Fig. 1 – Disegno di una possibile immagine colangioRMN, adatta al caso 1. Si evidenzia un ampio calibro del dotto cistico

di Enrico Ganz

 

Questo articolo esamina la questione del timing di una colecistectomia rispetto all’esordio di una pancreatite acuta biliare, prendendo spunto da due casi clinici da me valutati. Nel rispetto della privacy saranno presentati due casi modello, distinti dagli originali, ma del tutto sovrapponibili ai fini della discussione sul tema trattato.

 

Caso clinico 1

Paziente ricoverato per pancreatite acuta biliare e colelitiasi.

All’ingresso è presente dolore epigastrico, vomito, dolorabilità in sede epigastrica con negatività del segno di Blumberg e di Murphy. Alla palpazione profonda si evoca modica contrattura muscolare nei quadranti superiori dell’addome. La bilirubina totale è 3,1 mg/dL e l’amilasi pancreatica è 3580 U/L. Una TC addome evidenzia un pancreas aumentato di volume, edematoso, privo di aree necrotiche. Coesiste una falda fluida pericolecistica, peripancreatica, sotto-epatica, perisplenica, estesa lungo le docce parieto-coliche. La via biliare appare pervia, non dilatata. E’ presente inoltre un modico versamento pleurico reattivo.

Tra i parametri considerati dalla classificazione di Ranson (Tab. 1) risultavano fuori norma l’età (56 anni), l’AST (255 U/L) e la calcemia (7,7 mg/dL); inoltre, si osserva  un aumento dell’azotemia > 5 mg/dL (aumento di 7 mg/dL) 48 ore dopo il ricovero.

Il trattamento inizia con digiuno, NPT, antibioticoterapia ad ampio spettro, antisecretivo gastrico, antidolorifico non morfinico.

Nonostante l’antibioticoterapia, quattro e cinque giorni dopo l’ingresso il paziente presenta due puntate febbrili e persistenza di dolore gravativo con lieve resistenza muscolare nei quadranti superiori dell’addome. Amilasi e lipasi sono nella norma.

Una colangioRMN evidenzia una colecisti con pareti inspessite, contenente calcoli di piccole dimensioni. Il dotto cistico ha ampiezza prossima a quella del coledoco (Fig. 1). Il coledoco non è dilatato e non presenta stenosi o calcoli intraluminali.

Nel dubbio di una colecistite acuta non responsiva all’antibioticoterapia è effettuata una laparoscopia esplorativa in condizioni di rischio anestesiologico ASA2. Nel corso dell’esplorazione è evidenziata una modica quantità di ascite. La colecisti presenta parete edematosa, ma morbida. Colon e stomaco sono sovradistesi da aria. Valutata la fattibilità di un’agevole colecistectomia e considerando che una microlitiasi associata a una dilatazione del dotto cistico potrebbe associarsi a una recidiva di coledocolitiasi a breve termine, si decide di procedere con la procedura resettiva, isolando il dotto cistico e l’arteria cistica nel contesto di un tessuto fibro-adiposo particolarmente lasso per spiccata imbibizione edematosa. Il dotto cistico presenta effettivamente un calibro superiore alla norma, come evidenziato dalla colangioRMN. La sezione del dotto e dell’arteria cistica è effettuata tra clip. L’intervento è concluso con il posizionamento di un drenaggio sotto-epatico. Alla palpazione della colecisti si apprezza un calcolo con diametro di 1 cm e calcoli di minute dimensioni, come “grani di pepe”.

In prima giornata postoperatoria il secreto sieroso drenato dal drenaggio ammonta a 1000 ml. Il successivo decorso postoperatorio è stato regolare. Episodi febbrili si sono susseguiti nei giorni seguenti, pur non potendosi evidenziare un focolaio infettivo tramite TC, emocolture e urinocolture. Nel corso del ricovero è inoltre evidenziato un transitorio versamento pleurico sinistro e una contigua atelettasia polmonare, ma non addensamenti broncopneumonici.

Il trattamento della pancreatite acuta è consistito in NPT, antibioticoterapia ad ampio spettro, antisecretivo gastrico, antidolorifici non morfinici e diuretico. Gli indici di flogosi si normalizzarono due settimane dopo il ricovero. Tre settimane dopo il ricovero la pancreatite poteva essere considerata in avanzata fase di risoluzione. Quattro settimane dopo il ricovero l’unico sintomo residuo era una discreta dispepsia, trattata con enzimi pancreatici.

 

Caso clinico 2

Paziente ricoverato per pancreatite acuta biliare e colelitiasi.

All’ingresso è presente dolore epigastrico, vomito, dolorabilità in sede epigastrica con negatività del segno di Blumberg e di Murphy. Alla palpazione profonda si evoca modica contrattura muscolare nei quadranti superiori dell’addome. La bilirubina totale è 2,3 mg/dL e l’amilasi pancreatica è 4150 U/L. Una TC addome evidenzia un pancreas aumentato di volume, edematoso, privo di aree necrotiche. Coesiste una falda fluida pericolecistica, peripancreatica, sotto-epatica, perisplenica.

Tra i parametri considerati dalla classificazione di Ranson (Tab. 1) risultano fuori norma i leucociti (18000/mm3) e la glicemia (240 U/L).

Una colangioRMN evidenzia una colecisti distesa, contenente microcalcoli e un calcolo cin diametro di circa 2 cm. L’epatocoledoco è di calibro regolare, privo di calcoli.

Il trattamento inizia con digiuno, NPT, antibioticoterapia ad ampio spettro, antisecretivo gastrico, antidolorifico non morfinico.

Una settimana dopo l’ingresso è eseguita una TC addome, che evidenzia un’estensione della raccolta fluida peripancreatica verso le docce parieto-coliche e il piccolo bacino. In questo momento le lipasi sieriche sono nella norma, le amilasi sono poco sopra il valore normale, la bilirubinemia è nella norma.

La flogosi pancreatica si risolse gradualmente, proseguendo il trattamento conservativo. Alla ripresa dell’alimentazione si manifestarono frequenti scariche diarroiche, responsive al trattamento con enzimi pancreatici. La durata del ricovero fu di circa due settimane. Alla dimissione fu deciso di effettuare una colecistectomia circa due mesi dopo la risoluzione della flogosi pancreatica nell’ospedale della città in cui il paziente aveva il domicilio.

Tuttavia, per motivi familiari l’intervento fu rinviato in data da definirsi.

Quattordici settimane dopo il primo episodio di pancreatite il paziente accede presso il Pronto Soccorso di un altro ospedale per pancreatite biliare recidiva. Una TC addome evidenzia un pancreas aumentato di volume, edematoso, privo di aree necrotiche. La falda fluida peri-pancreatica si estende alle docce parieto-coliche e al piccolo bacino. Le vie biliari intra-epatiche sono dilatate e il coledoco presenta calibro massimo di 12 mm con brusco restringimento in sede prepapillare e con materiale denso nel suo lume. Tuttavia una settimana dopo il ricovero una colangioRMN documenta la spontanea risoluzione dell’ostruzione coledocica. Dodici giorni dopo il ricovero la pancreatite poteva essere considerata in avanzata fase di risoluzione.

 

Discussione

La più comune causa di pancreatite acuta è l’ostruzione della via bilio-pancreatica causata dall’incuneamento di un calcolo biliare nella papilla di Vater: il 30-60% dei casi di pancreatite acuta ha questa eziologia (26). Il termine utilizzato per indicare questa forma di pancreatite è “pancreatite biliare” (biliary pancreatitis). Alcuni autori preferiscono utilizzare negli articoli scientifici il termine “gallstone pancreatitis”, che precisa più rigorosamente la causa della pancreatite, ma sostanzialmente è corretto e ampiamente utilizzato anche il termine “pancreatite biliare”. Gli elementi diagnostici essenziali di una pancreatite acuta biliare sono il dolore nei quadranti addominali superiori, un’elevazione delle amilasi sieriche a un valore triplo del normale, un’elevazione delle AST > 150 U/L, l’evidenza di alterazioni morfologiche acute del pancreas (edema e/o necrosi) nelle immagini acquisite con TC 6-12 ore dopo l’esordio della sintomatologia clinica. Sul piano emato-chimico si manifesta inoltre un’elevazione della conta leucocitaria, della proteina C reattiva, della bilirubina coniugata e delle lipasi sieriche. Altri parametri emato-chimici ed emato-fisici possono essere alterati in rapporto alla gravità della flogosi: glicemia, calcemia, azotemia, LDH, pO2, ecc. Si può quindi osservare iperglicemia, ipocalcemia, elevazione dell’azotemia e delle LDH, riduzione della pO2. Non necessariamente è dimostrabile una colelitiasi, potendo essere stato espulso in coledoco un unico calcolo colecistico; né sempre è evidenziabile strumentalmente l’iniziale ostruzione delle vie biliari, potendo essere stato espulso in duodeno il materiale litiasico che la causava. Occasionalmente una pancreatite biliare si manifesta in un paziente già colecistectomizzzato. Non è tuttavia la forma di pancreatite biliare oggetto di questa discussione, che verte piuttosto sull’indicazione alla colecistectomia per colelitiasi in corso di pancreatite acuta biliare.

Negli ambienti chirurgici prevale l’orientamento a evitare la colecistectomia nella fase acuta della pancreatite. Il fondamento storico di questa idea risiede in un trial prospettico randomizzato, pubblicato nel 1988 da Kelly e Wagner. Gli autori evidenziarono che una colecistectomia laparotomica in corso di pancreatite acuta lieve non presentava vantaggi rispetto a una colecistectomia effettuata dopo la risoluzione della pancreatite, mentre una colecistectomia laparotomica in corso di pancreatite grave poteva peggiorare il decorso clinico della pancreatite (1).

Adottando questa linea di condotta, l’intervento di colecistectomia, seppur procrastinato, è comunque ineludibile, posto che il rischio anestesiologico sia accettabile (ASA 1-3). Infatti, è noto che una pancreatite acuta biliare è frequentemente associata a recidive. Perciò varie linee guida consigliano la programmazione di una colecistectomia precoce (“early cholecystectomy”) dopo la risoluzione di una pancreatite acuta biliare. Tuttavia, esse non sono concordi nel definire l’intervallo di tempo ideale che dovrebbe intercorrere tra l’episodio di pancreatite e l’intervento: la colecistectomia può essere consigliata nello stesso periodo del ricovero per pancreatite, oppure successivamente, preferibilmente non oltre le quattro settimane dopo la dimissione, al fine di ridurre il rischio di recidiva (2,3). Ma non infrequentemente negli ambienti chirurgici è considerata opportuna un’attesa più lunga, 6-8 settimane, al fine di ottenere una completa remissione sia della flogosi pancreatica, sia della flogosi nell’area del triangolo di Calot, che rappresenta uno dei fronti su cui può estendersi la flogosi chimica peri-pancreatica. In tale atteggiamento vi è probabilmente un travisamento sulla natura di questa flogosi, che non dovrebbe essere paragonata alla flogosi associata a una colecistite acuta (posto che non coesista in alcuni casi di pancreatite acuta biliare).  E’ infatti questa la flogosi che notoriamente è associata a una più complessa dissezione nel triangolo di Calot in fase subacuta, ovvero in un periodo compreso tra 3-5 giorni e 6-8 settimane dal suo esordio. Questa evenienza è particolarmente significativa nel caso di un voluminoso calcolo incuneato nell’infundibolo. Se non vi è questa condizione, la flogosi del peduncolo colecistico quale epifenomeno di una flogosi pancreatica non è una contro-indicazione a una colecistectomia precoce, nei termini temporali indicati dalle citate linee guida.

Come abbiamo prima notato, le linee guida non sono concordi nel definire il timing della colecistectomia. In effetti, non è possibile definire un timing esatto, valido in generale. E’ evidente che l’esperienza clinica contribuisce nel valutare caso per caso il rischio di una recidiva, per decidere un ragionevole timing. Per esempio, il rischio di recidiva potrà essere considerato particolarmente elevato in un paziente che sia dimesso dall’ospedale con una microlitiasi residua della colecisti e una papilla di Vater integra, non sottoposta a papillosfinterotomia endoscopica, poiché l’impegno litiasico nel coledoco si era risolto spontaneamente.

Resta tuttavia certo un fatto: qual spada di Damocle, una pancreatite biliare può recidivare in qualsiasi momento e in qualunque paziente dopo il primo episodio di ostruzione bilio-pancreatica, qualora vi sia una microlitiasi residua della colecisti (4-7, 28). Il caso 2, qui descritto, ben evidenzia le negative conseguenze di una recidiva di pancreatite biliare, seppur lieve: nuovo ricovero, ulteriori accertamenti con TC e RM, possibilità di dover ricorrere a una papillosfinterotomia endoscopica. Incombe inoltre minacciosa la possibilità che la recidiva di pancreatite si presenti in forma grave, necrotizzante, caratterizzata da significativa morbilità e mortalità.

E’ dunque possibile mettere in discussione il tradizionale approccio ed effettuare una colecistectomia precocemente nel corso di un ricovero per pancreatite acuta biliare?  Ed effettuarla anche prima che il processo flogistico si sia risolto?

Recentemente sono comparsi studi che forniscono una risposta affermativa a queste due domande, posto che la pancreatite sia lieve (8-20). Tutti gli studi sono altresì concordi sul fatto che una colecistectomia non deve essere effettuata in corso di pancreatite grave, in linea con gli studi storici (1, 21). Nel caso di una pancreatite lieve alcuni tra questi recenti studi evidenziano che una colecistectomia è fattibile nella più precoce fase di miglioramento clinico (lipasi e indici di flogosi in calo, riduzione della reattività addominale). Altri studi hanno dimostrato la fattibilità della colecistectomia anche 48-72 ore dopo il ricovero, prima di poter osservare un miglioramento clinico (13). Una meta-analisi ha valutato i risultati complessivi di questi studi (22): non vi sono state significative differenze nelle complicanze intra- e post-operatorie e nella percentuale di conversioni. Nel gruppo di pazienti sottoposto a colecistectomia precoce è risultato inferiore il tempo di degenza, le recidive di coledocolitiasi e di pancreatite biliare e il numero di ERCP rispetto al gruppo sottoposto a colecistectomia differita.

Tab. 1 – Segni prognostici di Ranson

A questo punto è fondamentale distinguere chiaramente la forma lieve e la forma grave della pancreatite acuta. Pur essendo possibile utilizzare varie classificazioni per graduare la severità della pancreatite, nella maggior parte degli studi citati la pancreatite acuta è stata considerata lieve, se radiologicamente era presente edema della ghiandola pancreatica in assenza di necrosi e se erano presenti non più di tre indici di Ranson. Considerando la classificazione di Ranson (Tab. 1), un’elevazione delle lipasi e delle amilasi sieriche non è per sé un fattore orientativo per decidere se la pancreatite sia lieve o severa. Quindi, una colecistectomia può essere effettuata anche in presenza di amilasi e di lipasi elevate, purché siano rispettati i criteri sopra indicati (13). Questa è perlomeno l’orientamento che si definisce all’esame della letteratura scientifica. In realtà, l’attento esame del caso 1 evidenzia che la valutazione deve essere più articolata del semplice segnare crocette sugli indici di Ranson alterati. Infatti, a un primo esame notiamo che nel caso 1 sono alterati quattro parametri; il punteggio nella classificazione di Ranson è quindi “4” e secondo gli orientamenti emersi negli studi citati la colecistectomia dovrebbe essere contro-indicata. Tuttavia, notiamo anche che l’unico indice indiscutibilmente positivo è la riduzione della calcemia. Gli altri tre valori alterati possono essere considerati “borderline”: età 56 anni, AST 255 U/L mg/dL, aumento dell’azotemia di 7 mg/dL. Infatti, constatiamo 1 anno di età , 2 mg/dL di urea e 5 U/L di AST oltre il limite del valore soglia indicato dal rispettivo parametro. Queste piccole differenze non possono avere lo stesso valore di alterazioni più gravi e di conseguenza non dovrebbero tradursi in un punto ciascuna al pari di analoghi parametri più gravemente alterati. Piuttosto, l’osservazione del paziente, il suo modo di muoversi, di interloquire, la sua espressività facciale, l’osservazione del respiro, la considerazione delle comorbilità e altri particolari dell’esame obbiettivo dovrebbero orientare secondo esperienza clinica nella giusta direzione. Quindi, alla conclusione del percorso “Ranson”, le tre piccole alterazioni riscontrate nel caso 1 potrebbero essere utili non tanto per attribuire un punteggio, ma quali dati orientativi sulla gravità della pancreatite nell’ambito della complessiva valutazione clinica. Nella decisione è importante valutare anche il rischio anestesiologico per comorbilità: un ASA =>3 rende poco prudente effettuare la colecistectomia. Inoltre, nella pianificazione dell’intervento è importante valutare le immagini di una colangioRMN e gli indici di flogosi. Infatti, sarebbe discutibile effettuare una colecistectomia in presenza di un’ostruzione della via biliare da calcoli e sarebbe una scelta indubbiamente erronea effettuarla in presenza o nel dubbio di un’ostruzione biliare associata a colangite (13).

Infine, resta una questione: qual è il razionale per effettuare una colecistectomia in corso di pancreatite acuta, considerando che in questo contesto una significativa complicanza postoperatoria – in particolare una lesione delle vie biliari – potrebbe rendere molto più complessa la gestione clinica? Gli studi citati non forniscono una risposta. Ritenendo non irrilevante la questione, provvedo qui a una risposta personale:

“Le indicazioni per una colecistectomia in corso di pancreatite acuta biliare lieve dovrebbero essere ristrette ai seguenti casi:

– presenza di microlitiasi colecistica associata a una dilatazione del dotto cistico in assenza di ostruzione della via biliare e di papillosfinterotomia in un paziente ASA 1-2;

– sospetto di colecistite acuta litiasica non responsiva al trattamento antibiotico in paziente ASA 1-2.”

In entrambi i casi deve essere esclusa una colangite secondaria a una condizione ostruttiva, che rappresenterebbe una contro-indicazione all’intervento.

In presenza di microlitiasi colecistica associata a una dilatazione del dotto cistico (Fig. 1) la colecistectomia ha lo scopo di evitare il rischio di un’aggravamento della pancreatite nel caso che si verificasse un ulteriore passaggio di calcoli dalla colecisti in coledoco. Al fine di verificare questa condizione è essenziale ottenere una ricostruzione della via biliare con colangioRMN.

Una papillosfinterotomia endoscopica potrebbe essere una valida alternativa alla colecistectomia? Questa alternativa appare più rischiosa: le complicanze variano tra il 7% e il 10% (23,24). Una papillosfinterotomia endoscopica non è neppure chiaramente giustificabile nell’ottica di migliorare il decorso della pancreatite biliare, se non in presenza di colangite (2, 25).

Relativamente alla seconda indicazione ho precisato “sospetto di colecistite…”, poiché in corso di pancreatite non è sempre semplice porre con certezza la diagnosi di colecistite sulla scorta degli esami emato-chimici e strumentali, come appare nel caso 1, qui decritto. Infatti, le pareti della colecisti potrebbero essere edematose non solo a causa di una colecistite, ma alternativamente in un quadro di edema dei tessuti intraperitoneali, che è reattivo alla pancreatite. La febbre potrebbe essere secondaria non solo a una colecistite, ma alternativamente alla flogosi indotta dagli enzimi pancreatici presenti nel retroperitoneo e nel cavo peritoneale. La dilatazione della colecisti, usuale reperto in corso di pancreatite, potrebbe essere epifenomeno di una colecistite, oppure potrebbe essere conseguente alla flogosi peritoneale, indotta dagli enzimi pancreatici, e al digiuno. Inoltre, in presenza di febbre e di turgore della colecisti un versamento peritoneale potrebbe essere secondario alla pancreatite, oppure potrebbe trattarsi di un coleperitoneo. Il dubbio diagnostico tra colecistite e flogosi di altra natura può essere risolto con una rapida laparoscopia esplorativa dopo aver accertato con colangioRMN che non vi sia un’ostruzione delle vie biliari. Qualora in corso di esplorazione la colecistectomia apparisse facilmente fattibile, sarebbe opportuno approfittare della favorevole condizione tecnica: l’edema dei tessuti consente una più agevole dissezione nel triangolo di Calot. In caso contrario è prudente concludere l’esplorazione con un prelievo del liquido peritoneale per dosaggio di lipasi e di amilasi e per esame citologico e microbiologico.  Nel paziente con elevato rischio anestesiologico appare preferibile evitare qualsivoglia procedura chirurgica e posizionare in alternativa un drenaggio intracolecistico decompressivo.

In conclusione, recenti evidenze orientano a considerare fattibile una colecistectomia laparoscopica in corso di pancreatite acuta biliare lieve senza che vi sia un aumento della morbilità e della mortalità rispetto all’intervento effettuato dopo la risoluzione della flogosi pancreatica, posto che sia esclusa una colangite ostruttiva e che non siano presenti importanti comorbilità. Una meta-analisi ha evidenziato che nel gruppo di pazienti sottoposto a colecistectomia precoce è risultato inferiore il tempo di degenza, le recidive di coledocolitiasi e di pancreatite biliare e il numero di ERCP rispetto al gruppo sottoposto a colecistectomia differita. Tuttavia, a mio parere un’importante complicanza postoperatoria dopo colecistectomia potrebbe essere di più difficile gestione in corso di pancreatite acuta. Per tale motivo mi è parso opportuno identificare quelle condizioni in cui è più appropriato effettuare una colecistectomia in corso di pancreatite acuta biliare lieve:

– presenza di microlitiasi colecistica associata a una dilatazione del dotto cistico in assenza di ostruzione della via biliare e di papillosfinterotomia in un paziente ASA 1-2;

– sospetto di colecistite acuta litiasica non responsiva al trattamento antibiotico in assenza di ostruzione della via biliare in paziente ASA 1-2.

Al di fuori di queste due situazioni appare ragionevole affrontare l’intervento di colecistectomia in un momento di migliore performance fisica del paziente, ovvero 1-4 settimane dopo la risoluzione della pancreatite.

In ogni caso è importante definire se il paziente sia nelle condizioni di poter tollerare senza ulteriore stress l’intervento in rapporto alla severità della pancreatite e alle comorbilità. Tra gli estremi della forma lieve e della forma grave della pancreatite, ovvero tra il cosiddetto “screzio pancreatico” e la pancreatite necrotico-emorragica con necessità di sostegno delle funzioni vitali vi sono molte sfumature di gravità. Una complessiva valutazione clinica, piuttosto che un punteggio, sono il miglior approccio per decidere la fattibilità di una colecistectomia in corso di pancreatite. La classificazione di Ranson può essere comunque un valido supporto nel processo decisionale.

Sottolineo infine che le due indicazioni sopra definite non devono essere considerate assolute, ma rappresentano possibili ragionevoli orientamenti, ai quali può essere preferito un atteggiamento conservativo, differendo in ogni caso la colecistectomia 1-4 settimane dopo la risoluzione della pancreatite acuta. In particolare, si potrebbe obbiettare che non sono disponibili dati sul reale rischio di una coledocolitiasi recidiva nel corso dello stesso ricovero per pancreatite biliare nei casi caratterizzati dalla risoluzione spontanea dell’ostruzione biliare. Non vi sarebbe quindi una necessità assoluta di effettuare una colecistectomia nel corso dello stesso ricovero per pancreatite, al fine di prevenire un nuovo episodio ostruttivo. Tuttavia, l’associazione di microlitiasi e di dilatazione del dotto cistico è realmente possibile (vedi caso 1) e questa è una situazione che ovviamente facilita il transito di microcalcoli dalla colecisti al coledoco. Quindi, in assenza di dati certi è lecito sostenere la prudenzialità di effettuare prima possibile una colecistectomia in questa situazione, al fine di prevenire l’eventualità di un nuovo episodio ostruttivo delle vie biliari e la conseguente esacerbazione della pancreatite. Non è possibile definire quanto “precocemente” debba essere effettuata la colecistectomia. Nella scelta deve essere considerato che il decorso di una pancreatite acuta biliare lieve non è peggiorato da una colecistectomia laparoscopica, effettuata prima che la flogosi pancreatica sia risolta. Ma deve essere anche considerata l’esperienza tecnica dell’operatore e, qualora si optasse per l’intervento, devono essere esaminati i rilievi intra-operatori, acquisiti in corso di laparoscopia, prima di iniziare la procedura resettiva. Infatti, in caso di importante quadro aderenziale cronico pericolecistico, potrebbe essere preferibile rinunciare all’intervento, considerando che un’eventuale lesione della via biliare comporterebbe una gestione significativamente più problematica nel corso di una pancreatite, seppur lieve.

 

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