penso che sia giunto il momento di cominciare a considerare alcuni sconcertanti aspetti della recente attività dell’Ordine dei Medici della nostra Provincia.
Ma prima di questo, è opportuno chiedersi quale sia l’attuale indirizzo strategico dell’Ordine. A questo proposito, nel 2014 l’allora Presidente dell’Ordine, dott. Scassola, riferendosi a contrasti interni al Consiglio dell’Ordine, scrisse:
“Credo che un motivo di fondo (per spiegare la frattura all’interno del nostro Ordine) sia l’incapacità di vedere le cose da un punto di vista alto, istituzionale; un’incapacità che non riesce a separare il ruolo sindacale dal ruolo istituzionale. Nelle nostre scelte dobbiamo sempre rapportarci alle funzioni dell’Ordine professionale come organo ausiliario dello Stato. Esso non può quindi subire condizionamenti di tipo contrattualistico-rivendicativo, ma deve sempre porsi al servizio del miglioramento continuo della qualità della professione.”
Questo scritto è di notevole importanza per comprendere l’evoluzione politica dell’OMeCO veneziano negli ultimi anni, sempre più attento a essere organo ausiliario ministeriale e sempre più distante dalle esigenze di tutela professionale dei singoli iscritti. Ne è prova la sensibilità, nonché la subordinazione, mostrata dall’Ordine a istanze politiche, espressesi a livello centrale, sul tema delle pari opportunità e della parità numerica di genere nelle Istituzioni. Nel 2013 comparve perciò nel Bollettino dell’Ordine provinciale la seguente proposta, accuratamente articolata: al fine di raggiungere la parità numerica di genere (maschile e femminile) nel Consiglio dell’Ordine si sarebbero dovute approvare determinate norme impositive, precludenti l’accesso alle cariche ordinistiche della quota di genere maschile eccedente il 50%, indipendentemente dai meriti e dalle decisioni elettorali.
A questa strana ipotesi risposi con la seguente lettera, indirizzata alla dott.ssa Piai e al dott. Scassola:
“Cari colleghi, comprendo la bontà dell’intenzione. Da una notizia letta su L’Espresso mi sembra di capire che vi sia una linea politica anche a livello europeo che propone modalità per elevare con norme impositive la presenza femminile nei Parlamenti. Tuttavia, sappiamo che i politici sono poco propensi a utilizzare la metodologia scientifica e molto meglio quella demagogica, mentre noi da quella scientifica siamo nobilitati.
Dunque, per comprendere se la proposta sia valida, si dovrebbe evidenziarne con criterio scientifico la metodologia utilizzata nell’analisi del problema. Perciò: è stato sottoposto un test ai medici, per comparare la motivazione di ciascun genere alla partecipazione alle attività ordinistiche e per definire i motivi di un’eventuale differenza tra i due gruppi in esame? E’ stato effettuato un rigoroso studio sui meccanismi distorsivi che escludono le donne da un’effettiva possibilità di rappresentanza? Quali sono gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l’effettiva partecipazione delle donne? Vi sono ostacoli o vi sono loro scelte?
E’ evidente che il progetto avrà successo solo a due condizioni: che le donne medico siano veramente motivate ad assumere incarichi ordinistici e che vi siano veramente “meccanismi distorsivi” che impediscono loro di assumerli contro il loro desiderio.
Chiarire questi aspetti è molto importante, poiché, se si decidesse di procedere a un intervento correttivo della legislazione ordinistica nell’esclusiva ipotesi che sussista una discriminazione patita dalle donne e infine si assistesse al fallimento di questo intervento per il fatto che le donne non fossero particolarmente motivate alla partecipazione o nella partecipazione e che questi meccanismi distorsivi non sussistessero, si prenderebbe infine atto che questo intervento correttivo, attuato con modalità impositiva, avrebbe operato una discriminazione nei confronti del genere maschile. E questo non è ammissibile.”
La risposta giunse qualche tempo dopo. Il progetto fu giustificato dal Presidente con queste parole:
“L’innovativa proposta del nostro Ordine nasce all’unico scopo di superare una diseguaglianza in termini di rappresentanza di genere e di consentire proprio la possibilità di piena attuazione dell’art. 51 della Costituzione. Ciò d’altra parte costituisce una chiara esplicitazione dell’art. 3, comma 2 della Costituzione, dove si prevede che la Repubblica (e dunque il competente Ordine dei Medici, che dello Stato costituisce una particolare articolazione) debbe intervenire per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto l’eguaglianza e la libertà dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Non riporto la mia risposta dettagliata, peraltro disponibile per chi me la richiedesse. Non è necessaria, perché è facilmente intuibile che la Costituzione non potrebbe prevedere una discriminazione di genere, come quella che si voleva attuare con questo progetto. Un progetto, che certamente risentiva di istanze politiche del momento, piuttosto distanti dalle esigenze della categoria medica e, speriamo, non più attuali. E’ infatti ben riconosciuto che l’“affermative action” di genere è una politica discriminatoria, quindi lesiva della dignità umana. E’ una politica, che nega incarichi e posti di lavoro a personale meritevole a favore di personale che appartiene all’altro genere (in questo caso femminile) indipendentemente dalle sue qualità professionali. Non può che suscitare serie preoccupazioni il fatto che un Presidente dell’Ordine dei Medici abbia sostenuto l’opportunità di questa politica discriminatoria e che ora egli sia progredito ulteriormente nella carriera ordinistica.
Un’altra conseguenza, ancor più triste, del “volare alto”, senza degnarsi del particolare, si può comprendere dal seguente caso di un medico che chiese aiuto all’Ordine veneziano, essendogli stata negata con modalità eticamente discutibile l’assistenza da parte di un consulente medico-legale, afferente alla Compagnia assicuratrice che avrebbe dovuto tutelarlo, nel corso di un processo in cui egli era stato ingiustamente accusato. Il medico fu assolto e successivamente chiese l’avvio di un provvedimento disciplinare nei confronti del medico legale, che si era rifiutato di assisterlo. Per comprendere le motivazioni di questa richiesta, esaminiamo meglio, seppur sinteticamente, la vicenda. In base alle clausole assicurative la Compagnia assicuratrice aveva assegnato al medico imputato un medico legale per difenderlo. In realtà, in termini economici l’Assicurazione non aveva alcun interesse a difendere questo imputato, dovendo pagare il risarcimento alla parte danneggiata anche qualora egli fosse stato infine riconosciuto non colpevole del danno. Risultato: il medico legale, che avrebbe dovuto difendere l’imputato, preparò una sbrigativa memoria accusatoria (sottolineo, accusatoria, non difensiva) nei confronti dell’imputato, concludendo che “L’imputato è indifendibile”. Ovviamente l’imputato dovette rivolgersi a un altro medico legale. E dimostrò successivamente che la difesa esisteva; che era adeguata a scagionarlo sulla scorta delle evidenze cliniche. L’attribuzione dell’incarico a un diverso consulente medico legale costò 15000 euro al nostro accusato, che, perciò, si recò all’Ordine dei Medici, perché si chiedesse conto al medico legale del suo riprovevole comportamento. Il Presidente, dott. Scassola, rinviò ripetutamente la presa in carico del problema deontologico, risolvendosi infine a indirizzare il collega, che chiedeva il provvedimento disciplinare, a un medico legale, consigliere dell’Ordine, per ricevere chiarimenti. Il medico legale consigliere gli rispose che non vi era da sorprendersi per l’atteggiamento del consulente dell’assicurazione, cioè non vi era da sorprendersi che egli avesse preparato una difesa accusatoria, invece che difensiva: “Si devono considerare i conflitti di interesse”.
Dunque, a quanto pare, per l’Ordine dei Medici l’essere al soldo di un’Assicurazione giustifica un medico legale dall’esimersi dal difendere un collega, seppur “tutelato” da quella stessa Assicurazione, nel momento in cui la Compagnia assicuratrice gli dà indicazione di non provvedere alla difesa, non essendovi interessata. E non solo: lo giustifica a disimpegnarsi dalla difesa, allestendo una delirante memoria accusatoria, che evidentemente obbliga l’imputato a bussare a un’altra porta.
Riporto un secondo caso interessante, verificatosi più recentemente, nel 2016. Come alcuni forse sanno, un chirurgo dipendente presso la Chirurgia generale dell’ospedale dell’Angelo è stato licenziato. Questi i fatti descritti nella sua lettera di saluto ai colleghi:
“E’ capitato che un collega mi abbia impedito fisicamente, appoggiandosi al mio fianco, di condurre un’intervento di chirurgia intestinale, per il quale ero stato segnato come primo operatore nella lista compilata dal direttore di U.O.. Ruolo di primo operatore, per il quale ero peraltro in pieno accordo con il collega che mi aiutava. Il motivo di questa decisione non era volutamente specificato e rimane tuttora imprecisato. Comunque, secondo il collega, sarebbe dovuto diventare primo operatore il chirurgo che mi aiutava, mentre egli lo avrebbe aiutato al mio posto. Essendo perplesso per questa decisione, invece di “obbedire”, ho invitato il personale di sala a chiamare il direttore dell’ospedale per un chiarimento, non essendo in servizio il direttore dell’U.O. chirurgica. Quando il direttore dell’ospedale ha confermato quanto richiesto dal mio collega, “perché egli aveva dato un ordine in quanto sostituto del direttore” sono prontamente uscito dalla sala operatoria. Il tutto si è svolto pacificamente, per quanto fossi estremamente sorpreso da questa soluzione, certo non gradita. Alcuni giorni dopo il dott. L., direttore dell’ospedale, ha richiesto l’avvio di un procedimento disciplinare nei miei confronti, adducendo motivazioni deontologiche, e presso l’U.O. Risorse Umane si è deciso di provvedere con il licenziamento con motivazioni piuttosto “particolari”: la paziente avrebbe potuto correre un importante rischio di complicanze, causato da un ritardo (eppure, non da me causato) nella prosecuzione dell’attività operatoria. Inoltre, avrei dovuto sottostare alle indicazioni del facente funzioni (seppur non motivate e immotivabili).
Non so se a qualcuno possa sembrare strano tutto questo; perlomeno potrebbe forse pensare che vi sia qualche altra spiegazione. In realtà, questi sono in essenza i fatti, documentati e certamente disponibili per qualunque collega che avesse l’interesse di richiedermeli in visione. Preciso anche che, dati alla mano, la qualità della mia attività operatoria non è mai stata inferiore a quella dei colleghi ed è quindi assolutamente affidabile.”
Il medico si rendeva disponibile per far visionare tutta la documentazione relativa al licenziamento.
Sorprendentemente alcuni giorni dopo comparve nei quotidiani la notizia di un licenziamento che il nostro chirurgo avrebbe subito per essere arrivato in sala operatoria tardivamente e per aver in aggiunta litigato con il Primario. In altri articoli si affermava invece che egli non aveva risposto a una chiamata in urgenza. Si aggiungevano altri particolari diffamanti, completamente estranei al fascicolo relativo al licenziamento e alla verità.
Non solo: ricevute queste notizie, il Presidente dell’Ordine dei Medici, dott. Leoni, non si preoccupava di acquisire informazioni e, prima di ricevere il fascicolo relativo al licenziamento per motivi disciplinari, pur sapendo che per norma esso deve essere trasmesso all’Ordine dei Medici, si affrettava a pubblicare nel mese di ottobre presso i medici via mail un articolo dedicato a questo evento, allegando gli articoli dei giornali. Favoriva così la diffusione della diffamazione presso la comunità dei colleghi. Una diffusione, che egli avrebbe potuto e dovuto evitare, attendendo di ricevere il fascicolo dall’ULSS, secondo le norme vigenti. A quel punto, avrebbe dovuto esprimere la solidarietà al collega, invece di pubblicare uno scritto a difesa della categoria medica, lasciando nel vago la responsabilità del collega.
Un’agire assolutamente biasimevole, censurabile.
Fatto ancor più grave: ricevuta la documentazione e preso atto delle motivazioni del licenziamento, il dott. Leoni provvedeva a ripubblicare su carta, nel Bollettino 2/2016 di novembre, lo stesso articolo senza tenere conto di quanto nel frattempo emerso.
Concludo con un’ultima osservazione. Nel dicembre 2014 il Presidente dell’Ordine, dott. Scassola, scrisse delle sue emozioni “vissute durante la recente tornata elettorale. Mai vi era stata nella Storia del nostro Ordine una tale partecipazione al voto: 1366 votanti!”
Tutti gli iscritti all’Ordine ricorderanno che l’atmosfera elettorale era stata “elettrizzata” da due liste contrapposte, come nello stesso articolo ammetteva anche il dott. Scassola, non indicandolo certo come fatto positivo. Infatti, la presenza di due liste contrapposte è chiaro indizio dell’esistenza di interessi di parte contrapposti. Una situazione che mal si accorda con l’indirizzo ormai assunto dall’Ordine dei Medici anche con il nuovo Consiglio e con il nuovo Presidente,
dott. Leoni: essere prioritariamente organo ausiliario dello Stato.
Siamo d’accordo: l’Ordine dei Medici non deve sostenere interessi di parte che, pur legittimi, devono restare in carico ai sindacati. Ma esso non può interloquire autorevolmente con politici e con cittadini e avere autorevolezza presso i medici, se trascura di interloquire con i medici, sostenendone le ragioni, quando subiscono atti deontologicamente scorretti da parte di colleghi o di personale amministrativo. L’ordine dei Medici deve avere l’umiltà di prendere in esame problemi del tipo che ho esposto, perché, partendo dai singoli casi, dalle singole esperienze degli associati, si ascende alle soluzioni che migliorano la qualità lavorativa di ogni iscritto. Se non si segue questa via, la partecipazione dei medici alle elezioni ordinistiche subirà ed è auspicabile che subisca un progressivo calo. Tanto più auspicabile, se coloro che operano nelle cariche ordinistiche si pongono contro i colleghi secondo gli opportunismi che emergono nei conflitti di interesse in cui sono implicati. Ricordiamo che il dott. Leoni è dipendente della stessa ULSS che ha provveduto al licenziamento del collega. E che egli gode di un incarico, garantitogli dal responsabile del licenziamento del collega. Perciò, diventa evidente il conflitto di interesse e rattrista il modo in cui egli lo ha risolto.
Vi è ben di più, che preoccuparsi di quote rosa! Non si illudano, i dipendenti dell’ULSS 3 Serenissima, di essere ben rappresentati e tutelati in caso di difficoltà da un Presidente che lavora nella loro stessa ULSS. Abbiamo constatato quale esito egli sia stato disponibile a dare in una situazione di conflitto di interesse, come quella qui evidenziata.
Sia questo un memento per le prossime elezioni ordinistiche.
Cordiali saluti
Dott. Enrico Ganz