Fig. 1

di Enrico Ganz

 

Ginkgo biloba è la pianta che più mi affascinò in età infantile: fu per la particolare forma a ventaglio della sua foglia, che raccolsi da terra in un parco di Mestre nel 1974, conservandola poi in un erbario. Ne fu certamente attratto anche colui che utilizzò un’altra caratteristica della foglia, per indicare la specie come “biloba”. Infatti, negli esemplari giovani le foglie sono bilobate per la presenza di una marcata incisura centrale nel mezzo del ventaglio. Nei primi due anni di vita è possibile riscontrare anche foglie polilobate per la presenza di un’ulteriore meno marcata incisura a ciascun lato dell’incisura mediana (Fig. 1). Analoga morfologia è rinvenibile in foglie di ginkgofite rinvenibili in fossili del periodo cretacico (vedi figure nell’articolo citato in bibliografia al n°. 26). 

L’albero è stato introdotto in Europa dall’Asia nel 1730. In quest’epoca era già presente da secoli nelle vicinanze dei templi cinesi e giapponesi, in quanto ritenuto albero sacro (7). Allo stato spontaneo era considerato estinto fino all’identificazione di piccole aree boschive naturali negli ultimi quindici anni. Indagini sulle comunità vegetali e sulla storia degli insediamenti umani, nonchè più recenti indagini genetiche hanno orientato a identificare ristretti areali, localizzati nel Sud-Ovest della Cina, che potrebbero essere ragionevolmente i rifugi del Ginkgo nel periodo climatico avverso del Pleistocene (4,5,7,8,11). 

Il Ginkgo attrae per la forma delle foglie, unica tra le attuali specie di alberi, ma vi sono altre interessanti particolarità, di seguito indicate.

E’ una pianta gimnosperma dioica, quindi presenta componenti riproduttive femminili e maschili (strobili) su piante distinte. 

E’ in grado di vivere per centinaia di anni, almeno 667 anni per quanto documentato in uno studio (14), ma è stata ipotizzata un’età di 2500 anni per un albero con diametro alla base di 3,69 metri, rinvenuto a Jinfoshan (municipalità di Chonqing, provincia di Guizhou) (7). In effetti, è stato dimostrato che nell’arco di 600 anni i ginkgo subiscono minime mutazioni genetiche; la morte si verifica per traumi, piuttosto che per senescenza o per perdita delle barriere difensive nei confronti dei micro-organismi (14). 

Il ginkgo ha sviluppato ottimi sistemi di difesa, producendo sostanze che lo proteggono da molte parassitosi e batteriosi. Queste qualità si evidenziano al meglio negli esemplari adulti al termine della selezione naturale agente sulle singole piante germinate da seme.

Tra le altre qualità il Ginkgo presenta una resistenza al congelamento fino ad almeno -30°C (24) ed elevata resistenza alle radiazioni ionizzanti, se è vero che negli anni ’40 del secolo scorso a Hiroshima fornì polloni dai tronchi bruciati in prossimità dell’esplosione di una bomba atomica. Questa osservazione è coerente con la sua stabilità genetica, che ne garantisce la longevità. 

Le foglie forniscono un estratto secco, contenente i cosiddetti ginkgolidi, composti da una frazione flavonoica e da una frazione terpenica, che esplicano effetti benefici sulla funzione cognitiva nelle forme lievi di demenza e che possono alleviare la sensazione di freddo alle estremità causate da affezioni vasomotorie periferiche funzionali (2,9). 

Sul piano morfologico nel ginkgo può sorprenderci l’occasionale fenomeno chiamato dai giapponesi “O-ha-tsuki”, ovvero una sua fruttificazione aberrante, ancestrale, che consiste nella rara comparsa di un seme originante dal margine di una foglia. In termini tecnici una foglia di questo tipo è definita “sporofillo” ed è caratteristica delle felci, ma anche delle più antiche piante appartenenti all’ordine delle Ginkgoales, quale Trichopitys heteromorpha, genere risalente al basso Permiano (circa 300 milioni di anni fa). Questo ancestrale sporofillo è documentabile anche nei fossili del genere Sphenobaiera (ordine delle Ginkgoales (27)), raccolti nella gola del Geoparc Bletterbach nelle Dolomiti a Sud-est di Bolzano (3), risalenti al Permiano superiore (250-260 milioni di anni fa).

Fig. 2

Non ultimo aspetto interessante, la famiglia delle Ginkgoaceae comparve 170-180 milioni di anni fa nel periodo Giurassico, come documentato dal rinvenimento dei più antichi suoi fossili (13). Il Ginkgo adiantoides è una specie rinvenibile in fossili datati tra 65 e 55 milioni di anni e presenta la stessa morfologia fogliare del Ginkgo biloba. In questo periodo ebbe diffusione nelle foreste temperate dell’emisfero settentrionale. In fossili datati circa 120 milioni di anni, rinvenuti nella formazione di Yixian presso la città di Jinzhou nella provincia di Liaoning nel Nord-Est della Cina, troviamo un suo progenitore, caratterizzato da foglie polilobate e da gruppi di semi su unico stelo (1,20,28).

Il Ginkgo biloba non fornisce legname di particolare interesse in ambito commerciale; in particolare, vi è limitata disponibilità di ampie tavole, non essendovi coltivazioni dedicate in modo specifico alla produzione di legname. Il peso secco è di 465 Kg/m3, il che lo accosta al legno leggero delle conifere, quali l’abete bianco (Abies alba), che ha un peso secco di 415 Kg/m3 (25). E’ utilizzato in alcuni Paesi orientali per piccoli oggetti di artigianato e di arte (taglieri, mestoli, ciotole, incisioni artistiche su pannelli).

 

Esperienza

Considerando questi dati, alcuni anni fa mi chiesi se il Ginkgo avesse superato i periodi glaciali dell’ultima era glaciale per qualità che lo rendono simile alle conifere, pur essendo un albero deciduo. Una risposta teorica alla questione non è possibile: abbiamo un legno di pregio non ben definito, del quale poco sappiamo in termini di modulo di rottura, di modulo elastico e di resistenza allo schiacciamento (25), trovando limitatissimo impiego in falegnameria, in primis per la sua scarsa disponibilità. Anche per questo motivo non trovavo alcun orientamento su quale resistenza il Ginkgo potesse opporre in vivo alla pressione esercitata da un manto nevoso. A suo sicuro favore mi risultava il fatto che l’albero è in grado di resistere a temperature invernali marcatamente basse: perlomeno -30°C, con possibilità di sopravvivere a brevi picchi di -40 °C.  

Perciò, nel novembre 2015, avendo trovato alcuni semi di Ginkgo su un terreno (fig. 2), pensai di testare la resistenza di questo albero agli ambienti rigidi dell’alta quota. Per orientarmi sulla risposta, seminai alcuni semi di Ginkgo, provenienti da uno stesso albero. I semi germinarono in dicembre 2015. Scelsi quattro virgulti e li coltivai al livello del mare in un ambiente temperato (zona A) per un anno e mezzo, utilizzando terra estratta da un luogo che nel seguito indicherò come “zona B”. Successivamente, in luglio 2017, trasferii tre alberi in una vallata alpina alla quota di 1100 metri (zona B). Due dei tre alberi furono collocati in un’area ricca di terra fertile, ma anche ombreggiata e avvallata, coperta da abbondante neve nel corso dell’inverno (zona B1). Collocai il terzo albero in un’area caratterizzata da terra fertile e sassosa, in posizione soleggiata, rialzata, esposta alla sera a un freddo vento di NO e relativamente poco innevata in inverno (zona B2). Gli alberi collocati nel terreno non ebbero alcuna cura e l’area fu lasciata incolta nei periodi tra l’inizio di settembre e la fine di giugno. Negli inverni 2017/’18, 2018/’19 e 2019/’20 si registrarono al minimo temperature di – 15°C solo occasionalmente. La copertura nevosa si presentò nel periodo compreso tra dicembre e marzo e fu discretamente spessa negli inverni 2018/’19 e 2019/’20.  

 

Risultati

In luglio 2020, quattro anni e sette mesi dopo la germinazione dei semi e tre anni dopo il trapianto di tre dei quattro alberi ad alta quota, confrontai la crescita degli alberi. L’albero cresciuto in pianura presentava queste caratteristiche:

 – altezza di 95 cm: 

– tronco rettilineo;

diametro alla base del tronco di 3 cm;

– sei rami con lunghezze dalla base verso l’apice rispettivamente di 28 cm, 28 cm, 18 cm, 16 cm, 8 cm, 9 cm.

– foglie bilobate di colore verde scuro. 

Fig. 3

L’albero cresciuto nell’area montana soleggiata e poco innevata (zona B2) presentava queste caratteristiche:

 – altezza di 52 cm, 

– tronco curvato; 

– diametro alla base del tronco di 1,4 cm;

– ramo basale spezzato alla base;

– quattro rami con lunghezze dalla base verso l’apice rispettivamente di 9,5 cm, 10 cm, 4,5 cm, 5 cm.

– foglie bilobate di colore verde chiaro e taglia visibilmente minore dell’albero in zona A. 

Espiantati provvisoriamente i due alberi, apparve che il volume delle radici nell’albero montano era compreso tra 1/3 e 1/4 di quello dell’albero di pianura (fig. 4). 

Molto peggiore fu la crescita dei due alberi posizionati nell’area caratterizzata da minore insolazione e maggiore innevamento (zona B1): altezza di 33-34 cm e diametro del tronco alla base di 1,0-1,2 cm (fig. 3). Ma soprattutto in primavera dopo il disgelo i due alberi erano contorti e schiacciati a terra per la pressione subita dalla neve. In estate rimanevano in posizione molto coricata ed erano sovrastati dalle graminacee del campo, che ne impedivano l’esposizione solare. Le foglie apparivano piccole, di colore verde giallognolo, rigate da tagli. Probabilmente i due alberi non sarebbero sopravvissuti, qualora le erbe non fossero state estirpate annualmente. 

Nel luglio 2020 l’albero di pianura fu trapiantato nell’area B2 in sostituzione del pre-esistente Ginkgo. L’anno successivo (luglio 2021) osservai la rottura di un ramo e di un ampio tratto apicale del tronco a causa della neve. Nel corso dell’estate vi fu una vigorosa crescita compensativa di un ramo apicale, che diventò vicariante della parte perduta del tronco. Il Ginkgo espiantato dall’area B2 fu condotto nell’area A, fu collocato in vaso e rettilineizzato con tutori, per un mantenimento in forma di bonsai (fig. 5). Il gingko impiantato nell’area B2 fu protetto con tutori antineve.

Fig. 4 – B2: l’albero cresciuto in alta quota dopo l’espianto, confrontato con l’albero A, cresciuto in pianura e impiantato nella sua sede, per valutarne la successiva sopravvivenza

Commento

Questa esperienza mi ha convinto che Ginkgo biloba non è adatto a svilupparsi naturalmente in un clima caratterizzato da importanti precipitazioni nevose. Nei primi anni di vita il peso della neve lo piega a terra e al disgelo non è in grado di sollevarsi adeguatamente e di crescere rapidamente, sicché è presto privato della luce per la crescita delle graminacee. Pur resistente a temperature molto basse, la sua crescita è eccessivamente lenta in un clima freddo. Inoltre, i rami si spezzano facilmente alla base sotto il peso della neve. Appare ben evidente il differente sviluppo delle conifere, che hanno conquistato gli ambienti dal clima freddo. 

Come ha potuto quindi il Ginkgo superare l’ultima era glaciale?

La risposta è obbligata: nelle fasi di glaciazione del Quaternario l’albero fu relegato nelle aree asiatiche con temperatura mite e innevamento assente. Infatti, l’albero, pur resistente ai climi rigidi, non ha adeguata risposta vegetativa alle basse temperature e non presenta adeguata resistenza meccanica all’innevamento. 

 

Fig. 5

Analisi della letteratura 

La conclusione deduttiva derivante dall’esperienza descritta non può che stimolarci ad approfondire la questione relativa agli effetti dell’era glaciale sulla popolazione di Ginkgo biloba. Per tale fine, non resta che proseguire con uno studio bibliografico, dal quale emergono le seguenti utili osservazioni: 

– Ginkgo biloba appartiene all’ordine dei Ginkgoales, famiglia delle Ginkgoaceae, un gruppo di piante rinvenibili nei fossili già nel Giurassico inferiore, 180 milioni di anni fa. Gli studi di paleontologia vegetale hanno individuato almeno due specie di questa famiglia nel Giurassico medio, tra 170 milioni  e 160 milioni di anni fa, un’epoca in cui l’unico continente, la Pangea, iniziava a frammentarsi in due continenti. Nel Cretaceo, tra 145 milioni e 65 milioni di anni fa sono state descritte sei specie di Ginkgo, che erano diffuse nell’emisfero Nord. Nel Paleocene, tra 65 e 55 milioni di anni, fa l’unica specie rinvenibile è il Ginkgo adiantoides, che presentava foglie indistinguibili dall’attuale Ginkgo biloba e che forse era presente già 120 milioni di anni fa con piccole variazioni dell’apparato riproduttivo (19). In un pianeta dominato da un clima subtropicale, questi alberi risultavano localizzati in areali settentrionali. Nell’Oligocene, tra 34 e 23 milioni di anni fa, si osserva una migrazione del Ginkgo verso Sud, pur restando nell’ambito dell’emisfero settentrionale, negli areali del periodo cretacico. In questo periodo si osserva una riduzione dei fossili. Poi, 7 milioni di anni fa, nel Miocene (periodo compreso tra 23 milioni e 5 milioni di anni fa) il Ginkgo scompare dal Nord America e 2,5 milioni di anni fa, al termine del Pliocene (periodo compreso tra 5 milioni e 2,5 milioni di anni fa), scompare anche dall’Europa. Nell’epoca del Pleistocene del periodo quaternario, compresa tra 2,5 milioni di anni e 11700 anni fa, l’areale del Ginkgo si restringe alla Cina, transitando qui lungo le fasi di glaciazione e di deglaciazione dell’ultima era glaciale. Nell’Olocene, periodo compreso tra 11700 anni da ad oggi, il Ginkgo risulterà confinato in minuscole aree del Sud-Ovest della Cina e sarà soprattutto l’uomo in tempi recenti a determinarne la riespansione nel continente asiatico, europeo e americano (12,19,21,26). 

  • Le calotte glaciali eurasiatiche coprivano milioni di chilometri quadrati dell’Asia nel tardo Pleistocene (10). Non è chiaro se i territori ad altitudine inferiore a 3000 m fossero ghiacciati (8). Si stima che in Cina le temperature fossero 5°-13°C inferiori a quelle attuali (8), tali da compromettere la crescita di molte specie vegetali (15).
  • Sono ben documentati i danni da glaciazione del Pleistocene (periodo compreso tra 2,5 milioni e 11700 anni fa) subiti dalle foreste decidue di fascia caldo-temperata della Cina, tra le quali vi era il Ginkgo. Nelle fasi di glaciazione queste foreste sono state in gran parte sostituite da aride steppe (6), per il ridursi delle precipitazioni nel pianeta e per il ridursi della temperatura media ambientale.
  • Sono state identificate in Cina piccole aree boschive di Ginkgo che presentano elementi orientativi per considerarle i rifugi in cui questa pianta sopravvisse sulla Terra nel corso delle glaciazioni: la valle e i pendii a bassa quota delle montagne Dalou nel Sud-Ovest della Cina (11), Jinfoshan, al confine tra il comune di Chonqing e la provincia di Guizhou, una piccola popolazione al confine tra la provincia di Guizhou e la provincia dello Yunnan (7). Questi studi si avvalgono di indagini sulle comunità vegetale, sulla storia degli insediamenti umani e su analisi di DNA. Uno studio genetico ha messo in discussione un luogo che precedentemente (5) era stato ritenuto un importante rifugio pleistocenico: le montagne Tianmu occidentali nella provincia di Zhejiang nell’Est della Cina, poiché esiste un solo aplotipo cpDNA comune (7) e il luogo è noto per l’elevata concentrazione di antichi templi, presso i quali erano coltivati alberi di Ginkgo. 
  • Nel periodo delle glaciazioni l’altopiano tibetano e e le montagne Qing avrebbero fornito una barriera contro il flusso di aria fredda proveniente dalla Siberia nei rifugi di Ginkgo del Sud-Ovest della Cina (7). 
  • La diffusione del Ginkgo biloba dopo l’ultima glaciazione – definita “Würm” e conclusasi circa 10000 anni fa con picco di massimo glaciale databile a 21000 anni fa – è stata molto più limitata rispetto ad altre specie vegetali, come Cercidiphyllum. I più probabili motivi sono il complesso sistema riproduttivo del Ginkgo, compromesso dal prolungarsi di basse temperature, la limitata dispersione dei voluminosi semi, rispetto all’agevole dispersione aerea dei semi di Cercidiphyllum, uno sviluppo degli embrioni di Ginkgo troppo lento per un habitat soggetto a frequenti allagamenti per lo scioglimento delle nevi in alta quota (18).
  • La longevità del Ginkgo e la possente mole di esemplari plurisecolari lo ha reso amabile ai cinesi, che nei secoli passati lo hanno considerato sacro e lo hanno utilizzato per adornare i templi, favorendone una discreta espansione sul territorio cinese, in Giappone e in Corea. Scoperto dagli europei nel 1700, è stato investito da notevole interesse per le sue particolarità botaniche, per l’adeguatezza della sua forma nei programmi di alberatura di viali cittadini e per l’uso fitoterapeutico delle foglie. Per questo motivo attualmente il Ginkgo biloba risulta nuovamente diffuso nei diversi continenti. La maggior parte dei Ginkgo presenti in Europa derivano da ceppi dell’Est della Cina, distinguibili per un raro componente genetico dai Ginkgo diffusi in Corea e in Giappone, che invece derivano principalmente da differenti ceppi dell’Est della Cina. L’analisi genetica dei ginkgo diffusi in America indica un’origine più variegata dall’Est della Cina, da ceppi di Corea/Giappone e dall’Europa (16,17). 

 

Commento

L’ultima era glaciale è l’unica era glaciale che ha investito le piante della famiglia Ginkgoaceae. Dai dati presentati nel precedente paragrafo appare evidente l’importanza del suo effetto traumatico sulla popolazione di Ginkgo.

Tuttavia, lo studio paleontologico tramite i fossili ci indica anche che il Ginkgo adiantoides, morfologicamente identico al Ginkgo biloba e suo diretto progenitore, conobbe ben prima delle glaciazioni una progressiva restrizione del suo ampio areale tricontinentale, scomparendo sette milioni di anni fa dal continente americano e due milioni di anni fa  dall’Europa, pur in assenza di eventi cataclismatici. Quando esordì l’era delle glaciazioni, la popolazione di Ginkgo fu probabilmente colta in una delicata fase della sua sopravvivenza. Certamente l’era glaciale non la favorì e la mia esperienza, qui riportata, consente di sottolineare il forte disagio del Ginkgo biloba in un clima freddo, caratterizzato da periodici innevamenti. Ma ci sfuggono probabilmente altri fattori che hanno inciso sulla progressiva restrizione del suo areale negli ultimi sette milioni di anni e sulla sua incapacità di riespandersi dopo le glaciazioni, restando relegato in piccoli rifugi ambientali della Cina. Negli ultimi due millenni la mancata espansione della popolazione di Ginkgo, relegata in questi rifugi, non dipese certamente da fattori climatici, considerando che l’uomo provvide a piantarlo con successo in diverse aree della Cina e dal 1700 fu diffuso anche nel continente europeo e americano. Diversamente, se non fosse intervenuto l’interesse umano per questo fossile vivente, non è escluso che il Ginkgo biloba sarebbe stato destinato all’estinzione in tempi non molto lontani,  

Tra le cause che gli studiosi hanno proposto per spiegare la mancata espansione naturale del Ginkgo nel corso dell’ultima deglaciazione vi è il complesso sistema riproduttivo del Ginkgo, compromesso dal prolungarsi di basse temperature; la limitata dispersione dei semi per le loro significativa massa, rispetto all’agevole dispersione aerea dei semi prodotti da quelle piante che invece furono in grado di recuperare il terreno perduto, come il Cercidiphyllum; uno sviluppo degli embrioni di Ginkgo troppo lento per un habitat soggetto ai frequenti allagamenti sostenuti dallo scioglimento delle nevi in alta quota (18). 

Ma, in una visione più ampia, è ipotizzabile che nella sua fase di espansione sulla Terra il Ginkgo abbia trovato piante non competitive e che nella successiva fase di contrazione, iniziata ben prima dell’era glaciale, abbiano giocato a suo sfavore la presenza di piante divenute competitive per una più rapida crescita, per la presenza di un sistema di dispersione aerea dei semi o per caratteristiche dei semi che incontravano da parte di nuove specie animali maggiore attrattività rispetto ai semi di Gingko, con la possibilità di trasportarli a distanza. In proposito, mi chiedo se i semi di Ginkgo risultino al giorno d’oggi attraenti per gli animali potenzialmente vettori di semi. Sappiamo, per esempio, che l’essere umano trova molto sgradevole l’odore e il sapore del morbido cuscinetto che avvolge la capsula del seme (la cosiddetta “sarcotesta”) e che questo fatto dipende dalla presenza di sostanze quali l’acido butirrico. Sarebbe quindi interessante valutare l’attrattività esercitata dai semi di Ginkgo sugli uccelli e sui mammiferi che vivono negli attuali rifugi naturali di Ginkgo e valutare con quale efficacia essi possano essere vettori di questi semi. In un articolo del 2007, elaborato da Del Tredici, si legge: “I semi di Ginkgo biloba possiedono una sarcotesta odorosa che attira i mammiferi spazzino in Asia, in particolare i membri dei carnivori, presumibilmente imitando l’odore delle carogne. I semi ripuliti dalla loro sarcotesta sono germinati più rapidamente e in percentuali più elevate rispetto a quelli con la loro sarcotesta intatta, suggerendo che la dispersione degli animali gioca un ruolo importante nel promuovere l’insediamento delle piantine. Durante il Cretaceo, potenziali agenti di dispersione includevano mammiferi, uccelli e dinosauri carnivori” (23). Per contro, un più recente studio genetico, pubblicato nel 2016, mette in discussione l’efficienza della dispersione dei semi di Gingko biloba tramite gli animali: “La conoscenza dei dispersori di semi nel Ginkgo è stata speculativa (Del Tredici 2007; Del Tredici 1992; Jiang et al., 1990) ma alcune informazioni sull’efficacia dei dispersori di semi possono essere dedotte dalla distribuzione di aplotipi di cloroplasti ereditati dalla madre. Con l’eccezione del diffuso H1 ancestrale, nessun aplotipo derivato del cpDNA è stato condiviso tra popolazioni vicine, ad esempio TM e CX (distanti <100 km), suggerendo che i semi di Ginkgo non sono stati dispersi in modo efficiente” (18). La questione resta quindi di un certo interesse.

 

Conclusioni

Il seme di questo articolo è nell’attrazione che una foglia di Ginkgo esercitò su di me nel 1974, quando, bambino, percorsi il viale di un parco. Nel novembre 2015 questa attrazione si tradusse in un interrogativo, quando vidi in un terreno semi di Ginkgo, ricordando di aver letto che questa pianta resiste a temperature inferiori a -30°C: il Ginkgo poteva aver superato i periodi glaciali dell’ultima era glaciale per qualità che lo rendono simile alle conifere, pur essendo un albero deciduo? La piccola esperienza che ne è derivata con la coltivazione di alcune giovani piante di Ginkgo mi ha fornito una risposta negativa e questa è stata l’occasione per valutare studi scientifici incentrati sugli effetti negativi dell’ultima era glaciale su Ginkgo biloba. Tra le cause che gli studiosi hanno proposto per spiegare la mancata espansione del Ginkgo dopo l’ultima deglaciazione vi è il complesso sistema riproduttivo del Ginkgo, compromesso dal prolungarsi di basse temperature, la limitata dispersione dei grossi semi, rispetto all’agevole dispersione aerea dei semi di altre specie, uno sviluppo degli embrioni di Ginkgo troppo lento per un habitat soggetto ai frequenti allagamenti sostenuti dallo scioglimento delle nevi in alta quota. 

Tuttavia, la storia delle Ginkgaceae, ricostruita tramite i reperti fossili, ci fa comprendere che le difficoltà di sopravvivenza su questo pianeta per il Ginkgo erano iniziate ben prima delle glaciazioni, circa sette milioni di anni fa, causandone un’ininterrotta riduzione dell’areale. I reperti fossili ci dicono anche che in epoche remote vi erano uccelli, ormai estinti, in grado di inghiottire semi. In proposito, è interessante il ritrovamento di un uccello preistorico fossile di Jeholornis prima gen. tra i depositi lacustri delle formazioni Yixian e Jiufotang nel gruppo Jehol del Cretaceo inferiore (circa 100-120 milioni di anni fa) nell’area occidentale del Liaoning nel nord-est della Cina. Questo uccello presenta nello stomaco semi di specie vegetali sconosciute (22).

E’ possibile che in epoche remote vi fossero specie animali efficienti nel disperdere i semi di Ginkgo e che con la loro estinzione o con le loro migrazioni il ginkgo abbia perduto un prezioso alleato?

Questo fatto mi suggerisce di ricercare – attività alla quale purtroppo non posso dedicarmi per diverso orientamento e impegno professionale – nel binomio “seme – animale vettore” una delle possibili concause storiche della riduzione di areale del Ginkgo, conducendo la ricerca direttamente nei citati rifugi naturali del Ginkgo biloba, ovvero esaminando accuratamente tra i loro tronchi le abitudini alimentari di uccelli e mammiferi.

 

Bibliografia

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DOI:10.1007/BF03184314

 

NOTA

Per un orientamento sulle condizioni ambientali utili per la coltivazione si propone il seguente articolo:

Kovalenko IM, Klymenko GO, Melnychuk SD e al. Potential adaptation of Ginkgo biloba – comparative analysis of plants from China and Ukraine. Ukrainian Journal of Ecology. 2021, 11(1), 329-337, doi: 10.15421/2020_301