di Enrico Ganz

E’ notizia recente la sentenza dei giudici amministrativi del Consiglio di Stato nella controversia relativa all’abbattimento dell’orsa ritenuta responsabile della morte del giovane Andrea Papi.  Il Consiglio di Stato ha stabilito che devono essere valutate tutte le alternative all’abbattimento, per consentire all’animale di compiere il suo naturale ciclo biologico. A fondamento della sentenza vi è l’idea che l’orso trentino è “un bene giuridico costituzionalmente protetto”.   

Pur senza entrare nel merito della specifica questione, ritengo opportuno ricordare che la normativa italiana sulla protezione dei grandi carnivori è riconducibile al Decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997 n° 357, che ha recepito una precedente Direttiva europea. Di particolare interesse è l’articolo 12, concernente le immissioni di specie nell’habitat; il suo comma 3 recita: “E’ vietata l’immissione in natura di specie e di popolazioni non autoctone, salvo quanto previsto dal comma 4 (…)”. 

Notiamo subito, prima di procedere al comma 4, che l’attuale popolazione di orso presente nel Trentino non è autoctona, derivando da orsi importati da un altro Stato, ovvero la Slovenia.

Procediamo quindi al comma 4: “Su istanza delle regioni, delle province autonome di di Trento e di Bolzano o degli enti di gestione delle aree protette nazionali, l’immissione in natura delle specie e delle popolazioni non autoctone di cui al comma 3 può essere autorizzata per motivate ragioni di rilevante interesse pubblico, connesse a esigenze ambientali, economiche, sociali e culturali, e comunque in modo che non sia arrecato alcun pregiudizio agli habitat naturali nella loro area di ripartizione naturale né alla fauna e alla flora locali. (…)”.  (Nota 1)

Il comma 5 precisa: “L’autorizzazione di cui al comma 4 è subordinata alla valutazione di uno specifico studio del rischio che l’immissione comporta per la conservazione delle specie e degli habitat naturali (…)”

Tramite i mezzi di informazione siamo ormai consapevoli dei gravi danni arrecati dagli orsi non solo ad essere umani (ferite mortali o invalidanti), ma anche ad animali dei pascoli, che si traducono anche per loro in atroci sofferenze; per i casi più recenti si veda la documentazione fotografica e video sulle gravi ferite da attacco d’orso riportate in ladige.it. Tutto questo si traduce secondariamente in un danno economico sia per la perdita di bestiame, sia per l’immagine che il Trentino presenterà nel settore turistico.

E’ evidente che lo studio del rischio di cui al comma 5 fu inadeguato: non contemplò le profonde motivazioni che contrapposero l’uomo all’orso nel corso dei secoli e non contemplò il significativo maggior rischio di interazioni negative tra orso e uomo rispetto al passato in conseguenza della maggiore antropizzazione delle aree scelte per l’introduzione dell’orso sloveno (residenti, escursionisti).  

Nel sito della Provincia autonoma di Trento possiamo documentarci sulla curva di crescita relativa alla popolazione degli orsi tra il 2015 e il 2021: “Il tasso di accrescimento è stato positivo in tutti e sei gli anni, con un valore medio annuo del 10.3%. In Trentino la popolazione dell’orso è quindi in significativo aumento; di conseguenza sarà assolutamente prevedibile il verificarsi di ulteriori gravi incidenti, nei quali saranno vittime l’uomo e la fauna locale.

Nelle prossime decisioni in cui dovesse essere chiamata a pronunciarsi, consideri la Giustizia, per semplice rispetto nei confronti dell’essere umano, queste semplici osservazioni. E nel frattempo non indugino i Prefetti a rilasciare licenze per porto d’armi a scopo di difesa in favore di residenti ed escursionisti intenzionati a transitare nelle aree infestate dagli orsi.  

Nota – Il testo ci consente di intuire che la finalità di questo Decreto è stato l’avvio del progetto Life Ursus. Consapevoli del fatto che la popolazione di orsi da introdurre in Trentino non era autoctona, gli autori del Decreto si sono preoccupati di introdurre il comma 4 dell’articolo 12. Ma è piuttosto sorprendente che al fine di consentire l’introduzione di una specie o di una popolazione non autoctona essi abbiano posto come condizione “che non sia arrecato alcun pregiudizio agli habitat naturali nella loro area di ripartizione naturale né alla fauna e alla flora locali. (…)”. senza preoccuparsi di aggiungere “e che non sia messa a rischio l’incolumità degli esseri umani”…  A quanto pare, nella mente di coloro che scrissero il testo del Decreto questo aspetto era trascurabile. A meno che non considerassero l’essere umano quale componente della fauna locale…