S. Martino e il povero. Opera in bronzo del maestro Franco Murer

di  Enrico Ganz

Martino nacque intorno al 316 d.C. a Sabaria (l’attuale Szombathely) in Ungheria da genitori pagani. Il padre era un tribuno dell’esercito romano. Egli volle che il figlio si chiamasse “Martino” in onore del dio della guerra, Marte. 

Tre anni prima il Cristianesimo si era affermato nelle Istituzioni dell’Impero romano per decisione dell’imperatore Costantino: dopo secoli di persecuzione nei confronti dei cristiani, i pagani avevano perso la guerra, affogando nello stesso sangue dei cristiani, che nel conflitto non avevano utilizzato una sola arma. 

Pur non avendo ricevuto in casa un’educazione cristiana, Martino avvertì fin da giovane attrazione per il messaggio cristiano e fu ammesso tra i catecumeni, quando la famiglia si trasferì nella penisola italiana. 

La biografia di San Martino è contenuta nel volume Vita Sancti Martini di Sulpicio, scritto tra il 395 e il 397 da Sulpicio Severo, al quale seguirono le Lettere e i Dialoghi, il tutto riunito dai copisti medioevali in un unico volume, il Martinellus. La biografia contiene molti fatti, che sono tanto prodigiosi, quanto fantasiosi, riportati evidentemente per impressionare i lettori con una finalità educativa: gli eventi prodigiosi dovevano supportare l’idea che l’operato caritatevole e missionario di Martino fosse “cosa buona e giusta agli occhi di Dio”. Ma si percepisce che la verità della testimonianza esiste comunque, nascondendosi tra le righe. Veritieri si percepiscono la personalità e il coraggioso impegno del santo in una vita vissuta in armonia con l’esempio di Gesù Cristo. 

In giovane età Martino fu soldato per ventidue anni. Fu un soldato delle retrovie, certamente non era addestrato per la battaglia in campo aperto e non correva vanitoso su un cavallo, come un mitico Superuomo. Sembrerebbe che egli avesse un incarico di Guardia del Corpo di personalità imperiali. Ma fu tanto poco marziale d’indole, contrariamente al suo nome, che all’approssimarsi di una battaglia a Worms nel 356 d.C. egli si congedò, prima di dover usare la spada, per dedicarsi alla vita ecclesiastica. In questo secondo periodo della sua vita egli manifestò un’attitudine che si potrebbe definire “francescana”. Considerando che San Francesco nacque molti secoli dopo, fu quindi un precursore del francescanesimo. Divenne vescovo e fu molto impegnato a mediare tra le beghe e le eresie di un cristianesimo che poteva essere interpretato in modo difforme dall’autorità papale. Dimostrò sempre attenzione per gli umiliati e per i condannati, tentando di evitare condanne a morte per motivi ideologici. 

L’iconica immagine di San Martino, che tutti conoscono, consiste in un cavaliere romano, che dall’alto del suo cavallo strappa in due pezzi il suo mantello, per offrirne metà a un povero infreddolito. Questa immagine è presente in opere artistiche e, più modestamente, nella dolceria tipica del Veneto, prodotta per il giorno di san Martino, ovvero l’11 novembre di ogni anno: cavallo e cavaliere in pasta frolla, decorata con glassa e perline di zucchero argentate in superficie. Vi sono anche forme di cotognata che recano sulla superficie lo stampo del cavallo e del cavaliere con spada e mantello. 

Ma Martino era davvero un cavaliere e davvero incontrò un povero al quale offrì parte del mantello? Sembra che in realtà egli fosse un semplice soldato di leva, quando offrì il mantello, attirandosi lo scherno dei commilitoni. L’episodio sarebbe avvenuto a Amiens. 

La mia ipotesi è che l’episodio sia realmente avvenuto, ma in modo molto meno spettacolare di come appare nelle rappresentazioni artistiche. 

Vi è un altro episodio che presenta analogie: un giorno un povero giunse nella sacrestia e chiese al vescovo Martino un abito. Martino stava per recarsi ad officiare la Messa, ma decise di offrire la sua tunica, restando nudo. Dovette quindi chiamare in soccorso di tutta fretta un conoscente, per farsi prestare un abito. Questi si recò in una bottega per l’acquisto e pare che fu parecchio stizzito per questa incombenza. Questo episodio non è certo spettacolare e ispira un po’ di tristezza in tanta miseria, ma molta simpatia per il buon Martino. In questo episodio vi è la vera gloria cristiana; non vi la spettacolarità mondana di un cavallo e di una spada, non vi è un cavaliere “verniciato” dalla gloria di una delle più potenti organizzazioni militari di tutti i tempi. Probabilmente cavallo e spada non sono comparsi nell’episodio giovanile, ma sono un simbolo dell’autorità statale, che nei suoi rappresentanti si mette al servizio dei bisognosi (Nota 1). Il San Martino vestito con una tunica, che accoglie il povero in sacrestia non poteva avere lo stesso successo nell’immaginario collettivo. Ma è comunque carità cristiana della stessa divina sostanza. 

 

Nota 1

Penso che vi sia anche un altro motivo, perchè nell’antichità avesse acquistato importanza la classica figura di S. Martino nelle vesti di cavaliere romano: per la particolare biografia del santo essa si prestava a indicare simbolicamente il momento storico di transizione dalla religione pagana alla religione cristiana nell’Impero romano; di transizione dalle persecuzioni dei cristiani, attuate dall’autorità imperiale (il cavaliere romano con la spada), alla pacificazione con i cristiani (il povero), sancita nell’anno 313 con l’editto di Costantino.   

                                                                                                         

Bibliografia

Fiocco D. L’altra metà del mantello. Tipografia Piave ed.