di Enrico Ganz

 

Introduzione

Negli ultimi decenni il progresso tecnologico in ambito chirurgico ha consentito di rendere più sicuri e agevoli numerosi interventi. Come esempio, ricordiamo la possibilità di confezionare le anastomosi con suturatrici meccaniche, delle quali esistono modelli adatti per ogni situazione operativa, progressivamente perfezionati, per renderle maneggevoli e sicure. La loro utilità è evidente quando la sutura deve essere confezionata in sedi anatomiche profonde e strette. In altri casi è preferibile la più tradizionale sutura con filo: vi è la scelta tra ottimi materiali sintetici che si assorbono lentamente, consentendo la cicatrizzazione della sutura con una reazione immunitaria trascurabile. Alcuni fili sono più sottili di un capello, consentendo micro-anastomosi vascolari e linfatiche. La struttura degli aghi è stata ottimizzata, sostituendo la cruna con una cavità cilindrica, nella quale in fase industriale è inserito e fissato un capo del filo. Il passaggio degli aghi nei tessuti è agevolato dalla loro forma circolare e dalla loro superficie perfettamente liscia. Questi aghi sono disponibili in forme di varia curvatura, per consentire la migliore manovrabilità in ogni situazione. Il loro diametro è tale da rendere trascurabile il traumatismo sulla parete intestinale. Gli strumenti chirurgici sono prodotti in varietà tali da soddisfare ogni esigenza, per effettuare nel modo più agevole e nel modo meno traumatico possibile un’efficace presa su ogni tipo di tessuto. Il lavoro del chirurgo è agevolato dall’ambiente silenzioso e tranquillo della sala operatoria. L’anestesia e la curarizzazione ampliano le possibilità operative. La sterilità “riveste” ogni elemento che viene a contatto con la cavità addominale. Gli antibiotici completano l’opera con una valida profilassi delle infezioni, coadiuvando inoltre la cura delle infezioni.

Un incubo: il viaggio di un chirurgo nel passato con l’esperienza del presente

Nel saggio divulgativo “Proteggere il passato”, contenuto nel volume “L’universo in un guscio di noce” (9), Stephen Hawking valuta la possibilità teorica di ottenere una via verso il passato. La questione è molto complessa e non è sufficiente liquidarla come una fantasia sulla scorta del proprio buon senso. Comunque, il buon senso non mente, poiché, se il viaggio a ritroso nel tempo potrebbe avvenire su scala subatomica, questa possibilità non esiste per i corpi macroscopici. Al termine di un ragionamento che tiene conto della teoria della relatività il fisico conclude che “la probabilità di avere una distorsione spazio-temporale sufficiente per ottenere un circuito temporale è nulla.”

Il fatto che le leggi della fisica congiurino contro il viaggiare a ritroso nel tempo non dispiace a noi chirurghi, perché l’andar nel passato non sarebbe una bella esperienza persino se la macchina del tempo ci spedisse nell’evoluta civiltà veneziana del 1500. Se in quell’epoca la chirurgia era nel resto del mondo una sorta di servizio da barbieri, a Venezia operava un chirurgo antesignano della moderna chirurgia, Giovanni Andrea Dalla Croce. Egli operò nel corso del 1500 a Venezia e per un breve periodo a Feltre, ottenendo una posizione di rilievo presso il Collegio chirurgico veneziano e svolgendo opera didattica tramite un trattato, intitolato “Cirugia universale e perfetta di tutte le parti pertinenti all’ottimo chirurgo”. La prima edizione risale al 1574 e fu stampata a Venezia (3). L’opera ebbe buona diffusione europea per tutta la prima metà del 1600.

Se fossimo trasportati da una macchina del tempo in tale favorevole contesto culturale, per guadagnarci da vivere, saremmo probabilmente stimolati a proporre la nostra professionalità chirurgica, confortati dalla consapevolezza di avere l’esperienza maturata nel XXI secolo.

Come ci comporteremmo allora di fronte a un paziente eviscerato, che presentasse un’ansa di tenue lesionata per una ferita da lama? Non avendo più le nostre tecnologie e il nostro ospedale, potremmo pensare di trovare qualche soluzione adatta al nuovo contesto lavorativo, consultando il trattato di Giovanni Andrea Dalla Croce. Nel quarto volume egli tratta il modo di suturare le ferite intestinali, riportandovi l’esperienza che egli aveva fatto nei campi di battaglia. Presento di seguito la mia traduzione della sezione relativa alle suture intestinali. E’ una traduzione piuttosto libera nella scelta dei termini e nella costruzione sintattica, per renderne più attuale la resa del testo:

“(…) Quanto alla materia, alcuni degli antichi usano il filo di seta, ma questo materiale sega e causa dolore. I medici dopo di loro erano soliti adoperare il filo di lino.

Alcuni chirurghi, come riferisce Albucasis, congiungono i margini della soluzione di continuo intestinale con le teste di alcune formiche grandi, alle quali tagliano il collo dopo che hanno con il becco abbracciato e congiunto insieme i margini della ferita. Sono quindi lasciate solamente le teste applicate alle parti tagliate dell’intestino: in questo modo credono che si possano efficacemente cicatrizzare le ferite.

Alcuni altri fra i chirurghi moderni formano fascette – simili al filo per lunghezza e calibro – con l’intestino tenue di alcuni animali e le utilizzano per cucire le ferite intestinali.

L’uso delle formiche non piace a molti, sia perché non si possono trovare sempre e in ogni luogo simili formiche, sia perchè in breve tempo esse vanno in putrefazione e cadono. Inoltre, è chiaro che, tagliate le teste, esse perdono rapidamente le forze utili per tenere uniti i margini. Quindi, questo metodo non è utile. Neppure sono una buona alternativa gli intestini degli animali: in ambiente umido e a causa del calore corporeo queste fibre cedono o vanno in putefazione e rendono la ferita putrida.

Vi sono medici che utilizzano una carta pergamena, di quel tipo che utilizzano i Notai per scrivere i testamenti, e le tagliano sottilmente, fino ad ottenere un filo che può essere infilato nell’ago. Questi fili sono bagnati nel vino tiepido e con questi cuciono le ferite nel modo in cui i pellicciai cuciono le pelli. Altri medici inseriscono nell’intestino una cannetta di sambuco, effettuandovi sopra la cucitura. Alcuni altri seccano le trachee delle oche e le pongono nell’intestino per lo stesso scopo.

Coloro che seguono gli eserciti e vanno con l’armate del mare, molto esercitati nella pratica di Chirurgia, cuciono non solamente il colon, ma anche l’intestino tenue. Essi affermano che il colon si eviscera raramente, eccetto che nel caso di ferite molto ampie (…).

Il colon deve essere cucito con un ago triangolare e con un filo di lino forte, facendo i comuni nodi che si usano per cucire i sacchi, le pelli o qualunque altra cosa. I punti devono essere ravvicinati e il filo non deve essere tagliato corto, ma deve fuoriuscire dalla ferita, in modo che quando sia marcito lo si possa asportare. Al termine gli intestini devono essere lavati con vino bianco tiepido e di buon odore. La ferita deve essere cosparsa di una polvere composta da aloe, mastice e sangue di drago.”

Avvalendosi dei consigli contenuti in questo testo, un chirurgo apprendista dell’epoca sarebbe orientato ad effettuare una sutura a punti staccati con filo in lino, annodando i fili nel modo in cui si usa comunemente nella vita quotidiana. Non taglierebbe corti i capi dei nodi, come si usa attualmente, ma li farebbe uscire dalla ferita, al fine di poterli rimuovere quando iniziano a marcire. In alternativa ai fili utilizzerebbe striscioline di pergamena, arrotolate nel vino e inserite nella cruna dell’ago a mo’ di filo. Si tratta evidentemente di un presidio precursore dei fili in catgut, nella nostra epoca ormai desueti da almeno una ventina di anni.

Quanto a noi, tristemente trasferiti in quel passato, chiuso il libro, inevitabilmente metteremmo a confronto la nostra esperienza moderna con quell’antica sapere, per comprendere quali possano essere le nostre concrete possibilità operative. Dovremmo prendere atto di poter utilizzare solo materiali di origine naturale: il lino, la seta e striscioline di pergamena. Affidandoci all’esperienza chirurgica maturata nella prima metà del XX secolo da qualche vecchio maestro, saremmo propensi ad utilizzare la seta per le suture intestinali, essendo scarsamente immunogena, e il lino per i lacci emostatici. Dovremmo poi esprimere un giudizio sull’opportunità di utilizzare striscioline di pergamena in alternativa ai fili. La pergamena è di origine animale come il catgut. Sappiamo che il catgut è un derivato dall’intestino animale e che era un ottimo materiale per le suture intestinali in termini di biocompatibilità. Fino agli anni ’90 del secolo scorso alcuni chirurghi utilizzavano questo materiale per le suture. Tuttavia, il suo rapido assorbimento comporta la precoce perdita della forza tensile. Per questo motivo i fili destinati alle suture subivano un trattamento chimico con il cromo. Il “catgut cromico” ha un più lento assorbimento rispetto al catgut non trattato, consentendo la cicatrizzazione di un’anastomosi intestinale prima di disgregarsi. Non potendo effettuare il trattamento cromico, probabilmente avremmo qualche perplessità sull’utilizzo dei nastrini di pergamena e preferiremmo la seta, discretamente biocompatibile.

Per quanto riguarda la modalità di confezionare le suture intestinali, volendo usare la seta, dovremmo concordare sul confezionamento della sutura a punti staccati, piuttosto che in continua. In questo modo il materiale può essere facilmente espulso in caso di rigetto. Il fatto di far fuoriuscire i capi dei punti dalla ferita, come consigliato dal nostro consulente veneziano, non ci sarebbe particolarmente gradito, ma non è escluso che possa essere una prudenza dettata dall’esperienza in situazioni operative da noi mai conosciute. In particolare sarebbe per noi un elemento del tutto nuovo l’assenza di sterilità e di rimedi contro le infezioni. Non potendo avvalerci di terapie antibiotiche, potremmo desiderare che un cavo peritoneale molto contaminato da una lesione intestinale sia perlomeno lasciato aperto, ma questa possibilità è preclusa in assenza di un’assistenza specialistica e di un ampio bagaglio di presidi raffinati e costosi. Penseremmo a quel lontano tempo futuro in cui esisteva ben codificata la tecnica della laparostomia, consistente nel tenere la ferita aperta, ma coperta da presidi sterili in un ambiente protetto, quale può essere una Rianimazione, dove sia inoltre possibile regolare l’equilibrio idro-elettrolitico e monitorare i parametri-emato-chimici. Non essendoci queste risorse e non avendo la possibilità di effettuare una laparotomia, privi di risorse anestesiologiche e di presidi sterili, come potremmo effettuare un lavaggio peritoneale e l’esplorazione della matassa ileale alla ricerca di altre lesioni viscerali? Innanzitutto, dovremmo tentare di effettuare l’esplorazione della matassa ileale ampliando la ferita addominale quanto basta per svolgerla con l’ausilio di due pinze preventivamente messe in acqua bollente. Poi, tenendo all’esterno l’ansa intestinale lesionata, dovremmo cercare di lavare il cavo peritoneale con acqua tiepida dopo averla fatta bollire sul fuoco. Versata l’acqua nel cavo addominale, dovremmo far uscire il liquido di lavaggio modificando i decubiti del paziente, non disponendo di un aspiratore e di energia elettrica.

In alternativa alla sutura intestinale dovremmo valutare se non fosse più prudente confezionare una stomia, suturando con punti in seta i bordi della lacerazione intestinale al contorno della ferita. A tal fine è essenziale escludere che la lesione sia a una distanza dal Treitz inferiore a un metro; in caso contrario l’inevitabile sequela sarebbe una sindrome da intestino corto, incurabile, non esistendo nutrienti artificiali da infondere endovena. Se non fosse possibile confezionare una stomia, sarebbe necessario riporre l’intestino nel cavo peritoneale dopo averlo suturato a punti staccati in seta. La disponibilità di una pinza porta-aghi sarebbe utile per facilitare le manovre in corso di sutura. Probabilmente dovremmo accontentarci di manovrare un ago retto da sarto con le dita, nell’attesa di rivolgerci a un fabbro per la fabbricazione di pinza, porta-aghi e aghi circolari con cruna abbastanza capiente da accogliere un filo in seta. Per quanto concerne il tipo di ago utilizzabile per la sutura intestinale Dalla Croce esprimeva la preferenza per aghi triangolari. Oggi sappiamo che gli aghi triangolari, piuttosto taglienti, sono adatti per il tenace tessuto cutaneo, mentre per l’intestino è meglio utilizzato un ago a sezione circolare. Quindi, ottenuti da un fabbro frammenti metallici approssimativamente a forma un ago, dovremmo limarli accuratamente per arrotondarli, assottigliarli e intagliarvi una cruna.

In un’epoca in cui non si conoscevano batteri, virus e miceti, empiricamente Dalla Croce riteneva idoneo per il lavaggio dell’intestino un vino bianco tiepido e di buon odore. L’utilizzo del vino nel trattamento delle ferite era già noto duemila anni fa, essendovi un riferimento a questo metodo nella parabola del Buon Samaritano di Gesù. Oggi possiamo affermare che effettivamente un vino con odore acetico è contaminato da miceti e il buon odore esclude questa pericolosa eventualità. Il contenuto alcolico del vino rende certamente poco contaminato questo liquido e lo rende interessante per la disinfezione in assenza di qualunque altro disinfettante. Potremmo quindi far tesoro del consiglio. Forse potremmo reperire qualche tipo di superalcolico, ma non sarebbe migliore di un buon vino per il lavaggio del cavo peritoneale: un elevato contenuto di alcool potrebbe avere effetto lesivo sul peritoneo. Inoltre, l’assorbimento transperitoneale dell’alcool potrebbe tradursi in un effetto ipotensivo, che aggraverebbe lo stato di shock conseguente all’intenso dolore e alla perdita di sangue del nostro paziente.

Al termine della sutura dovremmo infine valutare il seguente consiglio del nostro Dalla Croce, ovvero l’applicazione sulle aree lesionate di una mistura composta da aloe, mastice e sangue di Drago. Oggi sappiamo che l’aloe non ha significative proprietà antibatteriche. Dioscoride e Teofrasto riconoscevano al mastice di Chios, resina prodotta dall’arbusto Pistacia lentiscus, proprietà benefiche per l’intestino e per lo stomaco. Un recente studio ha evidenziato che in pazienti affetti da morbo di Crohn in fase di attività esso inibisce l’interleuchina 6, un mediatore dell’infiammazione, e aumenta il potere anti-ossidante nel plasma. Ne consegue un effetto benefico (8). Non ne è invece ben chiarito l’effetto battericida (2,6), che probabilmente è molto blando. Infine, un effetto benefico nelle ulcere gastro-duodenali, come ritenuto in passato, non è stato confermato (1). Il terzo componente della mistura, il sangue di Drago, ha blande proprietà antibatteriche, che ne potrebbero al massimo consentire il suo uso per la conservazione dei cibi (5). Mastice di Chios e sangue di Drago hanno proprietà anti-ossidanti (4,8,7), utili per la guarigione di ferite e di ulcere. Potremmo quindi decidere che vi è un razionale nell’utilizzo di mastice di Chios e di sangue di Drago in assenza di alternative.  Ma dove applicarlo? Non sembra prudente applicarlo sulla linea di sutura intestinale, non conoscendo la risposta immunitaria verso questo composto. Potrebbe infatti stimolare una reazione da corpo estraneo nel cavo peritoneale. Più utile forse applicarlo su ulcere cutanee o su una ferita cutanea che dovesse guarire per seconda intenzione.

Il nostro intervento si concluderebbe con  una sutura cutanea, non potendosi suturare gli strati parietali più profondi per l’intollerabile dolore del paziente. Tuttavia, leggendo i consigli di Dalla Croce nella sezione dedicata alla sutura della parete addominale, forse troveremmo qualche espediente per fare almeno il tentativo di una sutura fasciale.

Un altro incubo: il futuro della Sistema sanitario precipiterà nel passato?

Siamo giunti al termine di questa riflessione, che al lettore potrà apparire piuttosto stravagante, ma che dovrebbe far riflettere su una prospettiva altrettanto inquietante: la Sanità è destinata a un viaggio di ritorno nel passato?

Per quali motivi potrebbe mai esserci questa possibilità? Qualcuno potrebbe ipotizzare che un giorno fili di sutura sintetici, aghi, suturatrici meccaniche, elettrobisturi, pinze a ultrasuoni e macchine sterilizzatrici, come più in generale i supporti tecnologici presenti in ogni ambito del vivere quotidiano, non saranno disponibili per l’esaurimento dei prodotti energetici forniti dalla litosfera e ampiamente utilizzati dall’industria.

Non necessariamente. Su questo aspetto si può essere ottimisti. L’essere umano avrà sufficiente intelligenza per comprendere le soluzioni tecnologiche, utilizzando matematica, sperimentazione e manualità. Non vi sarà da temere di dover affrontare in futuro un intervento chirurgico nel modo sopra immaginato, perchè lo sfruttamento dell’energia solare consentirà di mantenere l’illuminazione delle sale operatorie, il funzionamento delle macchine sterilizzatrici e la produzione dei materiali che entrano nella composizione di suturatrici e di fili.

Il vero problema è un altro, restando nell’attualità e in tema di Sanità. Non è fuori luogo ricordare che oggi anche nella nostra Sanità pubblica qualche problema di risorse esiste, benché di altro tipo. Non si tratta di carenza di risorse energetiche, ma di risorse economiche, che si riflette attualmente più sugli organici, che sulle tecnologie. Non per questo è un problema marginale; anzi, è una situazione tale potersi tradurre in una significativa regressione dei progressi raggiunti nell’assistenza sanitaria alle persone che necessitano di cure. A tal fine può essere interessante considerare la recente esternazione di un sindacalista dei medici ospedalieri, ampiamente condivisa da tutte le sigle sindacali dei medici ospedalieri in previsione dello sciopero previsto per il prossimo 23 novembre:

“Cari amici forse non è chiara la situazione.

La politica spinge verso un cambiamento del SSN e pertanto verso una sanità privata assicurativa ricca per i ricchi e una sanità pubblica meno ricca e low cost per gli altri. Nella prima saremo tagliati fuori perché dipendenti, nella seconda saremo invece un costo da comprimere ! 

Questo disegno per realizzarsi ha bisogno di tre cose:

1) la riduzione del finanziamento del SSN per indurre l’inefficienza;

2) la criminalizzazione mediatica della medicina pubblica ospedaliera per indurre disaffezione nella gente;

3) la progressiva disaffezione e resa dei dirigenti medici dipendenti (ultimo ostacolo importante). 

Deve però evitare che questo si realizzi troppo in fretta e sia smascherato il disegno politico di tutti. Hanno paura delle reazioni dell’opinione pubblica dinanzi ad una minaccia politica alla salute. I medici dipendenti li temono di meno perché hanno dimostrato negli ultimi 10 anni di essere individualisti, paurosi, un po’ vigliacchi e soprattutto senza orgoglio e dignità.

Oggi siamo sull’orlo del burrone dove ci hanno spinto per ignavia della categoria. O diventiamo un problema politico e un’emergenza politica nazionale per i governi nazionali e regionali con una forte adesione a scioperi, manifestazioni e qualunque altra cosa utile o saremo definitivamente tagliati fuori!

Non è in ballo solamente un rinnovo contrattuale dopo nove anni, ma il nostro futuro come medici e come pazienti. (…).

Il nostro compito è quello di farlo capire ai nostri colleghi, usando tutti gli strumenti possibili.”

Si dovrebbe a questo punto comprendere per quale motivo la politica dovrebbe essere tanto ostile nei confronti del sistema sanitario pubblico. E innanzitutto chiediamoci: si tratta di malvagia ostilità nei confronti del personale sanitario? Oppure di incompetenza nella gestione delle risorse economico-sanitarie? O, ancor peggio, d’impotenza gestionale?

Ai costi sanitari che lievitano per l’aumentare di età della popolazione e per l’innovazione tecnologica si oppone una crisi economica con riduzione della forza lavoro per disoccupazione e invecchiamento della popolazione. Qual è la soluzione?

Il problema del finanziamento sanitario è più arduo dello sfruttamento energetico. Quando intervengono fattori economici e sociali, che incidono negativamente sulla crescita economica, è molto, o anche troppo, complesso riuscire a coniugare il contenimento della spesa sanitaria con l’efficienza del servizio sanitario.

Forse, uno degli elementi sul quale riflettere è quale sia l’entità di quel che deborda dal contenitore dell’utile, per essere costosa comodità d’uso: l’ipertrofia tecnologica, ovvero l’eccesso tecnologico, e la massiva espansione dei presidi “usa e getta”. E valutare quali siano i loro costi. Questi aspetti dovrebbero essere ben definiti, indagati e disincentivati. Ma probabilmente non è una soluzione sufficiente in assenza di un massiccio sostegno economico del Sistema sanitario da parte dei cittadini contribuenti; un’azione che dipende sia dalla loro volontà, sia dalle loro attuali possibilità economiche, sia dal sostegno economico, piuttosto che dalle spese, che gli immigrati potranno fornire, inserendosi nell’attività lavorativa.

Bibliografia

  1. Al-Said MS, Ageel AM, Parmar NS, Tariq M. Evaluation of mastic, a crude drug obtained from Pistacia lentiscus for gastric and duodenal anti-ulcer activity. J Ethnopharmacol 1986; 15: 271-8.
  2. Bebb JR, Bailey-Flitter N, Ala’Aldeen D, Atherton JC. Mastic gum has no effect on Helicobacter pylori load in vivo. J Antimicrob Chemother 2003; 52: 522-3.
  3. Dalla Croce GA. Cirugia universale e perfetta di tutte le parti pertinenti all’ottimo Chirurgo. Ed. Giordano Zinetti; Venezia, 1583.
  4. Dedoussis GV, Kaliora AC, Psarras S, Chiou A, Mylona A, Papadopoulos NG, Andrikopoulos NK. Antiatherogenic effect of Pistacia lentiscus via GSH restoration and downregulation of CD36 mRNA expression. Atherosclerosis 2004; 174: 293-303.
  5. Gupta D, Gupta RK. Bioprotective properties of Dragon’s blood resin: in vitro evaluation of antioxidant activity and antimicrobial activity. BMC Complement Altern Med 2011; 11: 13
  6. Huwez FU, Thirlwell D, Cockayne A, Ala’Aldeen DA. Mastic gum kills Helicobacter pylori. N Engl J Med 1998; 339: 1946.
  7. Jiang Y, Zhang G, Yan D e al. Bioactivity-guided fractionation of the traditional chinese medicine resina Draconis reveals luoreirin B as a PAI-1 inhibitor. Evid Based Complement Alternat Med 2017; 2017: 9425963.
  8. Kaliora AC, Stathopoulou MG, Triantafillidis JK e al. Chios mastic treatment of patients with active Crohn’s disease. World J Gastroenterol 2007; 13(5): 748-52.
  9. Hawking S. L’universo in un guscio di noce. Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002.