di Enrico Ganz

 

Nel corso di un intervento chirurgico potrebbe verificarsi la sezione accidentale dell’arteria epatica oppure potrebbe porsi il dilemma tra la conservazione e la sezione  di un’arteria epatica sinistra aberrante. Per queste eventualità è certo importante comprendere quali conseguenze comporti l’interruzione del flusso sanguigno arterioso diretto al fegato. Una risposta alla domanda in termini teorici non è possibile, considerando che l’arteria epatica non è la sola fonte di irrorazione sanguigna per il fegato: essa fornisce il 35% del sangue e contribuisce per il 50% alla sua ossigenazione (23). Il restante flusso ematico è affidato al sistema venoso portale. Un minore contributo vascolare è fornito dal sistema venoso para-biliare, originante dalle vene pancreatico-duodenale e piloro-duodenale, decorrente lungo l’epatocoledoco e formante nella placca ilare un plesso, che invia rami ai segmenti adiacenti all’ilo (4).

E’ dunque necessario considerare i dati forniti dall’esperienza chirurgica, per comprendere gli effetti di una legatura dell’arteria epatica.

Negli anni trenta del secolo scorso un importante studio su 28 casi di legatura dell’arteria epatica suggerì che tale evento fosse associato a un’elevata incidenza di infarto epatico e a una mortalità superiore al 50% (5).

Tuttavia, negli anni ’60 l’incidenza di infarto epatico fu ridimensionata. Si spiegò questa discrepanza, evidenziando che tra i casi considerati dallo storico studio era stata dimostrata autopticamente una necrosi epatica solo in sei pazienti; inoltre, l’elevata mortalità era verosimilmente riferibile alla più ardua gestione intra-operatoria e post-operatoria nelle prime decadi del 1900 (1). In realtà, il trofismo epatico sarebbe stato seriamente compromesso dall’interruzione del flusso sanguigno lungo l’asse arterioso epatico solo in condizioni di grave ipotensione o di grave compromissione dell’ossigenazione del sangue.

Non mancavano tuttavia osservazioni sulla comparsa di un infarto epatico dopo legatura dell’arteria epatica distalmente alle sue collaterali (arteria gastrica destra, arteria gastro-duodenale) (25), ovvero a livello della cosiddetta arteria epatica propria (18). Una legatura prossimale all’arteria gastro-duodenale, ovvero una legatura dell’arteria epatica comune, non compromette invece la vascolarizzazione arteriosa del fegato, rimanendo conservato il flusso nei rami epatici destro e sinistro.

In un articolo del 1963 Carroll sostenne che il flusso portale non era sufficiente a mantenere il trofismo dell’intero parenchima epatico in caso di ostruzione dell’arteria epatica propria o di un’arteria epatica lobare. Nell’articolo sono riportati 19 casi di infarto epatico, causati da ostruzione dell’arteria epatica per trombosi, embolismo e poliarterite nodosa. La sede dell’occlusione arteriosa è precisata in 5 casi: in 4 casi si trattava di un trombo nel ramo destro dell’epatica, in un caso era presente un trombo nell’arteria epatica propria. L’infarto fu parcellare in quattro di questi cinque casi. Il diametro delle lesioni variava da pochi millimetri a 5 cm. In un caso l’infarto coinvolse il lobo sinistro e parte del lobo destro (2). Quindi, l’occlusione arteriosa distale all’arteria gastro-duodenale e all’arteria gastrica destra può causare un infarto epatico, ma non necessariamente si tratta di un infarto esteso.

Uno studio clinico, risalente al 1964 – condotto da chirurghi tra i quali si nota il nome di Starzl – focalizza l’attenzione sugli effetti di una legatura dell’arteria epatica propria o di un’arteria epatica lobare (1). Su cinque casi di lesione lungo l’asse arterioso epatico, in un caso il flusso arterioso fu ripristinato dopo anastomosi termino-terminale dell’arteria epatica destra, in tre casi l’arteria epatica destra dovette essere legata per ampia perdita di sostanza e in un caso fu necessario legare le arteria epatiche destra e sinistra. Sopravvissero 4 su 5 pazienti, ma in nessun caso fu osservata mortalità o insufficienza epatica correlabile a un infarto del fegato. Intra-operatoriamente fu osservata solo una cianosi nei segmenti irrorati dal vaso interrotto.

In uno studio del 1972 su 700 autopsie furono identificati 14 casi di infarto epatico; in tre casi l’infarto epatico fu la principale causa di morte e in uno di questi tre casi la causa dell’infarto fu un’occlusione acuta dell’arteria epatica propria, causata dalla dissecazione aneurismatica di un ramo dell’arteria epatica (20). L’infarto fu massivo. Questo studio autoptico non fornisce notizie sulle condizioni cliniche dei tre pazienti deceduti per infarto epatico. Un importante stato ipotensivo potrebbe essere stata la conditio sine qua non per il suo verificarsi.

In un caso riportato da Peterson e al. negli anni ’80 del secolo scorso la trombosi arteriosa si verificò nell’arteria epatica distalmente all’origine dell’arteria gastro-duodenale, ma con rivascolarizzazione tramite collaterali dilatate (19). Questo evento si tradusse nella comparsa di multipli difetti intraparenchimali nei due lobi epatici, evidenziati con TC. Per via laparotomica fu confermata la presenza di un’area colliquata di 4 cm x 4 cm nel lobo epatico sinistro, che rappresentava il rilievo più significativo. Sei settimane dopo fu evidenziata un’ampia lesione nel lobo epatico destro, ma non si manifestò un’insufficienza epatica.  Successivamente non vi furono  sequele.

In due studi risalenti agli anni 1974-75 fu focalizzata l’attenzione sul circolo collaterale compensatorio dopo legatura dell’arteria epatica comune (11,14). Sulla scorta delle immagini arteriografiche si evidenziò che tale circolo poteva essere sostenuto da:

– arteria epatica accessoria;

– rami interlobari;

– arteria frenica inferiore destra;

– rami dell’arteria gastro-duodenale.

Il circolo collaterale diventava evidente già poche ore dopo la legatura; nei successivi sei mesi aumentava di calibro e numero di vasi.

La conclusione fu che la necrosi epatica dopo legatura dell’arteria epatica comune è rara, se il flusso venoso portale e l’ossigenazione del sangue restano normali fino al ristabilimento del flusso arterioso tramite i suddetti circoli collaterali.

Sintetizzo nel seguito tre casi di interruzione del flusso arterioso nel tratto vascolare epatico, da me osservati, nei quali possono essere identificati  alcuni degli interessanti aspetti sopra considerati: lo stato di shock quale fattore concausale dell’infarto epatico dopo interruzione del flusso arterioso distalmente all’arteria gastro-duodenale e all’arteria gastrica destra; il rapido formarsi di un circolo collaterale tramite l’arteria gastro-duodenale in caso di interruzione dell’arteria epatica comune; la possibilità – seppur rara – di un infarto epatico dopo occlusione di un’arteria epatica lobare, pur in assenza di uno stato di shock e di trombosi portale.

– In una paziente di 77 anni, sottoposta ad embolizzazione endovascolare dell’arteria epatica per emorragia postoperatoria, potei osservare che, risolta l’emorragia, al controllo TC non risultavano opacizzate le diramazioni arteriose per il V e per il VI segmento epatico; l’arteria per l’VIII segmento non era opacizzata nel tratto prossimale. A questi rilievi corrispose la comparsa di estese aree ischemiche subglissoniane nel lobo destro e segni di insufficienza epatica. L’evento si manifestò in corso di supporto adrenergico per stato ipotensivo.

– Paziente ricoverato per ipotensione e anemizzazione conseguente a rottura di aneurisma del tronco celiaco, associato a trombosi all’origine dell’arteria epatica comune. Essendo in atto un importante sanguinamento con stato di shock, fu effettuata in emergenza una legatura del tronco celiaco per via laparotomica. La vascolarizzazione epatica risultò conservata sia prima, sia dopo l’intervento; in particolare, nelle immagini TC l’arteria epatica risultò opacizzata distalmente allo stop trombotico.

Riporto l’ultimo mio caso in modo più dettagliato.

Si tratta di un paziente di 77 anni vasculopatico, che valutai in consulenza per intenso dolore epigastrico, nausea e vomito. Alla palpazione era lamentata spiccata dolorabilità in sede epigastrica e in ipocondrio destro con modica resistenza muscolare e discreta positività del segno di Murphy. Era presente spiccata leucocitosi (27000 GB/mm3) e modica elevazione di INR e delle GPT; la bilirubina era nella norma. Gli accertamenti (angioTC, ecocolordoppler) evidenziarono un trombo in atrio destro, quattro trombosi venose profonde degli arti inferiori, estese placche trombotiche del tronco celiaco, una dubbia trombosi parziale dell’arteria gastrica sinistra e una trombosi all’origine dell’arteria epatica destra, originante dall’arteria mesenterica superiore. Il lobo epatico destro era vascolarizzato tramite il tratto distale dell’arteria epatica destra. Nel lobo epatico sinistro era riconoscibile un’area ipodensa con diametro massimo di 7 cm compatibile con infarto epatico. Non era visualizzabile l’arteria epatica sinistra, verosimilmente per occlusione da trombosi; è possibile che l’arteria originasse dall’arteria gastrica sinistra. Il flusso portale era conservato. 

Consigliai un trattamento conservativo. Quattro giorni dopo si manifestò un coleperitoneo da rottura dell’area infartuata. Al riscontro intra-operatorio fu constatata una suppurazione nel tessuto necrotico. Il decorso postoperatorio fu regolare dopo lobectomia sinistra con completo recupero della funzionalità epatica.  

Queste osservazioni possono aiutarci a rispondere alle seguenti domande:

– un’arteria epatica lesionata può essere legata, oppure è opportuno tentare di anastomizzarne i monconi?

– E’ opportuno conservare un’arteria epatica sinistra aberrante, originante dall’arteria gastrica sinistra in corso di gastrectomia?

– Vi sono provvedimenti postoperatori utili per limitare le conseguenze di una legatura dell’arteria epatica?

 

I domanda

Un’arteria epatica lesionata può essere legata, oppure è opportuno tentare di anastomizzarne i monconi?

Orientativamente, una normale ossigenazione del sangue  dovrebbe impedire la comparsa di un’ischemia epatica significativa non solo dopo legatura dell’arteria epatica comune anche dopo legatura dell’arteria epatica propria. Tuttavia, nel corso dell’intervento o nel periodo postoperatorio potrebbero intervenire eventi che compromettono l’apporto di ossigeno al fegato: lo stato di shock, l’utilizzo di amine vasopressorie, la trombosi venosa portale, l’insufficienza cardiaca, la polmonite bilaterale.

Per questo motivo e per le esperienze sopra descritte appare prudente riparare una lesione dell’arteria epatica, se possibile, nel caso che l’interruzione del flusso sia distale all’arteria gastro-duodenale. Infatti, non vi sono criteri per prevedere chiaramente l’evoluzione della legatura arteriosa: sono noti rari casi di infarto massivo del lobo epatico corrispondente al ramo arterioso epatico ostruito; come anche sono noti casi di infarto epatico parcellare con evoluzione ascessualizzante. Inoltre, un’imprevista complicanza postoperatoria, quale un’ipotensione da emorragia, potrebbe determinare l’evoluzione di un’ischemia epatica, altrimenti reversibile, verso un infarto. In conclusione, è imprudente effettuare di principio sia la legatura dell’arteria epatica propria, sia di un’arteria epatica lobare, quando essa sia l’unico ramo arterioso per quel lobo epatico, rinunciando a un tentativo di ristabilirne la continuità.

Nel caso di legatura dell’arteria epatica comune la rapida formazione di un circolo collaterale dovrebbe invece evitare l’insorgenza di un infarto. Tuttavia, anche in questo caso un tentativo di riparare l’arteria epatica lesionata appare ragionevole.

La riparazione dell’arteria epatica dopo sua completa sezione non è sempre possibile, potendovi essere un’eccessiva perdita di sostanza tra i due monconi (1). Se fattibile, è effettuabile termino-terminalmente a punti staccati con filo in polipropilene 6/0 o 7/0. Prima di iniziare la sutura è opportuno risolvere un eventuale spasmo arterioso con iniezione subavventiziale di papaverina in corrispondenza dei due monconi arteriosi.  Un’agevolazione è data dall’utilizzo di fili con ago montato a ciascuna estremità, in modo da passare ciascun ago da dentro il lume in fuori sul rispettivo moncone arterioso. Posizionando equidistanti i primi tre fili, si ottiene la cosiddetta “triangolazione”. Legato il primo filo, seguono ulteriori punti intermedi tra i fili della triangolazione. I fili di triangolazione non sono tagliati fino al termine dell’anastomosi, in quanto consentono di ruotare l’arteria, per esporne l’emicirconferenza posteriore. Al termine della sutura la tenuta è verificabile, allentando la morsa dei clamp arteriosi.

Le potenziali implicazioni di un aumento del tempo operatorio necessario per l’anastomosi devono essere considerate con l’anestesista e devono essere bilanciate con i rischi derivanti dalla legatura dell’arteria anche in relazione all’anatomia del tronco celiaco e dell’arteria mesenterica superiore, qualora ne sia stata possibile una definizione pre-operatoria o intra-operatoria. Per esempio, è evidente che nel caso illustrato in fig. 1, l’interruzione del flusso nell’arteria epatica originante dall’arteria mesenterica superiore sarebbe compensato dall’arteria epatica originante dall’arteria gastro-duodenale. Quindi una lesione di una delle due arterie epatiche potrebbe essere risolta con  semplice legatura.

La vascolarizzazione arteriosa del fegato presenta numerose variazioni (16), che potrebbero avere significato nelle decisioni in corso di interventi effettuati sul piano sovramesocolico. Quindi, quando possibile, la loro identificazione pre-operatoria nelle immagini angioTC è più che mai raccomandabile.

 

II domanda

E’ opportuno conservare un’arteria epatica sinistra aberrante, originante dall’arteria gastrica sinistra in corso di gastrectomia?

Premesso che per “arteria epatica aberrante” si intende un’arteria epatica con origine diversa dal tronco celiaco, l’incidenza di un’arteria epatica sinistra originante dall’arteria gastrica sinistra è del 10-26% (7,16,17). L’arteria epatica sinistra aberrante può essere distinta in “accessoria”, se è presente anche il ramo sinistro dell’arteria epatica propria (11% dei casi (16)), e “sostitutiva” (“replaced”), se sostituisce il ramo sinistro dell’arteria epatica propria (15% dei casi (16)). In entrambi i casi, un’arteria epatica aberrante di significativo calibro è di tipo terminale (15). Nel caso di legatura di un’arteria epatica sinistra aberrante accessoria è prevedibile più frequentemente un’ischemia di modesta estensione, che si traduce in un’elevazione degli enzimi epatici (9,17,21), protratta per non oltre una settimana (17). Se l’arteria aberrante è sostitutiva, le conseguenze potrebbero essere più severe: un’ischemia epatica, che può comportare maggiori tempi di degenza (12) e occasionalmente necrosi e ascessualizzazione del lobo sinistro (6,13).

L’8% dei pazienti in cui è sezionata un’arteria epatica sinistra aberrante presenta un’elevazione medio-severa di AST e ALT (=> 5 volte il valore normale) (12) e nell’ambito di questo gruppo si collocano i pazienti che avranno necessità di una degenza prolungata e maggiore incidenza di complicanze di grado => III secondo la classificazione di Clavien – Dindo.

E’ stato proposto di fondare sul diametro dell’arteria gastrica sinistra alla sua origine la scelta tra la conservazione e la sezione di un’arteria epatica sinistra aberrante, originante dall’arteria gastrica sinistra: un’arteria gastrica sinistra con calibro > 5 mm rende consigliabile la conservazione dell’arteria, per evitare una significativa elevazione degli enzimi epatici (10).

E’ comunque da sottolineare l’importanza di valutare la vascolarizzazione epatica nelle immagini TC di stadiazione pre-operatoria. Si consideri che esiste la rarissima variante caratterizzata da un’origine dell’arteria epatica comune dall’arteria gastrica sinistra (tipo 10 della classificazione di Michels (15,26)). In tal caso sarebbe raccomandabile evitare la sezione dell’arteria gastrica sinistra prossimalmente all’arteria epatica. Si tratta di un obbiettivo fattibile anche qualora l’intervento di gastrectomia sia effettuato per una neoplasia con potenziale metastatico nei linfonodi.

 

III domanda

Vi sono provvedimenti postoperatori utili per limitare le conseguenze di una legatura dell’arteria epatica?

Come precedentemente sottolineato, un infarto epatico sintomatico dopo legatura dell’arteria epatica propria è raro in pazienti con una normale ossigenazione del sangue e con una normale emodinamica, qualora il flusso portale sia conservato. Fattori predisponenti all’infarto sono uno stato di shock e l’ipossia. Nel periodo postoperatorio è quindi opportuno monitorare la pressione arteriosa, per correggere prontamente un’eventuale ipotensione. La più comune causa di ipotensione nell’immediato periodo postoperatorio è la disidratazione. E’ opportuno mantenere un’adeguata ossigenazione del sangue, somministrando ossigeno e correggendo con emotrasfusioni un’anemia con valore di emoglobina < 10 g/dL. Deve essere evitata l’atelettasia delle basi polmonari, consigliando al paziente di effettuare esercizi con appositi dispositivi per l’incentivazione del respiro. Appare anche prudente protrarre per una settimana l’antibioticoprofilassi, per evitare l’ascessualizzazione di eventuali aree ischemiche.

 

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