di Enrico Ganz

Nel capitolo XXVII del racconto “Le avventure di Pinocchio” di Collodi, troviamo il celebre burattino in fuga da due carabinieri, dopo essere stato arrestato, per aver prestato soccorso a un compagno di scuola svenuto. Eppure, Pinocchio non aveva alcuna colpa: il ragazzo era stato colpito alla testa da un altro compagno nel corso di una rissa e il povero Pinocchio era stato l’unico a non fuggire. Ma i due carabinieri avevano pensato che l’autore del delitto fosse lo stesso Pinocchio, consistendo il corpo del reato nel libro scolastico del burattino, che uno dei suoi compagni aveva utilizzato quale oggetto contundente… 

A quanto pare Collodi non aveva particolare simpatia e fiducia nei carabinieri. Siamo nel XIX secolo.

Andiamo nella realtà del XXI secolo. 

Percorro la SS 13 “Pontebbana” alle ore 5.00. La luce del mattino è ancora scarsa; mi fermo dietro a due vetture, essendovi poco oltre un’auto capovolta. Resto fermo un minuto, poi mi sposto con l’auto per procedere verso l’area dell’incidente, ma compare un carabiniere che mi fa cenno di fermarmi. Nel contempo posso vedere meglio la scena: l’auto è vuota; evidentemente sono in corso gli ultimi accertamenti e non vi è effettivamente nulla che possa fare, se non attendere il “via libera”. Quando le vetture ripartono, sento il carabiniere che alle spalle mi grida “Volevi fare il furbo, eh!” Mi fermo, abbasso il finestrino, lo chiamo vicino e gli dico di essere un medico: perciò mi ero spostato dalla colonna; volevo vedere se vi fosse l’opportunità di prestare un aiuto. Immediata la risposta del carabiniere: sarei dovuto uscire dalla vettura e venire avanti a piedi. A quel punto ho tirato dritto, per non discutere; avrei potuto rispondere che i peggiori incidenti stradali avvengono per investimento quando si scende dall’auto prima di aver compreso bene lo scenario dell’incidente. 

Quanto da me descritto, è un banale caso di maleducazione nei miei confronti. Ha un significato averlo presentato? 

Probabilmente sì. Ma non certo per il caso in sè.

Questo episodio mi ha stimolato a consultare le recensioni degli utenti che hanno usufruito di prestazioni presso le caserme dei Carabinieri. Il risultato non è confortante: in molti casi il personale non è in grado di sapersi rapportare in modo appropriato con l’utenza: in molti casi i giudizi sono decisamente negativi. “Gentilezza 0” è il laconico commento di un utente. 

Possiamo a questo punto renderci conto per quale motivo siano state elaborate numerose barzellette sui “due carabinieri”, che poggiano sulla presunta ignoranza dei protagonisti. I carabinieri possono rasserenarsi per il fatto che al giorno d’oggi è passato di moda il raccontare barzellette nelle compagnie, ma resta il fatto che deve essere spiegato il motivo per cui non mancasse serie di barzellette in cui essi fossero oggetto di scherno. In realtà, l’ignoranza dei carabinieri potrebbe non avere riscontro; le barzellette puntano sull’ignoranza, per esprimere una diffusa avversione nei confronti di una forza armata, che interagisce “male” con la società civile. 

L’episodio che mi ha coinvolto e le mie “indagini” sulle recensioni degli utenti presso le caserme dei Carabinieri mi ha orientato a comprendere questo aspetto. E non solo. Ho pensato a una particolare coincidenza, a un fatto avvenuto il giorno precedente a Padova: l’uccisione di un uomo, che molestava l’ex compagna, da parte di un carabiniere. Nulla da discutere, apparentemente: lo stalker aveva reagito all’intervento dei due carabinieri, ferendone gravemente uno, che era intento a stilare un verbale. Chi contesterebbe l’appropriatezza della difesa messa in atto? Ma, al di là di questo aspetto, chiediamoci a questo punto: quale tipo di comunicazione era stata messa in atto tra il fermato, persona certamente in uno stato di alterazione mentale, e i carabinieri?

Ho poi pensato al noto caso Cucchi e, nell’ambito della Polizia di Stato, al lontano caso Pinelli (dicembre 1969), conclusosi non solo con la morte dell’anarchico nella Questura di Milano, ma anche con l’omicidio punitivo del commissario Calabresi dopo un lungo strascico di accuse nei suoi confronti. 

Fatti molto gravi, nei quali si può pensare a un inappropriato approccio comunicativo delle Forze dell’Ordine con persone in condizioni di alterato stato mentale. Quando si affronta un individuo che ha perso il suo equilibrio mentale è necessario non solo un comportarsi educato, ma anche  capacità di comunicazione, pur mantenendo fermezza. A quanto pare questo concetto non è stato ancora recepito nell’ambiente dell’Arma dei Carabinieri. Se ignoranza vi è per quanto riportano le barzellette sui “due carabinieri”, la vera ignoranza è questa. In questa situazione stiano i carabinieri a disposizione dello Stato per questioni di ordine pubblico, quali sommosse, contrasto a bande armate e conflitti militari, ma non siano coinvolti in questioni minori di ordine pubblico se non dopo aver superato corsi di psicologia e di comunicazione. In caso contrario, vi sarà il rischio di altri casi Cucchi e Pinelli: un errato modo di rapportarsi può trasformare un episodio destinato a concludersi in modo innocuo in un episodio di cronaca nera. E rischia anche di offuscare l’alto merito dei carabinieri caduti vittime nelle guerre del periodo risorgimentale, nella I guerra mondiale, nella guerra di liberazione e nel contrasto alla criminalità.