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Questo scritto presenta alcuni svolgimenti matematici relativamente semplici, nascondendo e infine evidenziando per ciascuno un fine dettaglio, che può essere facilmente trascurato, ma che è importante nel percorso logico. Analoghi svolgimenti sono presentati in interessanti videolezioni di analisi matematica, reperibili in Youtube. Lo scopo di questo scritto non è dunque di presentare qualche nuova “invenzione”, ma di richiamare l’attenzione sul fatto che determinati svolgimenti matematici sono proponibili come un divertente gioco enigmistico, e non solo: possono essere un’opportunità dopo gli studi “dell’obbligo”, per sviluppare anche al di fuori del contesto matematico un atteggiamento mentale caratterizzato sia da un’adeguata considerazione dei fini e sfuggevoli dettagli di ogni procedura tecnica, sia da un atteggiamento critico nell’esame dei risultati ottenuti. 

I

Risolvere l’equazione

sin2 x – 2 . loge2 . sin x . cos x + 2 . cos2 x = 0

Una sua analisi ci dice che si tratta di un’equazione di “secondo grado”, avendo il primo termine elevato al quadrato, “goniometrica”, perché vi sono le funzioni goniometriche seno e coseno, e “omogenea”, perché il termine noto vale zero.

Affrontata direttamente, “sin2 x – 2 . loge2 . sin x . cos x + 2 . cos2 x = 0” non appare un’equazione semplice. L’ostacolo nella sua soluzione è la presenza di due funzioni goniometriche differenti, seno e coseno.

Eppure, sapendo evitare le difficoltà, la risoluzione richiede la conoscenza di nozioni matematiche abbastanza semplici, che sono di seguito elencate:

– tangente = seno/coseno;

– formula risolutiva dell’equazione di secondo grado “a . x2 + b . x + c = 0”:

(- b + – √ b2 – 4 . a . c)/2 . a       (si legga “radice quadrata di  b2 – 4 . a . c”, qui non ben visualizzatile per limiti grafici)

– non è possibile dividere per zero un numero diverso da zero.

– se il coseno vale zero, il seno vale 1.

La prima idea è allora quella di ridurla a un’equazione goniometrica semplice, cioè un’equazione caratterizzata da una sola funzione goniometrica.

Ricordando che la funzione “tangente” è esprimibile come rapporto tra seno e coseno (tg = sin/cos) si possono dividere tutti i termini dell’equazione per cos2 x

sin2 x/cos2 x – (2 . loge2 . sin x . cos x)/cos2 x + (2 . cos2 x)/cos2 x =   0/cos2 x

ottenendo un’equazione di tipo semplice

tg2x – 2 . loge2 . tg x + 2 = 0

Ora, ricordando che le equazioni di secondo grado omogenee non goniometriche, del tipo “ax2 + bx + c = 0”, sono facilmente risolvibili con la formula risolutiva

(- b + – √ b2 – 4 . a . c)/2 . a         (si legga “radice quadrata di b2 – 4 . a . c”, qui non ben visualizzatile per limiti grafici)

(con la quale si ottengono due soluzioni per l’equazione, cioè due valori di x che soddisfano l’eguaglianza tra i due membri dell’equazione), possiamo renderci conto che la nostra equazione goniometrica può essere risolta proprio con questa formula risolutiva, chiamando “t” la tg x e trasformandola in tal modo in un’equazione di secondo grado omogenea non goniometrica:

t2 – 2 . loge2 . t + 2 = 0

dove evidentemente il coefficiente “a” è + 1, il coefficiente “b” è  – 2 . loge2 e il coefficiente “c” è + 2.

Fatto questo percorso e calcolati i due valori dell’incognita “x” con una calcolatrice, sembrerebbe che tutto si sia concluso nel migliore dei modi. Invece, la sorpresa si manifesta quando qualche esperto ci fa notare che non è così scontata la fattibilità di questo percorso…

L’obbiezione è la seguente:

“Se cos2 x fosse uguale a zero, cioè se x fosse un valore risolutivo dell’equazione tale da rendere pari a zero il coseno,

nell’equazione

sin2 x/cos2 x – (2 . loge2 . sin x . cos x)/cos2 x + (2 . cos2 x)/cos2 x =   0/cos2 x

vi sarebbero frazioni con numeratori diversi da zero e denominatori pari a zero. Ed è ben certo che non è ammissibile dividere per zero un determinato numero diverso da zero.

Ora si deve comprendere se vi sia un rimedio.

Prima di considerare valida la divisione di tutti i termini dell’equazione

sin2 x – 2 . loge2 . sin x . cos x + 2 . cos2 x = 0

per cos2 x, si deve fare una verifica. Quale?

Dobbiamo sperare che i valori di x, che rendono pari a zero la funzione coseno, non siano soluzioni dell’equazione

sin2x – 2 . loge2 . sin x . cos x + 2 . cos2x = 0.

Come procedere allora?

Ipotizziamo che esistano valori risolutivi dell’equazione

sin2x – 2 . loge2 . sin x . cos x + 2 . cos2 x = 0

tali da rendere pari a zero il coseno; quindi, azzeriamo il coseno nella sovrastante equazione. Otterremmo 1 – 2 . loge2 . 1 . 0 + 2 . 0 = 0, poiché il seno vale di regola 1, quando il coseno vale zero. Il risultato è 1 = 0, che non è possibile. Quindi, possiamo stare tranquilli: l’equazione in esame non può prevedere come soluzione un valore che renda pari a zero il coseno. Perciò, possiamo dividere tutti i termini dell’equazione per cos2 x, per trasformarla in un’equazione di tipo semplice. Precedentemente avevamo seguito proprio questa procedura, ma trascurando di escludere l’eventualità che vi potesse essere una condizione tale da non consentire questo percorso.

II

Per il secondo esempio propongo la dimostrazione della “disequazione di Bernoulli”, che è

(1 + x)n >= 1 + nx

Si tratta di dimostrare che (1 + x)n >= 1 + nx per ogni n appartenente a N.

Per N si intende l’insieme dei numeri naturali: 0, 1, 2, 3, …, mentre n è un qualunque numero naturale.

Per la dimostrazione si può sfruttare il procedimento induttivo.

Inizio a considerare il caso n = 0, che è il primo numero naturale. Per questo valore di n ottengo (1 + x)0 >= 1 + 0 . x. Qualunque potenza con esponente zero vale uno. Quindi questa disequazione è vera: 1 >= 1.

Passo ora valutare se la disequazione vale anche per gli altri numeri naturali.

Ipotesi (Posto che …,): (1 + x)n >= 1 + nx

Tesi (allora …): (1 + x)n + 1 >= 1 + (n + 1)x

Dopo aver scritto in sequenza l’ipotesi e la tesi, segue la dimostrazione, che consiste in una catena di diseguaglianze. L’inizio è preso dalla tesi:

(1 + x)n + 1 , che posso scrivere alternativamente come (1 + x)n . (1 + x)1

Ora, dall’ipotesi so che (1 + x)n >= 1 + nx. Confrontandola con la tesi sopra scritta, ci si può accorgere che moltiplicando entrambi i suoi membri per  (1 + x)1, il membro di sinistra diventa uguale alla tesi: (1 + x)n . (1 + x)1 >= (1 + nx) . (1 + x)1

L’intera catena di disuguaglianze risulterà infine la seguente:

(1 + x)n + 1 = (1 + x). (1 + x)1 >= (1 + nx) . (1 + x)1 = 1 + x + nx + nx2 = 1 + x(n + 1) + nx2 >= 1 + (n + 1)x

Prendendo gli estremi di questa catena, resta la conclusione della dimostrazione:

(1 + x)n + 1 > = 1 + (n + 1)x

Quindi la disequazione di Bernoulli è valida per ogni n appartenente a N.

A questo punto potremmo essere soddisfatti che tutto si sia concluso con ferrea logica, ma vi è un errore…

In effetti, ci siamo concentrati su uno degli attori, cioè la n, dimenticando la x, incognita che appartiene a un insieme dei numeri reali. Si potrà verificare sperimentalmente che la disuguaglianza di Bernoulli è vera solo se x >= -1.

Posta questa condizione, la precedente dimostrazione è corretta.

III

Il terzo esempio implica la conoscenza delle successioni ricorsive. Sono perciò presentate dapprima alcune note sulle successioni e sulle successioni ricorsive, seguite da un esempio generico e infine da un esempio che ci riconduce alla finalità di questo scritto. Le seguenti note non hanno la pretesa di essere esaurienti sul tema, ma sono finalizzate a comprendere l’esempio finale.

Successioni

Una successione è una sequenza di numeri reali, definiti “termini della successione”, che è ordinata secondo la sequenza dei numeri naturali (0, 1, 2, 3, 4, …). Detto in altri termini, una successione di numeri reali (i numeri reali sono tutti i numeri con uno sviluppo decimale) è una funzione “a” che va dall’insieme dei numeri naturali all’insieme dei numeri reali: a: N –> R.

Visualizzando una successione su un piano cartesiano, il grafico appare formato da punti. Questa discontinuità si spiega perché lungo l’asse x si “salta” da un numero naturale al successivo, non avendo i numeri naturali uno sviluppo decimale. Manca quindi quella continuità alla quale siamo abituati con la maggior parte dei grafici, che sull’asse delle x presentano numeri reali, trattandosi di funzioni di variabile reale.

Si noti anche la differenza di notazione: per indicare le successioni si usa la lettera “a”, mentre le funzioni di variabile reale sono indicate con la lettera “f”. Inoltre, nelle successioni la variabile indipendente è indicata con “n”, posta in pedice alla lettera “a”: an. Invece, nelle funzioni calcolate per valori reali della variabile indipendente, come per es f(x) = x2, la variabile indipendente è posta tra parentesi dopo la lettera “f”.

Succesioni ricorsive

Lo schema generale delle successioni ricorsive è il seguente:

an+1 = f(an)

a0 = alfa appartenente a R (insieme dei numeri reali).

Vi è un dato iniziale (a0) e una funzione f(an) che fornisce la regola per ricavare un termine (an + 1) dal precedente (an).

Se un termine è definito an, i termini precedenti sono nell’ordine an-1, an-2, … e i termini seguenti sono an+1, an+2, ….

Esempio 1

an+2 = an + an+1 a1 = a2 = 1

Questa successione ha il seguente sviluppo iniziale:

a1 = 1

a2 = 1

a3 = a1+2 = a1 + a2 = 2

a4 = a2+2 = a2 + a2+1 = a2 + a3 = 3

a5 = a3+2 = a3 + a3+1 = a3 + a4 = 2 + 3 = 5

Si può intuire che essa tende a + infinito.

Esempio 2.

Nella successione an = 2n – 1, an è uguale a 5 per n =3, essendo (2 x 3) – 1 uguale a 5; il termine successivo an+1 è 7 e si ottiene ponendo n = 4 nella funzione (2n – 1). Il termine precedente, con n= 2, è (2 x 2) – 1, cioè 3.

In una successione ricorsiva si devono studiare due aspetti: la monotonia e il limite.

Detto in modo molto poco formale, la monotonia indica che nel passaggio da un termine al successivo la successione mantiene sempre uno stesso verso di crescita o di decrescita. Vi potrebbero anche essere alcuni termini contigui identici, ma, se vi è monotonia, non si procede mai a salti avanti e indietro.

Chiarire se la successione è monotona è importante, per comprendere se la successione in esame converge a un valore limite. Infatti, solo le successioni monotone hanno un limite definito (teorema di esistenza del limite di successioni monotone). Il valore limite costituisce l’estremo superiore a cui la successione tende, se la successione è crescente, e l’estremo inferiore a cui la successione tende, se la successione è decrescente.

Stabilito che esiste un limite, ne deve essere definito il valore, cioè il valore al quale la successione tende nel suo percorso “monotono”. La notazione di “an tende al valore limite di … per n che tende a + infinito” è “an –> …” dove al punto della punteggiatura metteremo il valore al quale la successione tende, cioè un numero reale o + iinfinito.

In una dimostrazione sul limite di una successione monotona si può provare a impostare un piano logico fondato sull’asserzione del precedente teorema di esistenza del limite delle successioni monotone. Esistono anche piani dimostrativi alternativi. Il piano che utilizza il concetto di distanza richiede un calcolo geometrico e algebrico del limite; successivamente si dimostra che la distanza tra un termine noto della successione e il valore del limite tende a zero. Nel percorso di questo piano si incontra il concetto di lipschitzianità di una funzione e perciò è un percorso più complesso del precedente. Vi sono inoltre il piano con il criterio del rapporto e il piano con il teorema dei carabinieri. Non sempre tutti i piani sono applicabili e deve essere scelto quello più opportuno.

Esempio di dimostrazione del limite di una successione ricorsiva monotona

an+1 = 2/3 . an + 1/an

a0 = 3/2

E’ una successione che tende a procedere all’infinito, a un preciso numero reale o non ha un limite definito? Ricordando il precedente teorema, dovremo preoccuparci innanzitutto di definire se la successione è monotona, crescente o decrescente. Per avere un primo orientamento sulla sua evoluzione si possono inserire a mano alcuni dati:

a0 = 3/2 = 1,5

a1 = 2/3 . a0 + 1/a0 = 5/3 = 2/3 . 3/2 + 2/3 = 5/3 = 1,666

a2 = 2/3 . a1 + 1/a1 = 2/3 . 5/3 + 3/5 = 77/45 = 1,711

Questi primi dati sperimentali indicano che la successione cresce da un termine al successivo. Ma non è sufficiente osservare questo ambito ristretto, si deve dimostrare che il comportamento osservato si estende a tutta la successione. Si deve perciò dimostrare che an+1 > = an per ogni n appartenente a N.

Ma prima di questo punto, è opportuno dimostrare che an > = 3/2, cioè che la successione è limitata inferiormente. E che questo vale anche per ogni termine successivo ad an.

Dunque

I) an > = 3/2 per ogni n appartenente a N?

  • Per n = 0

a0 > = 3/2 ………….. 3/2 è effettivamente > = 3/2

  • n → n+1

Ipotesi: an > = 3/2

Tesi: an+1 > = 3/2

Dimostrazione: an+1 = 2/3 . an + 1/an = 2/3 . 3/2 + 1/(3/2) = 1 + 2/3 = 5/3 > = 3/2

Quindi an+1 >= 3/2, cioè è maggiore/uguale all’estremo inferiore della successione.

II) Ora si dimostra che la successione cresce da un termine al successivo:

an+1 > = an per ogni n appartenente a N

an+1 = 2/3 . an + 1/an > = an

cioè, svolgendo il calcolo:

an2 > = 3

an > = √3 = 1,732051

In conclusione, an+1 > = an è vera per an > = √3, in altri termini la successione in esame è monotona crescente.

III) Avendo dimostrato che la successione è monotona crescente, possiamo affermare per il teorema sull’esistenza del limite delle successioni monotone che la successione in esame ha un limite: an –> m, appartenente a R.

IV) Qual è il valore di questo limite?

an+1 = 2/3 . an + 1/an

an+1 tende a m, come pure an, quindi ponendo nella successione in esame, cioè in an+1 = 2/3 . an + 1/an, sia an+1 , sia an uguali a m, si ha

m = 2/3 . m + 1/m

m = (2m2 + 3)/3m

3m2 = 2m2 + 3

m2 = 3

m = √3 = 1,732051

La successione an+1 = 2/3 . an + 1/an tende a √3.

In sintesi il piano è stato il seguente:

an > = 2/3 per ogni n appartenente a N

an+1 > = an per ogni n appartente a N

an → m appartenente a R

m = √3

Volendo visualizzare con un grafico la situazione, si può osservare che la bisettrice y = x interseca il grafico costituito da due successioni, delle quali una è quella che abbiamo esaminato e che tende alla radice quadrata di 3, crescendo secondo una regola che potrebbe suonare “orizzontale alla bisettrice, verticale al grafico”. L’altra successione è formata da termini inferiori a √3, è posta a sinistra della bisettrice e tende analogamente alla radice quadrata di 3, ma decrescendo monotonicamente.

Presa dimestichezza con l’analisi di una successione, si può finalmente venire al dunque, cioè mostrare la finezza che deve essere riservata a questo tipo di dimostrazioni. Fatto che costituisce un buon esercizio intellettuale, probabilmente utile anche per migliorare l’approccio personale ad applicazioni tecniche che non implicano concetti matematici.

Esempio conclusivo

Forniti nei precedenti paragrafi alcuni utili dati per la comprensione e l’analisi di una successione ricorsiva, è possibile presentare l’esempio che conclude la triade di questo articolo:

an+1 = 1/3 an + an2

a0 = 1/5

Dopo aver calcolato i primi termini

a0 = 1/5 a1 = (1/3) . (1/5) + (1/5)2 = 8/75 = 0,10666 …

a1 = (1/3) . (8/75) + (8/75)2 = 801/50625 = 0,0158 …

ci si orienta a una decrescita della successione, che potrebbe tendere a zero.

Piano:

I) an < = 1/5 per ogni n appartenente a N

II) an+1 < = an per ogni n appartenente a N

III) an –> m appartenente a R

IV) m = 0

Dimostriamo per induzione che an –> 1/5 per ogni n appartenente a N

a) Per n = 0,  a0 < = 1/5, quindi 1/5 > = 0, il che è vero.

b) Posto che an < = 1/5, anche an+1 < = 1/5?

Ipotesi: an < = 1/5

Tesi: an+1 = < = 1/5

Dimostrazione:

an+1 = 1/3 an + an2 = < = (1/3) . (1/5) + (1/5)2 = 40/375 < = 1/5

Quindi tutti i termini della successione hanno un estremo superiore, che è 1/5.

Ora si prosegue come nel caso precedente, ma a questo punto vi è già un errore, nonostante che la sequenza logica appaia corretta. Il gioco consiste nell’individuarlo.

La domanda utile per la soluzione è la seguente:

“E’ certo che in questa successione decrescente an < = 1/5 implichi che an2 sia < = 1/5, cioè che an2 sia uguale a un numero molto più piccolo di 1/5, consentendo alla successione di decrescere, procedendo verso lo zero?

Facciamo un esempio: se an fosse inferiore a -2, quindi inferiore a zero, an sarebbe (-2)2, cioè (-2) . (-2), che è uguale a + 4, quindi an2 non sarebbe inferiore a 1/5! Per an inferiore a zero, an+1 risulterebbe molto al di sopra dello zero! In questo piano si dimostrerebbe quindi che la successione in esame tende a 0, pur ammettendo implicitamente all’inizio della dimostrazione che essa possa “sbandare”, avendo termini sotto lo zero, seguiti da termini sopra lo zero. infatti, solo se an è >= 0 oltre che < = 1/5, allora an2 <= 1/5!.

Quindi, nel piano dobbiamo fin dall’inizio preoccuparci di dimostrare che an sia maggiore/ uguale a zero:

I) 0 > = an < = 1/5 per ogni n appartenente a N

e dimostrare per induzione non solo che an < = 1/5, ma anche che an > = 0:

a) Per n = 0 a0 > = 0, cioè 0 > = 0

b) n –> n+1

Ipotesi: an > = 0

Tesi: an+1 > = 0

Dimostrazione

an+1 = 1/3 an + an2 = 1/3 . 0 + 02 > = 0, poiché per l’ipotesi an > = 0

Chiarito questo non trascurabile dettaglio, il resto del piano procede senza altre insidie. Al punto II) si dovrà risolvere una disequazione di secondo grado con la consueta formula risolutiva e la dimostrazione si concluderà al punto IV), evidenziando che la successione ricorsiva an+1 = 1/3 an + an2 tende a zero, se a0 = 1/5.

Riferimenti audiovisivi

M. Gobbino. Analisi matematica I. In Youtube.

Youmath. Analisi matematica I. In www.youmath.it

<3Math. In Youtube.