fallstreak1di Enrico Ganz

 

Si riporta un’immagine in controluce di un infrequente fallstreak hole (Fig. 1 e fig. 2) in un altocumulo rilevato dalla città di Mestre. Lo stesso altocumulo è stato fotografato con una diversa angolazione (Fig. 3). 

Attualmente la spiegazione più plausibile sulla formazione di un fallstreak hole è la seguente (1): l’alterazione morfologica della nube sarebbe conseguente al passaggio di un aeroplano, quando il vapore acqueo della nuvola è a temperatura sotto lo zero (acqua sopraffusa). In questa condizione termica, vibrazioni e variazioni pressorie dell’aria, determinate dall’aereo nella massa di vapore, favoriscono la formazione di particelle ghiacciate. Queste particelle diventano nuclei di aggregazione delle contigue particelle di vapore acqueo (fenomeno di Bergeron-Findeisen) e il processo può estendersi in ampiezza per migliaia di metri. Si forma quindi un’ampia superficie circolare di particelle ghiacciate con massa tale da precipitare al suolo o comunque da scendere a una quota inferiore, riorganizzandosi in una nuvola, come nel caso qui documentato, in cui si notano gli “sbaffi” che segnalano la “gemmazione” della nuvola dal sovrastante altocumulo. La particolarità di questo fallstreak hole consiste nell’inconsueta densità della nuvola sottostante al foro dell’altocumulo, ben delineabile per l’ombreggiatura del controluce.

Un’interessante osservazione relativa al caso presentato è la persistenza della morfologia nuvolosa, evidenziabile nella foto, per molti minuti, forse mezz’ora, per quanto ricordo. La mia ipotesi è dunque che un fall streak hole richieda non solo particolari condizioni di temperatura e una particolare morfologia del manto nuvoloso, ma anche l’assenza di venti in quota, che in caso contrario impedirebbero la comparsa del tipico difetto di riempimento nel manto nuvoloso.

Bibliografia

  1. Heymsfield AJ, Thompson G, Morrison H e al. Formation and spread of aircraft-induced holes in clouds. Science 2011; 333: 77-81.
    fallstreakb

    Fig. 2

    cirrocumulo

    Fig. 3