di  Enrico Ganz

Uno tra i misteri “personali” che finora non sono stato in grado di risolvere è il motivo per il quale nelle ore notturne percepisco un significativo calo della temperatura esterna in forma di lieve sensazione di freddo nell’ambiente interno in cui mi trovo, nonostante che nell’ambiente interno la temperatura e l’umidità, registrate in mia vicinanza, appaiano immutate rispetto al giorno precedente, essendovi una regolazione termostatica del riscaldamento domestico. Non è semplice comprenderne il motivo e perciò, tra le ipotesi, mi è persino capitato di immaginare fugacemente che vi fosse un terzo misterioso parametro oppure una magica correlazione tra me e l’ambiente esterno. Ovviamente la spiegazione dovrebbe essere ragionevolmente molto più terrena, nei limiti dei parametri fisici noti e in conformità al principio secondo il quale un effetto è correlato al suo fattore causale per mediazione di materia o di energia. Ma è comunque ben vero che una delle questioni più intriganti nella comprensione della realtà in cui viviamo è: “Che entità è realmente lo spazio?” 

Nella nostra vita lo spazio ci appare un “vuoto”, nel quale trovano collocazione entità tridimensionali: oggetti, esseri viventi, vegetali, atomi, corpi celesti. In realtà, la questione non è tanto semplice.

L’entanglement (si veda l’articolo pubblicato in questo sito in aprile 2016 “I limiti della conoscenza. Il bordo della tre-sfera e l’entanglement”) ha posto i fisici di fronte all’evidenza che nel mondo subatomico esiste la “non località”, principio secondo il quale può esistere un rapporto causa-effetto tra un agente causale e un oggetto su cui la causa agisce, indipendentemente da una trasmissione di mediatori energetici (per es fotoni) tra l’uno e l’altro. Accade in tal modo che la modifica di una proprietà in una particella si traduce simultaneamente nella modifica di una particella che le è correlata, che è “entangled”, indipendentemente dalla distanza che le separa, fosse anche in termini di milioni di chilometri. Dopo la conferma sperimentale di questo straordinario fenomeno, il principio della non località ha contribuito a mettere in crisi il concetto di spazio, concorrendovi con altre inspiegabili scoperte, quale, per esempio, l’allontanamento delle galassie tra loro non tanto per lo spostarsi nello spazio l’una rispetto alle altre, ma a causa dell’espansione accelerata dello spazio nell’Universo e quindi dello spazio tra loro interposto. Lo spazio è misteriosamente intessuto dai campi di forza gravitazionale, elettromagnetico e nucleare; il campo gravitazionale è verosimilmente tra i fattori implicati nell’espansione dello spazio. Le teorie non mancano, ma il problema è ottenerne un’inconfutabile evidenza sperimentale. E’ invece certo che lo spazio è un’entità fisicamente non trattabile separatamente dal tempo, motivo per cui è più correttamente definito “spaziotempo”. Lo spaziotempo è quadridimensionale, è definito da tre coordinate spaziali e da una coordinata temporale.  

Per complicare ulteriormente la questione, le possibili implicazioni teoriche di una teoria proposta nel 1997 dal fisico J. Maldacena ci induce a non essere neppure certi che i processi fisici si svolgano nello spazio tridimensionale che noi sperimentiamo. La teoria è stata presto confermata matematicamente da altri studiosi. A dir la verità, l’Universo di Maldacena è un Universo teorico costituito da cinque dimensioni, includenti il tempo, ed ha la particolarità di essere decritto matematicamente come uno spazio anti de Sitter (AdS), quindi con costante cosmologica negativa, che lo rende un Universo in contrazione. Nel maldaceniano spazio-tempo fu definita la presenza di un bordo, caratterizzato da una dimensione in meno rispetto all’interno: tre dimensioni spaziali e il tempo. A questo punto fu possibile ottenere una teoria valida per l’interno pentadimensionale e una teoria valida per il bordo quadridimensionale. Il fatto sorprendente è che la teoria valida per il bordo è equivalente alla teoria valida per l’interno, sebbene quest’ultima includa una dimensione spaziale aggiuntiva e la gravità. In particolare, è stato rilevato che lo spaziotempo e il campo gravitazionale che lo pervade corrispondono alla mappatura di una rete di particelle localizzate sul confine di questo modello teorico. Si è quindi ipotizzato che lo spaziotempo sia una proiezione olografica di processi quantistici localizzati sul confine del nostro Universo (4,5). 

In realtà, il nostro Universo è assolutamente differente: è quadridimensionale (tre dimensioni spaziali e il tempo) ed è configurabile a partire da uno spazio di de Sitter (dS), che ha una costante cosmologica positiva, quindi repulsiva, una proprietà che ne spiega l’espansione sperimentalmente dimostrata. In questo Universo il confine sarebbe posto in un infinito futuro. L’adattamento della teoria di Maldacena al nostro Universo non è stata quindi immediata e semplice, ma infine è stato dimostrato in una versione semplificata del nostro Universo che è possibile costruire un ologramma di uno spazio de Sitter (3). 

E’ evidente che noi non potremo mai esplorare fisicamente questo suggestivo “bordo” o “confine” del nostro Universo, ma tramite complesse tecniche matematiche possiamo perlomeno ipotizzare che il nostro spaziotempo sia una proiezione olografica di processi fisici operanti su un suo indefinibile confine. 

In ambito cosmologico, a supporto dell’ipotesi olografica, gli studiosi prendono in considerazione nelle spiegazioni divulgative l’entropia dei buchi neri, corpi celesti, che sono costituenti del nostro Universo e che quindi, come tali, potrebbero fornire un orientamento su inaspettate sue proprietà. 

Il modo più semplice di spiegare l’entropia a coloro che non sono esperti in termodinamica è definirla una misura delle configurazioni microscopiche di un sistema che non alterano le proprietà macroscopiche del sistema (Nota 1). Quindi, se il sistema è costituito da uno spazio chiuso dell’Universo privo di aria con un determinato diametro (per esempio una cisterna), la progressiva immissione di atomi di elio in questo spazio si tradurrà in un progressivo aumento dell’entropia, poiché aumentano le possibili configurazioni microscopiche. A un certo punto, continuando a comprimervi materia all’interno, lo spazio sarà talmente stipato, che vi si sarà costituito un oggetto, denominato “buco nero”, con diametro pari a quello della cisterna, in grado di esercitare un campo gravitazionale tanto intenso da attrarre e fagocitare ogni altro oggetto che gli sia prossimo, fino al punto di inghiottire l’intero pianeta Terra. Certo è che mai saremmo testimoni di tale evento, considerando che fortunatamente non solo le pareti della cisterna cederebbero molto prima del suo manifestarsi, ma anche considerando che noi non avremmo abbastanza energia da essere in grado di stiparvi tanto materiale da porre le premesse per un simile disastro… Ma anche senza incontrare questa inquietante entità in casa o per strada, è stato comunque dimostrato che in un buco nero l’entropia è massima e che l’ulteriore immissione di materia determina un aumento delle sue dimensioni e un proporzionale aumento dell’entropia, che si manterrà sempre al massimo valore per quel determinato volume occupato dal buco nero. 

A questo punto emerge un dato sorprendente, scoperto nel 1974 da Jacob Beckenstein e da Stephen Hawking: l’entropia non aumenta proporzionalmente al volume del buco nero, ma proporzionalmente all’area del suo orizzonte degli eventi, ovvero a quella regione esterna oltre la quale la luce non sfugge dal buco nero, in quanto intrappolata dal suo campo gravitazionale. 

Qual’è l’implicazione di questa scoperta? 

Immaginiamo la sfera del buco nero come una composizione di numerosi cubetti, ciascuno con  lato misurante una lunghezza di Plank.

La lunghezza di Plank misura

 

Questa strana lunghezza non è casuale, ma dettata in primis dal fatto che è un’unità naturale, derivabile come tale da costanti calcolabili nel mondo naturale; nel caso specifico dalle costanti “velocità della luce nel vuoto (c)”, “costante gravitazionale universale (G)” e “costante di Dirac (h)”. La superficie del buco nero sarà quindi tappezzata da numerosi piccoli quadrati aventi lati con lunghezza di Plank. Considerando che il volume aumenta con esponente 3 (metri cubi) e che l’area aumenta con esponente 2 (metri quadrati), in base alla scoperta di Beckenstein diventa evidente che al raddoppiarsi del volume il valore dell’entropia non ottuplica, come accadrebbe se aumentasse in proporzione al volume, ma quadruplica, essendo proporzionale alla superficie esterna del buco nero. Questa affermazione è in realtà solo orientativa, poiché, più precisamente, si è giunti alla conclusione che l’entropia di un buco nero (“Sbh”) è data dalla formula di Beckenstein-Hawking:

(area dell’orizzonte degli eventi A, espressa in unità di Plank, x costante di Boltzmann Kb x (velocità della luce nel vuoto c) alla terza: (4 x costante di Dirac h x costante gravitazionale universale G).  

Quindi più sinteticamente:

 

Ma, a prescindere da questa formula, l’aspetto sorprendente della scoperta è la possibilità di una relazione tra un fenomeno interno al buco nero (l’aumento dell’entropia) con un’informazione contenuta non all’interno, come ci si aspetterebbe, ma sulla superficie di questo corpo celeste: “forse gli attributi fondamentali che possono dar luogo al disordine ([di cui l’entropia è una misura] stanno solo sulla superficie esterna e non all’interno” (1). 

Come è codificata l’informazione sulla superficie del buco nero? L’informazione sarebbe codificata in stati quantistici, ovvero in fotoni a bassa energia, collocati nello spazio-tempo (6).

Generalizzando, “poiché l’entropia è la misura delle informazioni totali contenute in un sistema, è ipotizzabile che le informazioni associate a tutti i fenomeni del mondo tridimensionale siano immagazzinate sui suoi confini bidimensionali, come ologrammi” (2), analogamente a quanto sembrerebbero suggerire gli studi sul teorico Universo di Maldacena. 

La nostra stessa realtà sarebbe una proiezione olografica di “qualcosa” che avviene quantisticamente sul confine dell’Universo. Spingendoci oltre: la nostra realtà è forse il prodotto di un computer quantistico? 

Fin qui ho esposto una sintesi di trattazioni divulgative che ho potuto reperire in forma cartacea o video. Espongo ora i miei dubbi, ovvero i dubbi di un comune lettore di scritti divulgativi, auspicando che trovino in futuro risposta da parte di quei fisici che desiderano comunicare al pubblico in modo facilmente comprensibile le scoperte della loro comunità scientifica e le loro implicazioni filosofiche. 

Il fondamentale mio interrogativo è: 

“La scoperta di Beckenstein e di Hawking è davvero orientativa per ritenere che quanto accade all’interno del nostro Universo in quattro dimensioni sia determinato da processi fisici che si svolgono sul suo bordo in due o tre dimensioni? 

I buchi neri sono entità caratterizzate da una densità di materia che non ha uguali nel restante Universo; in questa condizione di “singolarità” (Nota 2) come possono chiarire l’ipotesi di un’essenza olografica dello spazio da noi percepito tridimensionalmente? Non è forse un approccio improprio, come sarebbe improprio considerare la misteriosa singolarità del Big Bang, per riflettere sulle leggi dell’Universo? O forse è un approccio appropriato e persino la singolarità del Big Bang potrebbe suggerirci qualche riflessione sulla nostra realtà, orientandoci, per esempio, a pensare che il principio di non località, valido per le particelle entangled, risieda nell’assenza dello spazio-tempo in tale singolarità che ha dato origine all’esistente del nostro Universo? 

In conclusione, penso che in definitiva la teoria di Maldacena ci suggerisca un fatto per nulla sorprendente, ammettendo che l’Universo abbia un volume dinamico e quindi anche una superficie in movimento: le leggi vigenti nella nostra realtà quadridimensionale (tre dimensioni spaziali e il tempo) sono traducibili in una versione bi- o tridimensionabile sulla sua superficie. Sarebbe invece sorprendente che la superficie dell’Universo fosse aliena, presentando processi fisici non descrivibili da una teoria che sia la versione bidimensionale di una teoria valida per lo spaziotempo quadridimensionale. La coerenza tra una teoria che descrive il bordo dell’Universo e una teoria che ne descrive lo spaziotempo in cui ci muoviamo non dovrebbe tuttavia implicare che lo spaziotempo in cui ci muoviamo sia necessariamente una proiezione olografica di quanto accade sul suo confine. 

Queste mie considerazioni non sono altro che uno stimolo per orientare le presentazioni divulgative dei fisici alla risoluzione delle perplessità che ho qui esposto; e non solo a mio beneficio, ma per l’intero pubblico al quale si rivolgono. 

Nota 1

Purtroppo il concetto di entropia è molto complesso. Non vi è solo l’entropia termodinamica, ma vi è anche l’entropia di Neumann, utilizzata in meccanica quantistica. L’entropia di Neumann risente del fenomeno dell’entanglement e non coincide perciò con l’entropia termodinamica. In particolare, non gode di estensività, una proprietà fondamentale dell’entropia classica, per la quale “l’incertezza totale sul sistema deriva dalla somma delle incertezze su tutti i suoi costituenti”. Poter distinguere tra entropia classica e entropia di Neumann sembrerebbe importante quando si vogliano affrontare determinate questioni relative ai buchi neri.

Nota 2

Ho posto il termine “singolarità” tra virgolette, per orientare al fatto che in enso stretto un buco nero non è una singolarità, come la intendono i fisici, ovvero un’entità che non trova comprensione  nell’ambito delle leggi della fisica universalmente valide. Il buco nero è più propriamente, mi si corregga se sbaglio, una particolarità del mondo fisico, una distorsione spazio-temporale condotta ai limiti estremi nel rispetto delle leggi fisiche che governano il cosmo a livello macroscopico. Ipoteticamente un buco nero potrebbe evolvere in un cosiddetto “buco bianco”. Anche l’evoluzione di un buco bianco è coerente con le leggi della fisica. Ma, se così accadesse, il buco nero dovrebbe transitare attraverso un’autentica singolarità nel momento in cui il suo imbuto spaziotemporale si assottigliasse e si allungasse tanto da raggiungere la scala di Planck, entrando nel mondo quantistico. Solo allora potrebbe “risorgere” come buco bianco. Ma è possibile questa resurrezione? Non è possibile saperlo, perché alla scala di Plank il buco nero transita in una singolarità, entrando nell’ignoto, dove le equazioni di Einstein perdono validità. Si veda, per es., “Buchi bianchi. Dentro l’orizzonte” di C. Rovelli, Adelphi, 2023.

 

Bibliografia

1. Greene B. La trama del cosmo. Spazio, tempo, realtà. Einaudi, 2006.

2. Hawking S. L’universo in un guscio di noce. Oscar Mondadori, 2012. 

3. Wolchover N. L’Universo potrebbe emergere come un ologramma. In Quantamagazine.org, 21 febbraio 2019.

4. Afshordi N, Corianò C, Delle Rose L e al. From Plank data to Plank era: Observational tests of Holographic Cosmology. arXiv:1607.04878v2 [astro-ph.CO] 3 Jan 2017.

5. Maldacena J. The Large-N Limit of Superconformal Field Theories and Supergravity. International Journal of theoretical Physics. 38, 1113–1133 (1999). https://doi.org/10.1023/A:1026654312961,

6. Sasha Haco, Stephen W. Hawking, Malcolm J. Perry, Andrew Strominger. Black Hole Entropy and Soft Hair. arXiv:1810.01847v4 [hep-th] 13 Dec 2018.