine congiunto (Fig. 7). Come evidenziato in fig. 7, non è necessario tenere in tensione la sutura a condizione che il filo sia in polipropilene, un materiale che sviluppa poco attrito nello scorrimento sui tessuti. Le spire sono serrate al termine della sutura dopo aver spinto il sacco erniario nel cavo addominale con una pinza. Prima dell’annodatura il paziente è invitato a tossire energicamente, al fine di testare la tenuta della sutura. (Fig. 8). Se la prova è negativa, si procede con l’annodatura e si completa la plastica, posizionando la rete. Solo occasionalmente può essere necessario interrompere la plicatura per eccessiva tensione sulla fascia trasversalis e colmare il difetto residuo con un plug.

Una valida ma più costosa alternativa è l’utilizzo della rete PHS (Prolene Hernia System), costituita da uno strato profondo, che è posizionato in sede pre-peritoneale dopo aver ricavato una tasca sotto la fascia trasversalis, e da uno strato  superficiale, da alloggiare sopra la fascia trasversalis (29).

– L’ancoraggio della rete in sede pubica

In passato il periostio del tubercolo pubico era considerato un valido elemento di ancoraggio sia per le suture dirette, sia per la stabilizzazione di una protesi. A tal fine si utilizzava un apposito ago robusto semicircolare. In seguito è emersa l’evidenza che l’ancoraggio al periostio del tubercolo pubico era associato a casi di severa pubalgia (28,50). Per questo motivo attualmente si evita questa modalità di fissazione. Al punto che alcuni operatori hanno rinunciato tout court alla fissazione della protesi alle strutture fasciali (sutureless technique (9,17,56)). A mio parere l’assenza di ancoraggio comporta il rischio che nel periodo postoperatorio l’estremità caudale della protesi possa occasionalmente retrarsi prima che verifichi la sua fusione fibrotica con la fascia trasversalis; in questa condizione l’ernia può recidivare in corrispondenza della fascia trasversalis non rinforzata dalla protesi.

Fig. 9

In fig. 9 è illustrata la modalità di ancoraggio da me utilizzata: posizionata l’estremità arrotondata della protesi sulla superficie anteriore del tubercolo pubico, un punto in polipropilene 2/0 è posizionato appena cranialmente al tubercolo tra il margine laterale della rete e il legamento inguinale oppure tra questo margine e la contigua fascia trasversalis; un secondo punto fissa il margine mediale della rete al tessuto sovrastante il legamento riflesso di Colles, transitandovi del tutto superficialmente. L’applicazione di questi due punti impedisce che l’estremità caudale della protesi si dislochi senza comportare alcun rischio di intrappolare strutture nervose.

Questo ancoraggio ha anche un’altra finalità: agevola significativamente le manovre per la distensione della protesi dapprima in direzione craniale e poi ai lati.

L’utilizzo di protesi Parietex Progrip o di colle biologiche può giustificare l’assenza di questi punti sovrapubici, ma è un’alternativa più costosa (36,46), non più efficace, come emerge dal complessivo risultato degli studi disponibili (6,10,14,18,20,33,37,38,39,46,47,63), e non significativamente più rapida della stabilizzazione con punti. Solo pochi studi concludono che l’utilizzo di collanti biologici o sintetici o di mesh Progrip sono più efficaci della fissazione con punti (10,26,51) nel ridurre l’incidenza di dolore inguinale cronico, intendendosi per “cronico” una durata del dolore in sede inguinale superiore a tre mesi. Per quanto concerne il dolore entro la prima settimana postoperatoria i risultati sono discordanti, essendovi tre RCTs che non evidenziano differente tra i diversi metodi di fissazione, due RCTs che rilevano un minore valore nella scala VAS di graduazione del dolore con l’uso di collanti rispetto alla fissazione con punti e un RCTs che rileva un minore valore VAS con l’uso di protesi Progrip rispetto alla fissazione con punti (55). In una recente review che ha considerato dodici trial con un totale di 1932 partecipanti l’utilizzo di collanti non è stato associato a una minore incidenza di dolore cronico rispetto all’utilizzo di punti nel sottogruppo di pazienti con protesi leggere (“lightweight”), mentre vi si è evidenziato un beneficio con l’utilizzo di collanti rispetto ai punti quando si utilizzano protesi standard (“heavyweight”) (68).

In linea con quanto complessivamente rilevato da questi studi, razionalmente non vi è alcun fondamento anatomico e fisiologico per ritenere che l’ancoraggio con punti possa essere associato a un maggior rischio di dolore postoperatorio rispetto ai collanti e alle protesi similvelcro, posto che i punti siano posizionati su strutture esclusivamente fibrose, evitando di intrappolare tronchi nervosi, e che siano posizionati in modo tale da non determinare trazioni sulle strutture anatomiche.

Per quanto concerne la rapidità di esecuzione con l’utilizzo di collanti o di protesi Progrip tutte le meta-analisi riportano un trascurabile vantaggio di alcuni minuti rispetto al posizionamento dei punti, ma non è necessario neppure citarle, essendo sufficiente a ciascuno provare personalmente che tale è il vantaggio, utilizzando i diversi sistemi di ancoraggio.

– L’ancoraggio laterale della rete

L’ancoraggio della rete con punti sui suoi lati destro e sinistro è caratteristica della tecnica secondo Lichtenstein (5) e delle sue varianti, come quella da me utilizzata.

Fig. 10

In fig. 10 è mostrata la sagoma della protesi che ricavo da una rete rettangolare in polipropilene con dimensioni di 6 cm x 11 cm. La rete è collocata nel canale inguinale con la bretella più stretta a contatto del legamento inguinale ed è fissata nell’area pubica con due punti, come descritto nel precedente paragrafo. Le due bretelle della rete sono distese cranialmente sotto la fascia del muscolo obliquo esterno e infine un terzo punto in polipropilene 2/0 chiude le due bretelle appena cranialmente all’anello inguinale interno, agganciandola inoltre superficialmente alla sottostante fascia trasversalis (Fig. 6). Caudalmente all’anello inguinale interno, il lato laterale della protesi è fissato con un punto in filo assorbibile 3/0 al margine posteriore del legamento inguinale; il lato mediale è fissato con un punto in filo assorbibile 3/0 al tendine congiunto. Al momento di posizionare i punti deve essere posta particolare attenzione al fatto che non vi siano intrappolate strutture nervose, poichè tale evenienza esiterebbe in dolore inguinale persistente. Se la struttura nervosa è di ostacolo deve essere sezionata e ampiamente asportata (1). Questo atteggiamento è universalmente condiviso. A suo sostegno ricordo nella mia esperienza un caso di dolore inguinale cronico, esordito dopo un’ernioplastica operata in altra sede, e risoltosi dopo la sezione di un nervo intrappolato lungo la sutura della fascia del muscolo obliquo esterno. Per quanto emerso dagli studi finora pubblicati, non vi è invece indicazione a una resezione profilattica di principio del nervo ileo-inguinale o del nervo ileo-ipogastrico.

L’utilizzo di protesi Parietex Progrip o di colle biologiche consente di evitare l’applicazione di punti marginali, ma è un’alternativa più costosa (36,46), non più efficace, come emerge dal complessivo risultato degli studi disponibili (6,10,14,18,20,33,37,38,39,46,47,63), e non significativamente più rapida della stabilizzazione con punti.

 

Risultati personali

Secondo tradizione sarebbe opportuno riportare in conclusione delle precedenti note i propri risultati. In realtà non ho hai tenuto un follow up dei pazienti da me operati, non amando assolutamente la chirurgia della parete erniaria. Ho comunque dovuto assumermi la mia non trascurabile parte di lavoro in questo ambito, al pari di altri miei colleghi, considerando che la patologia erniaria è molto diffusa e che impegna routinariamente la maggior parte dei chirurghi nella maggior parte delle Unità operativa di Chirurgia generale, anche in ospedali provinciali di riferimento. Con spirito etico ho comunque cercato di svolgere accuratamente gli interventi e di ragionare sulle possibili soluzioni per ottimizzare i risultati.

Posso affermare che nella mia casistica non ho avuto notizia di recidive o di dolore inguinale cronico, mentre ho osservato recidive di pazienti operati da altri professionisti, soprattutto in altre sedi. Questo fatto indica che in caso di recidiva i pazienti sono motivati a rivolgersi frequentemente a professionisti diversi da colui che ha eseguito l’intervento, spesso in altre strutture ospedaliere. Quindi non ho certezze sui miei risultati, per quanto appaiano confortanti. Le note tecniche sopra riportate sono maturate sul campo in termini di appropriatezza nei limiti delle risorse disponibili, tramite la valutazione dei lavori scientifici e anche riflettendo sulle caratteristiche delle recidive che ho osservato. In particolare, può far riflettere l’osservazione di recidive sovrapubiche, di recidive in cui la rete è dislocata davanti al funicolo, ponendosi in contatto con la fascia del muscolo obliquo esterno, e di recidive caratterizzate da cedimenti parietali estesi alla fascia del muscolo obliquo esterno. Mentre la prima e la seconda osservazione suggeriscono di posizionare la protesi sopra l’area pubica (“overlap”) e di provvedere al suo ancoraggio, la seconda osservazione suggerisce di suturare accuratamente la fascia del muscolo obliquo esterno, non potendosi fare affidamento esclusivamente sul rinforzo della parete posteriore del canale inguinale mediato dalla protesi.

Per altre questioni relative al trattamento chirurgico e alla gestione peri-operatoria sul tema dell’ernia inguinale un’utile articolo è “HerniaSurge: International guidelines for groin hernia management” di autori vari, pubblicato recentemente nella rivista Hernia (55).

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Nota

Si ringrazia la signora Manuela Ballarin per l’esecuzione dei fotogrammi in corso di intervento.