L’immagine di un frate a mani giunte e la dicitura “Il frate che conquistò Mestre”: è quanto ha evidenziato una recente locandina, per pubblicizzare un incontro, tenutosi il 22 gennaio 2025 presso il museo M9 di Mestre. Il volto del frate mi è noto: è padre Francesco Ruffato, il mio professore di religione ai tempi del liceo.
Una delle sue tematiche più care era la biografia di padre Rajmund “Massimiliano” Kolbe, martire ad Auschwitz, sacerdote, che scambiò la sua vita per un prigioniero, padre di famiglia, condannato a morte. Era anche sensibile al tema della sofferenza patita da molte vittime della Seconda guerra mondiale. Alcuni miei compagni di liceo decisero di fargli uno scherzo e, nel corso di una lezione, argomentarono con apparente convinzione idee degne di moderati nazisti. Seppi che al consiglio di classe disse sgomento: “Sono piuttosto fascisti nella III B!”. Lo scherzo si fondava probabilmente su una precedente sua affermazione, contestata da alcuni studenti: “Tra popoli diversi, tra diverse religioni è possibile trovare una piattaforma di dialogo comune, sulla quale costruire un’intesa. In tutti gli uomini vi è una comune radice, dalla quale iniziare un dialogo” Questa affermazione non era stata condivisa da tutti. Si ribatteva: “Quale intesa potrebbe mai esservi con popoli dediti ai sacrifici umani?” L’obbiezione era un po’ capziosa. A ben vedere, popoli come i Maya e gli Aztechi si sono estinti, sia che l’accadimento abbia avuto cause naturali, sia che l’accadimento abbia un fondamento sovrannaturale per incompatibilità delle loro nefandezze con una volontà divina.
E’ ben certo invece un altro fatto: più di qualcuno era infastidito dalla testimonianza della sua fede e di principi morali, ai quali tuttavia non ci si può sottrarre, se non al costo di una completa dissoluzione della società. Ma il suo dire non era fondato sull’opportunismo di un contratto sociale, che prevede principi di sussistenza sociale a beneficio dei suoi aderenti; i principi, questo frate, li viveva per una fondamentale bontà dell’animo, il che può fare la differenza, in primis di fronte a Dio, ma anche di fronte a coloro che hanno la sensibilità di cogliere tale aspetto. Probabilmente sono state queste le persone che hanno voluto dedicargli l’incontro commemorativo del 22 gennaio. Non ho avuto possibilità di parteciparvi, ma immagino che sia stato ricordato il multiforme impegno di padre Francesco Ruffato a Mestre; impegno, che si sviluppava dalla sua base nella chiesa del Sacro Cuore di via Aleardi, in cui era accolto con altri frati francescani minori conventuali: l’insegnamento di religione, la difficile fondazione e gestione o co-gestione del Centro Culturale Kolbe, la fondazione della Scuola di giornalismo Chiodi, la direzione della polifonica Benedetto Marcello (cavallo di battaglia “Il Messia” di Handel), la recita delle lodi mattutine per i liceali, gli incontri “esistenzialisti” con i liceali, gli interventi su una radio locale, la fondazione di Veneto Solidarietà Televita e successivamente a Padova l’attività confessionale, le lettere agli amici e la scrittura di numerose mini-opere teatrali, finalizzate a proporre l’esempio di persone esemplari nella coerenza con la fede cristiana: don Primo Mazzolari, Oscar Romero, padre Kolbe, papa Giovanni Paolo XXIII, papa Giovanni Paolo I, Giuseppe Taliercio (vittima delle Brigate Rosse), don Tonino Bello, Maria Borgato, Giulia Gabrieli.
Nel novembre 2023, alcuni mestrini, che erano stati a suo tempo coinvolti nelle sue attività, mi contattarono e mi unii a loro, per andare a trovarlo nel convento di S. Antonio a Padova in occasione del suo 91° compleanno. Gli offrimmo il pranzo. Questo accadde circa una settimana prima che un’improvvisa grave malattia lo conducesse lentamente a morte, preceduta da una grave afasia; un evento, che per la sua mente “vulcanica” è stato certamente vissuto con molta sofferenza. Ma già in occasione del suo festeggiamento aveva espresso molta amarezza per la decadenza del “suo” Centro Kolbe.
Vedo chiaramente in lui, sul finire della sua vita, un’amarezza, che lo accomuna al suo riferimento esistenziale, a Gesù Cristo, morto in un contesto ancora più drammatico, ma con quella stessa profonda tristezza data dall’impressione di aver fallito un importante obbiettivo nella vita e di vedersi sgretolare nel fisico fino alla più profonda oscurità. Potrei sbagliarmi, ma in questa triste fine del mio professore di religione noto anche un’associazione con quella particolare esperienza esistenziale descritta da San Giovanni della Croce nel testo “La salita del monte Carmelo”, definendola “La notte oscura”. E se questa fosse, vi sarebbe in realtà il preludio di una grande luce, come penso che questo frate meriti per il suo infaticabile impegno gratuito nel divulgare i valori cristiani attualizzati e attualizzabili nella nostra storia.